di Tino Mantarro | Fotografie di Lorenzo De Simone
Nell’alta val Trompia e nell’alta val Sabbia un progetto di Fondazione Cariplo cerca di attivare le risorse migliori dei piccoli Comuni montani puntando su turismo e sostenibiità sociale
Vendesi albergo, il cartello è laconico. Comodo parcheggio, buona posizione, quattro piani, diciassette camere, balconi in legno come da manuale dell’architettura alpina lombarda anni Settanta, facciate granata da tinteggiare, prezzo interessante. Basta fare un giro in alta val Trompia, ma anche in certi paesini aggrappati sulla vallata trasversale che porta all’attigua val Sabbia e di cartelli così sulle serrande abbassate di alberghi, negozi e bar ne trovi diversi. Siamo in quello spicchio della provincia di Brescia che non è ancora l’alta montagna di Ponte di Legno e non è neanche lago di Garda. Le Prealpi stanno in mezzo, come color che stan sospesi. Quei cartelli scoloriti delle agenzie immobiliari raccontano senza bisogno di mediazioni un periodo andato in cui questa zona era una destinazione turistica sia invernale (40 chilometri di impianti sciistici sulle cime del Maniva che oggi soffrono per mancanza di neve) sia estiva, con una stazione termale (chiusa) e una gran quantità di seconde case per milanesi e bresciani che non vengono quasi più. E parlano di un presente in cerca di una direzione. «Dagli anni Novanta questi sono territori soggetti a desertificazione: un certo tipo di turismo sembra svanito, l’agricoltura di montagna è stata abbandonata, le scuole hanno chiuso e i centri commerciali in bassa valle hanno dato il colpo di grazia alle botteghe» racconta Giulia Corsini, responsabile della coop sociale Andropolis. Suona come una storia già sentita, storia che accomuna tante aree interne e periferiche d’Italia, specie montane, destinate a invecchiare e a spopolarsi. Solo che qui il finale potrebbe essere diverso.
A riscriverlo ci prova il progetto Valli Resilienti, un’azione finanziata dalla Fondazione Cariplo nell’ambito del programma Attiv-Aree. L’Enciclopedia Treccani alla voce resilienza spiega: «La velocità con cui una comunità o un sistema ecologico ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato». La perturbazione che ha attraversato le comunità dell’alta val Trompia e dell’alta val Sabbia è quella epocale che ha colpito gran parte delle aree di media montagna sulle Alpi a fine Novecento: crollo del turismo, abbandono dell’economia agro-ilvo-pastorale, emigrazione verso le tante industrie del fondovalle, perché, per dire, a Gardone c’è la storica fabbrica d’armi Beretta. Fine di un’epoca e necessità di inventarsi qualcosa. Per esempio «creare opportunità analoghe a chi vive in città, ma rimanendo a vivere in campagna. In modo da lasciare le persone sul territorio e porre fine al massiccio esodo che sta svuotando le aree interne montane» spiega Elena Jachia, direttore dell’area ambiente di Fondazione Cariplo e responsabile del programma Attiv-Aree. Ma per restare a vivere non basta solo la volontà, servono anche opportunità che spingano i giovani a investire, le persone a invertire il senso di marcia. «Per questo bisogna colmare la percezione anche psicologica di lontananza dai servizi e rompere l’isolamento» prosegue Jachia. Come? «Creando nuove attrattive in termini di occupazione, sviluppo turistico e welfare». Detto così sembra una di quelle belle dichiarazioni d’intenti che vanno per la maggiore. Se non fosse che alla Fondazione Cariplo non sono abituati a fermarsi alle dichiarazioni e nelle valli bresciane neanche. Si dice, si fa.
«Si trattava di guardare con occhi nuovi alle potenzialità delle valli», spiega Corsini. «Sviluppando l’attrattività sia nei confronti dell’esterno sia nei confronti di chi ci vive». Per farlo le Comunità montane delle due valli e i consorzi di cooperative sociali del territorio hanno pensato al Circuito delle Valli Accoglienti e solidali. «Facendo dialogare due territori simili che però andavano ognuno per la propria strada senza troppe relazioni, almeno a livello istituzionale» spiega Giulia. E mettendo in campo una serie di attività altamente innovative, sia dal punto di vista sociale sia tecnologico. Una di queste si è concretizzata nel progetto Linfa. Chiara Zanini ha un negozio di paese, di quelli che la gente del posto chiama semplicemente “l’alimentari”, anche se vende di tutto. Vicino alla cassa hanno installato un totem con cui si accede alla piattaforma Linfa, che è il nome di una nuova cooperativa di comunità nata all’interno del progetto Valli Resilienti. «Il nostro obiettivo è creare valori per il territorio. Per farlo, dopo aver sentito i bisogni di chi lavora con noi, ci siamo inventati questo software disponibile anche sul telefono, ma abbiamo pensato anche a luoghi concreti sia per aiutare gli anziani che sono meno a loro agio con certe applicazioni sia per sottolineare che il negozio rimane fondamentale per la comunità». Dall’app si possono acquistare prodotti che magari non sono presenti in negozio, prenotare visite pediatriche a domicilio, ordinare farmaci consegnati dai postini “privati” della coop Andropolis. Per ogni tipo di transazione il negozio di vicinato riceve una piccola percentuale, un riconoscimento al ruolo di presidio sociale.
Per ora le botteghe coinvolte sono una decina tra le due valli, ma siamo solo all’inizio. L’obiettivo è realizzare il passaggio generazionale degli “alimentari”, trasformandoli in negozi di vicinato 2.0, dando lavoro a una nuova generazione. Ma la forza innovativa di Linfa sta nel fatto di essere un progetto biunivoco: serve alla comunità, serve anche a chi vive altrove. «Attraverso la app si possono acquistare prodotti del territorio, ma anche prenotare esperienze turistiche da fare in valle». Così si possono ordinare i formaggi prodotti in zona che Chiara stagiona nel retro del suo negozio. «Il Bagoss di Bagolino lo conoscono tutti, ma il Nostrano della val Trompia è la dop più piccola d’Italia: solo quattro produttori, una rarità di formaggio con pasta dura e gialla, perché viene aggiunto zafferano» spiega. Oppure si possono riservare i servizi legati alla Greenway della Valli Resilienti, un sistema di piste ciclabili che si estende per 3.500 chilometri, con 74 percorsi adatti a mountain bike e bici da strada realizzati su sentieri di montagna, ma anche con una ciclabile di 75 chilometri, che parte da Brescia e risale la val Trompia fino a Gardone, passando sempre dal lato opposto rispetto alla statale. O per prenotare una passeggiata nel maestoso bosco delle Pertiche, partendo dall’agriturismo Le Fratte a Pertica Alta. O ancora una passeggiata con gli asini della fattoria La Mirtilla di Idro, oppure una notte all’ostello sociale Borgo Venno, a Levenone, in val Sabbia. Perché il turismo, assieme alle piccole produzioni territoriali, rappresenta una possibilità di rinascita.
«Finita l’epoca delle seconde case non si era pensato a sviluppare forme contemporanee di turismo che unissero esperienza e sostenibilità ambientale e sociale» racconta Giulia. A Lavenone ci stanno provando grazie alla cooperativa CoGeSS, da 25 anni attiva nel sostegno alla disabilità. «Con il nostro lavoro a fianco dei disabili ci siamo trovati davanti a un problema: finita la scuola superiore che cosa fanno? Alcuni frequentavano l’alberghiero e allora abbiamo pensato a creare loro un lavoro» racconta la vulcanica Ester Colotti, trentina, referente del Labis, il laboratorio di inclusione sociale che porta avanti il progetto. Dove creare è da intendersi in modo letterale. «Nel 2016 abbiamo aperto un chiosco stagionale dove abbiamo fatto lavorare 16 utenti dei nostri servizi, tutti ragazzi dei vari paesini della val Sabbia». Dopo l’esperienza del chiosco hanno capito che si poteva lavorare in questo campo per venire incontro alle necessità dei ragazzi. «L’idea è dare a ognuno un ruolo secondo le proprie capacità: non tutti si trovano a loro agio nel bar con i clienti, qualcuno preferisce lavorare dietro le quinte» spiega Ester.
E dietro le quinte vuol dire lavorare nell’Ostello Sociale. «È una struttura comunale ristrutturata con fondi comunitari: quattro stanze con bagno, 12 posti letto. Era chiusa. L’abbiamo presa in gestione e ora funziona, specie grazie agli stranieri che vengono per fare turismo outdoor». Un’altra esperienza tornata utile quando in paese ha chiuso l’ultimo bar, l’unico per oltre 500 abitanti. «Volevamo dare continuità al nostro progetto estivo, per cui ci siamo detti: se lo facciamo per tre mesi perché non per tutto l’anno?». Così hanno aperto il “Non solo bar”. Due grandi stanze in centro paese e un innovativo laboratorio sociale che risponde a due necessità: quella degli utenti di fare esperienza e quella degli abitanti di avere un presidio di comunità, perché senza bar un paese muore. Funziona? «All’inizio c’era diffidenza, ed è normale in un paese di montagna. Ora gli utenti si sentono parte della comunità, i cittadini sono orgogliosi del loro bar particolare». Almeno a Lavenone un cartello vendesi è stato tolto.