Una storia italiana. Il grande Gualino

Mauro Coen, Romacourtesy of libreria e galleria d’arte Marini, RomaAntonio ArmanoAntonio ArmanoAntonio ArmanoAntonio Armanocourtesy of libreria e galleria d’arte Marini, RomaGettyImages

Geniale imprenditore, collezionista d’arte e produttore cinematografico, Riccardo Gualino fu un personaggio tanto eclettico quanto dimenticato. Da Cereseto a Sestri Levante, abbiamo seguito le sue tracce e ricostruito la sua storia da grande Gatsby

 

Piero Laguzzi da vent’anni è il custode della memoria del Grand Hotel dei Castelli, sulla penisola di Sestri Levante. Portiere di notte, ha iniziato a interessarsi a Riccardo Gualino rispondendo alle domande dei clienti insonni e si è fatto prendere la mano dalla passione. Gualino è – fra l’altro – l’imprenditore che negli anni Venti fece (ri)costruire dagli architetti Busiri Vici i tre castelli di Sestri, diventati Grand Hotel dopo la guerra.
Dormo nella stanza 202, la stanza di Cesarina Gurgo Salice, moglie nonché cugina dell’imprenditore, con un grande bagno nero, verde e viola, ancora tutto originale. Al centro, una vasca ottagonale degna delle terme imperiali. Quando Laguzzi rientra dal riposo mattutino mi mostra le scale costruite in pietra rosa di Finale, gli ascensori d’epoca in legno, le bifore, le colonne e i portali antichi che provengono da edifici medievali, il parco di lecci e cipressi sul mare con uno spettacolare teatro all’aperto e la piscina naturale che sbocca nel golfo del Tigullio. Per costruire questa dimora da principe rinascimentale, Gualino fece perfino spostare il cimitero storico di Sestri.

A Torino, la mostra I mondi di Riccardo Gualino curata da Annamaria Bava si è conclusa e ora è in Francia, al Musée des Beaux-Arts de Chambéry, fino a fine marzo. Poi il nucleo principale della collezione Gualino tornerà visitabile presso i Musei Reali di Torino, dove si trova dal 1959. Capolavori come una Venere di Botticelli, Marte e Venere con Amore del Veronese, una Madonna in trono con bambino e angeli di Duccio di Boninsegna e gli antichi monili di epoca greca, romana e barbarica già appartenuti al conte Stroganoff, rubati nel 1929 da una banda di balordi subito incastrata dalla polizia torinese. La raccolta di arte orientale Gualino invece è tornata a palazzo Koch, sede della Banca d’Italia a Roma. In compenso, sul sito della libreria e galleria d’arte Marini di Roma, si può visitare un’esposizione virtuale di oggetti personali: abiti, libri e fotografie appartenuti a Gualino e alla moglie Cesarina, pittrice e danzatrice, vissuta oltre un secolo e sopravvissuta al marito per trent’anni.
Ma chi era Riccardo Gualino? La quasi totalità delle persone a cui pongo la domanda cadono dalle nuvole. Gualino è stato tante, troppe cose. Dopo la morte è stato dimenticato, cioè non è stato più niente. Qualcuno parla di complotto per cancellarlo dalla storia, soprattutto da parte dell’ex socio e rivale in affari Giovanni Agnelli. Il nonno di Gianni ha costruito gli stabilimenti Mirafiori radendo al suolo le scuderie di Gualino. Ma in Italia, dove si vive in un eterno presente, serve un complotto per essere ricordati, non per essere dimenticati.

Per capire meglio questa straordinaria figura di imprenditore, finanziere, mecenate, collezionista d’arte, impresario teatrale, scrittore e infine produttore cinematografico con la Lux Film – suoi, fra gli altri, Riso amaro (1949) con Silvana Mangano e Senso (1954) di Luchino Visconti –, bisogna lasciarsi alle spalle le regali architetture di piazza Castello e arrivare con una lunga passeggiata fino a quella che con un eufemismo è chiamata Villa Gualino, sulla collina che domina la riva destra del Po. Percorrendo l’ultimo tratto di strada si passa accanto alla chiesa della Gran Madre di Dio, alla casa liberty dove Dario Argento ha girato Profondo rosso e al Monte dei Cappuccini dove i turisti salgono a vedere il panorama di Torino. Ancora più su, in viale Settimio Severo, c’è Villa Gualino. Quando ci arrivi scopri che non è una villa: è piuttosto il palazzo di un moderno principe che domina la città e sembra stringerla tra le braccia – le due ali intorno al corpo centrale –, sotto l’arco imponente delle Alpi, come mi fa notare Massimo Zennaro, altro appassionato di Gualino, che lavora nella villa all’Etf, la Fondazione Europea per la Formazione professionale. L’edificio sembra costruito di recente per quanto è moderno.
La villa era destinata a diventare l’abitazione, la galleria e il teatro privato di Gualino. Non era ancora stata completata quando Gualino finì al confino a Lipari. Il regime fascista terminò i lavori trasformandola in una grande colonia elioterapica italiana. La visita del Duce, accolto dai bambini vestiti da piccoli fascisti che formano la “M” di Mussolini, sancì il passaggio dell’edificio da luogo di cultura a luogo di puericultura. La collezione fu confiscata e in parte rivenduta.

Venduti anche – e male – i sette Modigliani che l’imprenditore per primo aveva collezionato in Italia esponendoli nel suo teatro, l’ex Scribe, comprato e ristrutturato per offrire ai torinesi spettacoli di prim’ordine, ma troppo d’avanguardia per l’epoca. Quei Modigliani sono finiti ovunque, dal Brasile alla Cina.
Anche solo per raccontare per sommi capi le cose che ha fatto Gualino ci vorrebbe un libro. Del resto, di libri su di lui ne sono stati scritti diversi e uno in particolare, Il grande Gualino (Utet), di Giorgio Caponetti, biografia tanto documentata quanto romanzata, rende l’idea del personaggio, accostandolo fin dal titolo al grande Gatsby fitzgeraldiano, nel suo leggendario sogno di grandeur, ascesa e caduta comprese.
Gualino si esaltava a immaginare scenari futuri: fibre sintetiche (Snia Viscosa), trasporti ferroviari veloci sull’asse Torino-Genova-Milano, persino una Novyj Peterburg, vale a dire una urbanizzazione di San Pietroburgo interrotta solo dallo scoppio della prima guerra mondiale e della Rivoluzione d’ottobre.
Allo stesso tempo, l’uomo era troppo inquieto e visionario per gestire la quotidianità dei progetti intrapresi. Amava creare, non amministrare: aveva un mare di debiti quando Mussolini lo mandò al confino, ma se come altri imprenditori gli avesse lisciato il pelo avrebbe potuto salvarsi.

 

Invece si circondava di intellettuali lontani dal regime, se non ostili; e il suo mentore era il critico Lionello Venturi, uno dei 12 professori universitari che perderà la cattedra rifiutando il giuramento fascista.
C’è un’altra ascesi da compiere per comprendere la figura di Gualino dalle origini. Questa volta nel borgo di Cereseto (Al). Qui Gualino, agli inizi della sua fortuna, costruì un maniero che richiama lo stile del borgo medievale nel parco del Valentino a Torino: svilupperà solo in seguito, grazie a Venturi, gusti più moderni. Perché nel Monferrato? Gualino era biellese di origine ma a Casale Monferrato la famiglia della moglie, i Gurgo Salice, avevano un cementificio – attività che l’imprenditore continuerà con grande successo. Il vasto castello – 158 stanze – sovrasta il borgo e sembra il castello di Candalù, la casa di Charles Kane, il magnate di Quarto Potere di Orson Welles. Negli anni Settanta una banda collegata a Francis Turatello e al clan dei Marsigliesi aveva impiantato qui una raffineria di droga. Ѐ stato appena acquistato da una cordata di imprenditori, guidata da Francesco Sangiovanni, che vuole adibirlo ad albergo e centro di formazione.

Passeggiando sotto le mura, attacco bottone con alcuni abitanti del borgo e mi portano in un tempio buddista che si trova in via Fossa, sotto al castello, fondato da un monaco, di origine piemontese da parte di padre, ed ebreo-francese da parte di madre, ma nato e cresciuto negli Usa. Si chiama Shoryo Tarabini, si è fatto monaco in Giappone e ha avviato una raccolta fondi per impiantare a Cereseto alberi di ciliegio.
«Il nome Cereseto deriva da ciliegia, ma gli alberi di ciliegia qui sono spariti», spiega. L’iniziativa permetterà di celebrare con prodotti a base di ciliegia la festa della ciliegia, che già si tiene da anni a inizio giugno, ma anche la festa della fioritura come in Giappone e quella del 21 novembre, legata al buddismo Nichiren Shū. Nella tradizione giapponese questo albero, con la sua fioritura meravigliosa ed effimera, rappresenta la fragilità della bellezza e del nostro operato. In fondo Gualino, con le sue favolose imprese, ha incarnato all’ennesima potenza il carattere provvisorio della fortuna umana. Ma anche il perdurare dell’arte, cioè della bellezza, nel mezzo delle tempeste della vita e della storia che hanno distrutto tutto il resto.