La Roma di Raffaello

AlamyTiziana Fabi / AFB via Getty ImagesTiziana Fabi / AFB via Getty ImagesDe Agostini / Getty ImagesVisavì Sas

Nato a Urbino, nelle Marche, il grande pittore e architetto rinascimentale fece della capitale la sua città d’adozione, umana e artistica. Per andare alla scoperta della sua eredità, a 500 anni dalla morte, Touring ha scelto una guida d’eccezione: un grande storico dell’arte, già ministro dei Beni culturali e a lungo direttore dei Musei Vaticani

Raffaello è nato nel 1483 a Urbino, dove è avvenuta la sua prima educazione artistica, ha soggiornato per quattro anni (1504-08) a Firenze, negli anni di Michelangelo e di Leonardo, studiando l’uno e l’altro ma anche – come scrive Giorgio Vasari – i maestri della tradizione quattrocentesca (Masaccio, il Beato Angelico, Luca della Robbia) e quelli nuovi come Fra’ Bartolomeo. Poi, dal 1508 e fino al 1520, per i restanti dodici anni della sua breve vita, la città del lavoro, delle amicizie e degli amori è stata Roma. Possiamo dire quindi che Raffaello è romano, prima di essere urbinate e fiorentino. Non esisterebbe il Raffaello che conosciamo senza Roma, senza la maestà e il fascino dell’Antico, senza il sostegno di una corte ricca e coltissima come quella dei suoi due papi Giulio II e Leone X, grandi protagonisti nella storia delle arti.
Dovessi immaginare un percorso romano sulle tracce di Raffaello, inizierei dalla sua tomba, nella chiesa del Pantheon. Lì la memoria di Raffaello riposa in un antico sarcofago marmoreo sul quale l’amico poeta Pietro Bembo incise due versi memorabili: Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci rerum magna parens et morienti mori (Qui riposa il celebre Raffaello: la Natura, la grande madre di tutte le cose, ha temuto di essere vinta quando lui era vivo e di morire ora che lui è morto). Di fronte al sepolcro di Raffaello vengono in mente le sue esequie che si tennero proprio lì, nella chiesa del Pantheon.

Lasciato il Pantheon, sostiamo nella Loggia di Psiche alla Farnesina, la dimora del suo amico, il ricchissimo banchiere Agostino Chigi. Per lui qualche anno prima Raffaello aveva curato il progetto architettonico e la decorazione a mosaico della cappella di famiglia in S. Maria del Popolo. Ora, nel 1519, in vista del matrimonio dell’amico, decora ad affresco la Loggia detta “di Psiche” perché illustra la favola di Amore e Psiche di Apuleio. L’idea, concepita da Raffaello, dettagliata in una folta serie di disegni preparatori e poi realizzata dalla bottega, soprattutto da Giulio Romano, da Giovan Francesco Penni e da Giovanni da Udine, era quello di trasformare la loggia aperta sul giardino nella finzione di un unico pergolato vegetale popolato dagli dei del mito. È una storia insieme amorosa e spirituale quella messa in figura da Raffaello, un prodigio di tenera, sontuosa bellezza. Come l’affresco con il Trionfo di Galatea, anch’esso nella villa della Farnesina. Modello supremo per l’ideale classico che ha attraversato nei secoli l’Europa, da Annibale Carracci a Guido Reni, da Poussin a Canova, a Ingres, è stato il Trionfo di Galatea.
Dopo la visita alla Farnesina una sosta nella chiesa di S. Agostino è necessaria. Qui Raffaello dipinse ad affresco una formidabile immagine del profeta Isaia. L’omaggio di Raffaello al suo grande antagonista Michelangelo che aveva appena inaugurato la volta della Sistina, è evidente ma altrettanto evidente è l’accensione cromatica, la ricchezza dell’impianto pittorico che ci permettono di collocare quell’affresco fra il 1513 e il 1514, nel tempo della Stanza di Eliodoro in Vaticano.

Raffaello era bello, di una bellezza amabile e gentile che incantava. Lo dicono le fonti, lo testimoniano i contemporanei, possiamo capirlo dagli autoritratti che di lui si conservano: quello degli Uffizi (1505-06 ca.) l’altro che sta nella Scuola di Atene della Stanza della Segnatura. Non solo bello: gentile, cordiale e piacevole con tutti, con il papa come con ciascuno dei suoi numerosi allievi, era Raffaello. Così lo descrivono, in totale unanimità di opinioni, i contemporanei. Raffaello amava, riamato, le donne e anche questo era un aspetto del suo carattere che lo rendeva simpatico a tutti. Un vero e proprio leggendario romantico è nato sugli amori di Raffaello. Margherita, figlia di un fornaio di Trastevere e perciò passata alla leggenda come la Fornarina, è stata la modella prediletta e l’amante del pittore. Conosciamo le sue sembianze nei ritratti e nelle Madonne distribuiti nei musei di mezza Europa da Firenze a Dresda. Chi, a Roma, volesse incontrarla la troverebbe ritratta nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini. Si tratta di un dipinto su tavola firmato da Raffaello ma forse solo in parte autografo.
Naturalmente a Roma sono i Musei Vaticani il luogo più di ogni altro consacrato alla gloria di Raffaello pittore. Il novanta per cento della produzione pittorica di Raffaello al servizio di due papi e dei grandi dignitari della corte pontificia è custodito in Vaticano, fra i Musei (le Stanze di Giulio II e di Leone X, gli arazzi e i dipinti celebri, la pala detta di Foligno e la Trasfigurazione, custoditi in Pinacoteca) e i Palazzi Apostolici (le Logge e l’Appartamento del cardinale Dovizi da Bibiena).

Seguire l’opera di Raffaello percorrendo i Musei Vaticani significa seguire l’evolversi del suo stile attraverso quei dodici anni (dal 1508 al 1520) e vedere come prende forma, grazie a lui, la lingua figurativa degli italiani nel periodo zenitale della loro storia. Perché gli affreschi di Raffaello sono stati davvero “scuola del mondo”, l’ispirazione fondamentale per generazioni di artisti nei secoli a venire.
Il mio consiglio è di percorrere lentamente, il più lentamente possibile le Stanze vaticane. Cominciando dalla Stanza detta della Segnatura dove tutto, fra la Scuola di Atene e la Disputa del Sacramento, fra il Parnaso e la Fondazione dei grandi Codici, è ordine, grazia, miracoloso equilibrio, alla Stanza di Eliodoro nella quale Raffaello si misura con Michelangelo e contemporaneamente scopre il colore, in affreschi che raccontano l’intervento provvidenziale di Dio nella storia della Chiesa, fino alla Stanza dell’Incendio di Borgo, dove antichi papi protagonisti di miracolosi eventi hanno tutti il volto di Leone X, succeduto a Giulio II nel 1513. La Sala detta di Costantino dove si celebrano, in affresco, le gesta del primo imperatore cristiano, fu solo progettata da Raffaello prima della morte e poi realizzata dai suoi allievi, Giulio Romano in primis.
Prima di lasciare i Musei Vaticani sostate di fronte alla serie degli arazzi con gli Atti degli Apostoli, tessuti a Bruxelles dalla bottega di Pieter van Aelst su cartoni di Raffaello. Erano destinati alla Cappella Sistina. Quando la serie venne inaugurata da papa Leone X, era il 26 dicembre del 1519 e a Raffaello restavano tre mesi di vita. Il cronista vaticano scrive, nel suo resoconto dell’evento: “Sunt res quibus non est in orbe aliquid pulchrius” (Sono cose di cui non esiste al mondo niente di più bello). Di fronte agli arazzi vaticani, il visitatore dei Musei del papa capirà che l’affermazione è perfettamente vera.