di Viviano Domenici
Una inaspettata lezione di civiltà da un paleontologo mongolo nel corso di una tempesta di sabbia nel deserto del Gobi: come far convivere diverse culture
Quando viaggiamo in luoghi geograficamente e culturalmente lontani da noi dobbiamo aspettarci, tra le molte sorprese, anche qualche lezione difficile da dimenticare. Può capitare a tutti, anche a quelli che avendo viaggiato molto credono d’avere imparato a confrontarsi con gli «altri» e rispettare le loro idee.
Era il 1991 e mi trovavo nel deserto dei Gobi, in Mongolia, con una spedizione paleontologica alla quale partecipavano anche studiosi mongoli, tra cui Rinchen Barsbold, già celebre a livello internazionale per aver identificato negli scheletri di alcuni dinosauri caratteristiche oggi presenti negli uccelli. Rivelò così che gli attuali uccelli – polli compresi – sono i veri discendenti dei dinosauri. A tanta autorevolezza scientifica s’accompagnava un aspetto imponente e una signorile affabilità, che Barsbold mantenne anche il giorno in cui avvenne il fattaccio.
Eravamo indaffarati a montare il campo per la notte, quando all’orizzonte apparve una nuvola gialla in movimento. «È una tempesta di sabbia e tra mezz’ora ci sarà addosso – avvisò preoccupato –. Dobbiamo fare in fretta e legare ogni cosa, altrimenti il vento devasterà tutto». Puntuale la tempesta s’abbatté sul campo come un toro infuriato mentre eravamo ancora impegnati a legare tende, materassini e attrezzature varie che il vento minacciava di portare via. Tutti sdraiati a terra e accecati dalla sabbia cercavamo di limitare i danni tirando le corde che ferivano le mani per la violenza della bufera.
Tutti meno uno. Barsbold non faceva niente e se ne stava rannicchiato dietro alla ruota di un camion spruzzando in aria il liquido di una bottiglietta. Quando dopo una ventina di minuti la tempesta lasciò il nostro campo devastato, non riuscii a trattenere l’irritazione andai a chiedergli perché non avesse dato un minimo di aiuto. Sicuramente non capì ogni parola delle mie rimostranze, ma di certo non gli sfuggì il senso e così, con l’aiuto di un interprete, mi spiegò che quel liquido spruzzato in aria era in realtà un’offerta agli spiriti della tempesta.
La risposta mi sembrò ancora più beffarda del suo comportamento e non replicai, ma non riuscii a trattenere un sorriso di scherno. Quindi me ne andai verso quello che rimaneva della mia tenda. Col passare dei minuti mi resi conto d’averlo offeso col mio sorriso acido e quando poco dopo uno degli amici venne a consigliarmi di scusarmi con Barsbold accettai subito per liberarmi dal disagio che sentivo dentro.
Andai nella sua tenda e lui mi accolse con un leggerissimo cenno della testa, quindi con un gesto mi invitò a sedermi. Con grande imbarazzo mi scusai per il modo con cui mi ero rivolto a lui, ma chiesi perché non aveva dato una mano e soprattutto perché avesse risposto alle mie rimostranze con quella storia delle offerte agli spiriti. Barsbold ascoltò attento e mi rispose con calma spiegandomi che non era giusto accusarlo di non aver fatto nulla: aveva fatto le offerte agli spiriti e infatti la tempesta s’era subito allontanata.
Con un tono ancora più pacato mi disse che non avrei dovuto sorridere in quel modo per la spiegazione che mi aveva dato, aggiungendo che quando lui aveva visitato una chiesa cattolica e aveva sentito il prete che parlava di Gesù Cristo morto e risorto dopo tre giorni, aveva ascoltato in silenzio, senza ridere. Rimasi ammutolito per l’imbarazzo. Ma lui fece un sorriso largo, mi strinse la mano augurandomi la buona notte. In realtà quella notte non dormii molto, ripassai cento volte quella lezione di civiltà. Grazie professor Barsbold.