di Gabriele Miccichè | Fotografie di Umberto Coa
Tra l’Ottocento e gli inizi del Novecento la città divenne colonia di numerosi imprenditori stranieri. Le tracce e i luoghi di queste presenze tornano a galla grazie ad Agata Bazzi, scrittrice ed erede di uno di loro
«Qui non c’erano soltanto i Florio», comincia così l’incontro con Agata Bazzi autrice di un romanzo che ripercorre la storia della sua famiglia, gli Ahrens, a Palermo. La luce è là (Mondadori) è un libro bello e intenso che ci fa scoprire un aspetto poco noto del capoluogo siciliano: la presenza di una numerosa colonia di stranieri che nell’Ottocento e nei primi del Novecento trasferirono le loro attività imprenditoriali a Palermo, influenzando profondamente il gusto e la morfologia stessa della città.
Il titolo del libro è ripreso dalla frase – in ebraico – che campeggia sullo stemma della villa-masseria che Albert Ahrens, il capostipite che da Amburgo si trasferì a Palermo, fece costruire a inizio Novecento non lontano dalla stazione di San Lorenzo in una – allora – campagna sulla strada che da Palermo porta al piccolo paese di Pallavicino. La zona era una delle più belle della Conca d’Oro, punteggiata di ville aristocratiche costruite tra il Sei e Settecento, che oggi la speculazione edilizia ha molto rovinata trasformandola in una mediocre periferia.
Il libro narra la storia di Albert e Johanna Ahrens che si trasferiscono a Palermo alla fine dell’Ottocento. Albert impianta un’attività di vendita di mobili e tessuti. Con il successo diventa anche un produttore di vino (soprattutto di Marsala). Una vicenda bella ed emblematica di tutta un’epoca, che ci fa appassionare ai personaggi descritti: la coppia e gli 8 figli, di cui i due maschi morti prematuramente.
La palermitana Agata Bazzi è una professionista prestata alla scrittura: ama definirsi un “architetto pubblico”, ha vissuto per due decenni a Milano e nel 1995 è ritornata nella sua città dove è anche stata assessore all’Urbanistica.
Le chiedo come si spiega questo fenomeno degli stranieri a Palermo. «Mah, è un po’ un mistero... Il mio bisnonno si trovò qui quasi per caso, ma quello degli stranieri in città è davvero un caso poco studiato». Il primo ad arrivare è stato probabilmente John Woodhouse che alla fine del Settecento sbarca a Marsala e vi scopre il vino liquoroso. Capisce che la qualità non è inferiore al Porto e al Madera, allora di gran moda in Inghilterra, e vi impianta una sua produzione. Ma nel corso dell’800 e ’900 l’afflusso è costante. Cognomi come Caflisch (pasticcieri), Jung (mercanti e assicuratori), Daneu (mercanti d’arte e antiquari), Helg (commercianti), Hugony (fondatori a Palermo della prima profumeria d’Italia), Pallme König (produttori di saponi), Ducrot (mobili), Withaker (commercianti di vini) facevano parte della più quotata borghesia del secolo scorso. Certamente vi erano motivi economici e, con l’Unità d’Italia, anche vantaggi fiscali, per non tacere della presenza di un importante porto nel centro del Mediterraneo. Ma il fascino della città, la qualità del clima e della vita dovettero costituire un’attrattiva irresistibile.
Agata ci conduce in un giro di Palermo alla riscoperta delle tracce che questi “stranieri” hanno lasciato in città. La prima tappa, obbligata, è proprio villa Ahrens concepita da Albert come casa ma anche come centro produttivo per le sue attività. L’ascesa degli Ahrens subì un colpo mortale per gli effetti delle leggi razziali e alla fine degli anni Trenta furono costretti a svendere il loro gioiello. Dopo anni di deplorevole abbandono l’edificio è stato restaurato ed è oggi sede della Dia (Direzione Investigativa Antimafia). Sebbene con le pur necessarie misure di sicurezza, è possibile visitarne l’atrio, quel che resta del parco e una sala oggi adibita a conferenze. Lo stile, come ci si può aspettare da una costruzione voluta da un ebreo tedesco è sobrio nella sua magnificenza ed esprime quel gusto modernista che non ha ancora ceduto a certe bizzarrie dello stile propriamente Liberty.
A pochi minuti a piedi si raggiunge quello che è oggi il mercato di San Lorenzo. Un luogo molto alla moda dove si trovano un bar, un ristorante, e diverse rivendite di alimentari. Erano i magazzini vinicoli della ditta Whitaker. Joseph Whitaker era un britannico nato in un sobborgo di Leeds. Si trasferì giovanissimo a Palermo per raggiungere lo zio Benjamin Ingham con cui iniziò una fiorente attività di produzione del Marsala. Dal 1871 al 1875 fecero costruire una chiesa anglicana, l’unica a Palermo, in un’area di proprietà degli Ingham di fronte al Grand Hotel & des Palmes nella centralissima via Roma.
In via Dante è la villa Malfitano residenza della famiglia. La villa, in stile neorinascimentale, ospita un’importante collezione di pittori siciliani dell’Ottocento e la “sala d’estate” affrescata da Ettore De Maria Bergler oltre a mobili, quadri, coralli, avori, porcellane e arazzi fiamminghi del XVI secolo. Il giardino di sette ettari nel cuore della città è assolutamente da non perdere.
Dopo la visita al Mercato di San Lorenzo ci dirigiamo, passando per Mondello, verso il quartiere di Vergine Maria. La tappa che suggerisce Agata è molto toccante. Ci fermiamo infatti nel cimitero acattolico adiacente al cimitero di S. Maria dei Rotoli. Il posto è magico e deve essere stato un luogo di culto fin dalla più remota antichità. Si trova infatti in una striscia di terra situata tra l’arenaria rosa del monte Pellegrino che si erge a picco e il mare.
Il cimitero era stato costruito nel 1837 per far fronte a un’epidemia di colera. Non lontano, vicino a Villa Igiea si trova anche il cimitero degli Inglesi, in via Simone Gulì. Dopo anni di abbandono è stato restaurato ma non è più attivo. Si trova di fronte a quella che era stata una fabbrica di sigari. Pochi infatti sanno che nella zona della Zisa si coltivava il tabacco fino a meno di un secolo fa. Il cimitero acattolico è al contrario tuttora in funzione e ospita, tra le altre, le sepolture delle famiglie Whitaker, Ahrens, Lecerf, Caflisch.
La famiglia Lecerf, di origine alsaziana, fu tra i fondatori della Chimica Arenella, che è la nostra tappa successiva. Proseguendo da Vergine Maria verso la contrada Arenella si trova questo monumentale complesso industriale. Quando arriviamo Agata Bazzi afferma ironica: «Solo dei tedeschi potevano immaginare una cosa simile». E infatti la società Goldenberg Chimica fu fondata nel 1909 da un gruppo di imprenditori ebrei tedeschi. Ebbe sedi a Messina e – dopo il terremoto – a Catania. Lo stabilimento di Palermo venne realizzato nel 1910 e produceva acido solforico e acido citrico. Il luogo – e non solo per chi ama le rovine – possiede un fascino straordinario. È un imponente complesso ormai abbandonato.
C’è un’officina di riparazioni auto, ancora in attività, che consente di affacciarsi sul mare. La vista è da mozzare il fiato. Ai piedi dello stabilimento si trova la pittoresca contrada dell’Arenella, molto frequentata, soprattutto nelle serate di bel tempo, per la presenza di piccole trattorie, pizzerie e alcune famose gelaterie. Ma dallo stabilimento si può soprattutto ammirare tutto il golfo di Palermo con gli eleganti edifici di Villa Igiea – ex villa dei Florio, poi albergo a cinque stelle in corso di ristrutturazione forse il monumento Liberty più bello della città – a poche centinaia di metri. Recentemente è stato proposto un ambizioso progetto di recupero che vorrebbe adibire l’area per accogliere un centro di ricerca, un distaccamento museale, un porticciolo e dipartimenti universitari. Sarebbe un’opera grandiosa di riqualificazione di una delle rare aree di archeologia industriale della città.
E la nostra tappa successiva, rientrati nel cuore della città dalle parti dello stupendo monumento arabo normanno della Zisa, è proprio il frutto del recupero di un’altra area industriale di inizio Novecento, abbandonato dopo la seconda guerra mondiale e recuperato soltanto una dozzina di anni fa: i Cantieri Culturali alla Zisa. L’area ospitava, fin dagli inizi del Novecento, le Officine Ducrot. Vittorio Ducrot, figlio di Victor ingegnere che aveva lavorato al taglio del Canale di Suez, aveva fondato nel 1902 la sua fabbrica di falegnameria e lavorazione del ferro, una delle più innovative e importanti d’Europa.
Per l’officina vi hanno lavorato i più importanti artisti dell’epoca tra cui Ernesto Basile ed Ettore De Maria Bergler: oltre a dare un’impronta inconfondibile a tutto il Liberty palermitano lo Studio Ducrot fornì l’arredamento per la Camera dei deputati a Montecitorio. Durante la prima guerra mondiale lo stabilimento ospitava anche la Vittoria Aeronautica Ducrot che produceva idrovolanti. Oggi i suoi 23 capannoni sono utilizzati come spazio espositivo, per eventi teatrali, musicali, cinematografici e iniziative culturali di ogni genere.
L’area attualmente ospita la sede dell’Institut Français de Palerme, il centro culturale tedesco Goethe-Institut, l’Istituto Gramsci siciliano (con la relativa biblioteca) e la sede palermitana della Scuola nazionale di cinema. Dal 2004 ospita anche l’Accademia di Belle Arti di Palermo con i laboratori “storici” dei corsi di scultura, pittura, scenografia, progettazione della moda, design grafico, e gli innovativi corsi di audio/video-multimedia e progettazione dei sistemi espositivi e museali. È infine sede del cinema De Seta – dedicato al grande regista palermitano Vittorio De Seta (suo Banditi a Orgosolo) – e del Centro Internazionale di Fotografia diretto da Letizia Battaglia.
L’ultima tappa di questo curioso giro tra Otto e Novecento ci riporta a palazzo Jung di via Lincoln, un’abitazione privata. Il palazzo fu costruito fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, fatto edificare dai baroni di Verbumcaudo, possiede le caratteristiche dei palazzi palermitani che sorsero in quell’epoca tra il quartiere della Kalsa e il lungomare del Foro Italico. Nel 1921 il palazzo fu acquistato dagli Jung, una famiglia ebrea di origine austroungarica che a Palermo si era arricchita con il commercio della frutta secca e del sommacco (una spezia fitoterapica). Gli Jung furono i più grandi esportatori di agrumi in Sicilia del secolo scorso. Uno dei tre fratelli, Guido fu ministro delle Finanze durante il regime fascista, ruolo da cui dovette dimettersi dopo l’approvazione delle leggi razziali nel 1938. Il palazzo, recentemente ristrutturato ospita un bellissimo giardino con un ficus macrophylla che compete per dimensioni con quello che si trova nel vicino Orto Botanico. È oggi occupato da uffici della Provincia regionale di Palermo, ma l’atrio e il giardino sono visitabili. Agata Bazzi con il suo libro e accompagnando il Touring ha dato testimonianza di un periodo mitico della storia di Sicilia (e su quello che ne resta). Una storia come si è detto, fatta di ori e luci ma anche con le sue inevitabili ferite. Non sempre la “luce era là”.