di Tino Mantarro | Foto di Archivio storico Tci
Cento anni fa 300 soci partivano per l’isola “esotica”. Un viaggio epico e pieno di ricordi...
Soprabito o mantella, purché impermeabile, e poi occhiali per automobilisti e gavetta d’alluminio con posate, assolutamente obbligatorie. Vivamente consigliati: abito di panno leggero e guanti, cuscino di gomma e borraccia, oggetti di toeletta e una catinella di gomma per lavarsi. Non viaggiavano certo nel lusso i trecento soci Tci che dal 17 al 28 maggio del 1921 presero parte all’Escursione nazionale del Touring in Sardegna. Del resto l’isola ai tempi era «per la quasi totalità degli italiani un lembo di Patria inesplorato, mentre esso presenta, e per le bellezze naturali, e per la singolarità dei costumi, per le tracce di antichissima civiltà, di misteriose ere preistoriche, un campo di osservazione non paragonabile a nessun altro». Inesplorato e poco attrezzato ad accogliere turisti, tant’è che il Touring dovette rivolgersi al ministero della Marina e al Regio Esercito per organizzare la trasferta. Venne così messo a disposizione del sodalizio un piroscafo che partendo da Livorno il 17 maggio arrivò a Terranova, come si chiamava all’epoca Olbia. Ad attendere i viaggiatori una carovana di “omnibus” da venti e trenta posti messi a disposizione dalla Satas, la Società anonima trasporti automobilistici sardi.
Grazie a una organizzazione quasi militaresca – i partecipanti erano divisi in centurie, le centurie in sezioni, le sezioni in squadre… – per undici giorni le auto accompagnarono i soci in giro per l’isola. Nulla era lasciato al caso, al punto che l’ordine di partenza delle autovetture cui ogni partecipante era rigidamente assegnato variava ogni giorno per provvedere a una giusta perequazione dei vantaggi e degli inconvenienti nell’ordine di marcia. L’iscrizione costava 1.500 lire – l’equivalente di circa 1.400 euro al cambio di oggi – e comprendeva il vitto in stile mensa all’aperto «perché non è possibile offrire pasti in ristoranti, perché molte località ne sono prive» e alloggi di fortuna, ovvero acquartieramenti in brandine da campo, come al militare. Ma a differenza del militare qui erano ammesse anche le signore, «in ragione di 30»; anche se «tutte le signore indistintamente verranno riunite in ambienti separati dal resto della carovana». E comunque, il Touring invitava i soci a essere «tolleranti di tutti quegli inconvenienti che accompagnano inevitabilmente le escursioni delle grandi carovane e che nessuna capacità o diligenza organizzatrice può evitare». Perché allora come oggi, non c’è viaggio senza contrattempo.
L’Escursione Nazionale in Sardegna nell’idea del consiglio del Tci assolveva a due compiti: «dimostrare all’isola nobile e generosa … che abbiamo apprezzato la magnifica offerta e il sacrificio nei giorni del martirio e della vittoria». Ovvero rendere omaggio ai militari della Brigata Sassari, cui durante la prima guerra mondiale il Touring aveva donato una copia della Guida Rossa Sardegna. Ma aveva, oltre a un interesse patriottico, anche un fine di ordine economico: far conoscere a potenziali investitori del Continente le potenzialità dell’isola. Per questo nel programma oltre a grotte e nuraghe, furono inserite visite alle miniere di Monteponi, o al sugherificio di Tempio Pausania, oltre agli stabilimenti di confezione del tonno a Carloforte o a un allevamento di struzzi a Tortolì. Tutto questo venne raccontato sulle Vie d’Italia in un articolo dal tono assai retorico nel numero di luglio 1921 in cui si lodavano le «accoglienze affettuose a un tempo e grandiose dell’ospitalità squisita e della gentilezza impareggiabile con cui i fratelli di Sardegna ci vennero incontro durante tutte le tappe dell’Escursione».
Escursione di cui i trecento partecipanti portarono a casa anche un album fotografico rilegato a mano, da cui sono tratte le fotografie di queste pagine. Furono scattate da Vincenzo Aragozzini, fotografo ufficiale della spedizione; fanno venire in mente quelle foto ricordo che ancora oggi vengono scattate all’ingresso di un parco a tema. Solo che la maggioranza erano fotografie documentarie e di paesaggio, poche ritraevano il gruppo, ancor meno i singoli partecipanti. Ma quelli erano davvero altri tempi di turismo pioneristico, non epoca di selfie