di Mario Tozzi
La questione climatica sta raggiungendo picchi imprevisti
Se i sapiens facessero cessare di colpo, nello stesso tempo, tutte le attività produttive che generano gas clima alteranti sul nostro pianeta, ci vorrebbe mezzo secolo per far scendere il tenore di anidride carbonica ai livelli preindustriali e far tornare la temperatura al valore di oggi. In altre parole, se le emissioni clima alteranti di origine antropica si azzerassero, le attuali 415 parti per milione di CO2 ci metterebbero 50 anni per ritornare a circa 350 ppm. E la temperatura dell’atmosfera continuerebbe a crescere ancora, prima di ritornare a scendere fino ai valori attuali. Se non basta questo allarme lanciato dalla comunità scientifica per capire che è già tardi per muoversi contro il cambiamento climatico, cosa altro ci vuole? Il problema è che la questione climatica viene relegata a questione “semplicemente” ambientale oppure strumentalizzata politicamente. E si ignorano i presupposti scientifici della questione. Infatti non sono in molti a sapere cosa fa cambiare il clima naturalmente. Ovvero deriva dei continenti, energia del sole, correnti oceaniche, variazioni dell’orbita terrestre e presenza di carbonio in atmosfera. Fino all’era glaciale i primi quattro contributi sono stati fondamentali, l’ultimo trascurabile. Oggi, però, conta solo quello, perché i continenti sono fermi, le correnti oceaniche non mutano, l’energia del sole è più bassa del solito e l’orbita terrestre stabile. Inoltre il sistema del riciclaggio del carbonio naturale in atmosfera è sì enorme, ma in equilibrio, quindi basta anche quel poco generato dalle attività degli uomini (fosse pure solo l’1 per cento), a produrre sconvolgimenti alterando quell’equilibrio.
In realtà, in generale, l'impatto delle attività umane sul global warming è una correlazione accertata da un panel internazionale di scienziati. Migliaia di dati e di ricerche di altrettante istituzioni scientifiche sono state vagliate e messe in relazione per estrapolare i dati sull’impatto reale dei combustibili fossili sul clima della terra. I processi naturali sono dei cicli chiusi: la biosfera assorbe con la fotosintesi 440 miliardi di tonnellate di CO2 e ne emette quasi altrettanta. Le emissioni umane liberano, invece, carbonio che prima era sepolto nei giacimenti di combustibili fossili ed era estraneo al bilancio globale. Di fatto vediamo che l’aumento di CO2 nell’atmosfera proviene dalle nostre emissioni e gli scienziati oggi sono d’accordo nel sostenere che la causa prima del riscaldamento globale è l’uomo. La prima pubblicazione scientifica che ipotizzava un legame fra i livelli di CO2 e le temperature è del 1896, prima che il riscaldamento stesso si manifestasse in modo così evidente. L’ultimo rapporto di ottobre 2018 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) – il principale organismo internazionale delle Nazioni Unite che studia il fenomeno del riscaldamento globale – stima che «le attività umane abbiano causato un riscaldamento globale di circa 1,0°C rispetto ai livelli preindustriali» e che «è probabile che il riscaldamento globale raggiungerà 1,5°C tra il 2030 e il 2052 se continuerà ad aumentare al tasso attuale». Quello che è successo nell’ultimo secolo, in particolare negli ultimi 50 anni, non può essere spiegato senza le cause antropiche. Purtroppo.