Valpolicella in camper

Alla scoperta di ariosi paesaggi, grandi vini, sapori autentici e tante storie di “resistenza” contadina e di ritorni alla terra salendo dalla Valpolicella verso la Lessinia. Dove la vite lascia spazio al bosco e poi al prato

Da casa si vede sempre lo stesso orizzonte. Quando torni a viverci dopo un anno in camper, scopri che le chiavi si infilano solo nelle porte e non accendono nessun motore. Così ti sorprendi a fissare con nostalgia foto di camper di marchi storici come Westfalia, Hymer, Wingamm. I primi due sono tedeschi ma fanno ormai parte di multinazionali. Del terzo non sapevo la storia. Ho telefonato alla concessionaria principale per scoprire che appartiene ai produttori stessi e che stavo parlando con Lady Wingamm, nientemeno: Lorena Turri, figlia del fondatore. La concessionaria fa anche noleggio e si trova in Valpolicella, che a sua volta si trova sotto al parco dei monti Lessini dove si può campeggiare liberamente per la presenza di spazi vicino alle malghe, anche se non mancano aree attrezzate. E così sono partito con un camper Wingamm alla scoperta di quest’area, dei suoi paesaggi, della sua gente e dei suoi sapori.
La Lessinia è ricca di pascoli ma è povera d’acqua. Non spaventatevi se sentite ondeggiare il camper al risveglio: sono le mucche assetate che leccano la rugiada sulla carrozzeria. Il camper ti rende consapevole di quanto consumi: il serbatoio dell’acqua è limitato e, ricarica del telefonino a parte, anche l’uso della corrente è da ridursi al minimo a meno di non trovarsi in un’area attrezzata. Salendo dalla Valpolicella verso la Lessinia la monocultura della vite lascia il posto al bosco e al prato strappato al bosco per il pascolo.

Tra questi territori si gioca la sfida della sostenibilità. Da quando due esemplari di nome Romeo e Giulietta si sono accoppiati per costituire un branco, il lupo è tornato a cacciare. Ci sono predazioni di mucche e di pecora brogna (la razza locale). Di gallina grisa (altro campione della Lessinia) no, per fortuna. Dietro alle storie di questi animali, tornati al centro della vita, ci sono altrettante storie umane. Il primo a raccontarmele è Daniel Laiti. L’ho conosciuto entrando nel ristorante che gestisce a Bosco Chiesanuova, Al Caminetto, per chiedere la strada. Insieme ad altri chef e allevatori, Daniel fa parte dell’associazione Lessinia Gourmet. È quasi commovente vedere come si sostengano tutti a vicenda alla ricerca di una dimensione sostenibile: professionale, ma anche e soprattutto esistenziale.
Alcuni hanno lasciato la carriera a Verona per tornare alla natura. Daniel mi prepara la gallina grisa avvolta nella pancetta, con una farcitura di carabin: cumino selvatico. Si torna a raccogliere erbe. Sulle orme di don Zocca, il prete di Sprea, autore di ricettari culinari e curativi. Dopo cena come in una favola arriva una volpe per chiedere anche lei un boccone. Di lì mi mandano al ristorante-albergo 13 Comuni, che deve il nome al fatto che Velo è il capoluogo di tredici comuni cimbri. Ma la sua rinascita si deve a un siciliano. Giovanni Caltagirone, lo chef, ha sposato Elisa Anderloni (bisnipote del fondatore) e l’ha rilanciato con piatti sempre ispirati al territorio ma più raffinati e di ricerca: «Una volta pensavo: voglio fare questo piatto. Ora penso: c’è questo prodotto...» dice. Caltagirone è l’ispiratore del progetto Lessinia Gourmet. Qui mangio una pasta all’uovo di gallina grisa con ragù di agnello brogno e una gallina grisa in saor con polenta su pesto di sedano. Giorgio Boschi prepara invece le trote sulla brace di carbone vegetale nel camino dell’Osteria Ljetzan a Giazza.
Tutto ha inizio col padre, Nello, che vi si trasferisce nel 1951 e riesce a farsi rivelare come produrre il carbone vegetale all’antica maniera dei cimbri: un rito di tre giorni e tre notti con l’accensione della croce di fuoco nel bosco. Si dorme in capanno. Il rito è rinato e ora vi partecipa tutto il paese. Omero Campedelli produce formaggio alla Malga Lessinia. Non ha voglia di parlare: «Devo lavorare!» Ma con le ricotte affumicate nel camino si scalda anche l’atmosfera e si mette a raccontare: «Facciamo l’alpeggio fino a settembre, poi portiamo giù le mucche perché vengono due metri di neve.

l percorso fino a Erbezzo dura un’ora e mezzo, con tutte le mucche, circa quaranta. Le vecchie conoscono la strada, le giovani bisogna inseguirle». Verso mezzogiorno arriva il parroco e Vanda, la sorella di Omero, prepara la tavola. Io mangio un piatto di gnocchi di malga all’aperto, nel ristorante alla buona del rifugio gestito da Oliviero, il terzo dei fratelli Campedelli. A Erbezzo, Giuliano Menegazzi mi parla del problema del lupo mentre richiama le pecore e le fa tornare in stalla. È il capofila di un progetto per iscrizione degli alti pascoli della Lessinia nel Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico. Questo paesaggio ti resta impresso: le pozze di acqua per abbeverare le mucche, le strade bianche e i muri a secco fatti di lastre di pietra chiara. Laureato in architettura, con una tesi a New York, Enrico Morando ha lavorato nell’urbanistica. Poi ha voluto cambiare vita e si è dato anima e corpo alla reintroduzione della gallina grisa.
Lo incontro nell’allevamento di Mezzane. Sotto di noi le viti della Valpolicella e il tramonto. Enrico tratta le galline come fidanzate e confida di sentirsi un po’ solo a livello sentimentale da quando fa questo lavoro: «Amelia è gelosa di Romina... Cosa c’è Rossella? Mangiano la scaia, la pietra bianca locale, ricca di sale. E per questo l’uovo non ha bisogno di essere salato. Lascio la musica accesa perché a loro piace e tiene lontano i predatori. Non vado mai oltre le 150 galline. Non le debecco, anche se si spennano un po’ non è un problema».
Molina segna il confine tra Valpolicella e Lessinia. Qui Agostino Sartori si è messo a produrre un bianco in piccole quantità. Gli ha dato il nome di Ardarì, preso dai ricordi. È l’unico bianco della Valpolicella: «Ha una base di trebbianello, riesling renano, vionnier e Gewürztraminer – racconta. – Faccio cinque-seimila bottiglie l’anno». Ha restaurato un mulino ad acqua del Seicento: «Ce n’erano 17 in zona. Tutti dismessi. Il proprietario era nato il 31 marzo del 1931. L’abbiamo inaugurato, dopo averlo rimesso in funzione, il 31 marzo del 2013. Dovevamo farla con lui, ma è slittata e lui non c’è più.

Molina è un paese nato e sviluppato sull’acqua in una zona per il resto arida». Nel Parco delle cascate sgorga tutta l’acqua che manca alla Lessinia e ci sono grotte abitate fin dalla preistoria. Giulia Scardoni è “la ragazza del birrificio in mezzo al bosco”. Il suo è qualcosa di più di un birrificio: «Ho fatto un corso da birraio – sottolinea – non sono mastro birraio. Questa qualifica richiede una laurea. Sono perito chimico-biologico e laureata in scienze per l’ambiente. Prendiamo l’orzo dai campi che coltiviamo giù in pianura, a Zevio e Angiari. Poi lo mandiamo a maltare in Germania. Coltiviamo qui il luppolo. Per questo si chiama agribirrificio. Sono venuta qui a Laorno perché questa contrada abbandonata piaceva molto a mio nonno Igino. Non c’è più ed è un modo per continuare la vita sulle sue radici».
La vocazione della Valpolicella per i grandi vini si deve al clima mite e secco, influenzato dal Garda e protetto dai monti Lessini. Le uve rosse locali hanno nomi ornitologici: corvina, corvinone e rondinella. Come tutte le cose migliori, anche il più pregiato dei vini della Valpolicella è nato per sbaglio. Nel 1936 una botte di Recioto è stata dimenticata, la fermentazione è andata avanti troppo, ha reso il vino più secco. È nato così l’Amarone. Ascolto la storia a villa della Torre, tra le più belle del Cinquecento veneto. A Fumane la chiamano “el palasso” ed è stata acquistata dagli Allegrini, ormai alla sesta generazione di produttori.
Quando Ernest Hemingway parlava del rosso della Valpolicella il tempo dei successi dell’Amarone era ancora lontano. La villa, attribuita a Giulio Romano e realizzata per Giulio della Torre, è aperta all’ospitalità. Qui si lavorava la terra, si riceveva e si studiava: cultura e agricoltura non erano disgiunte in una dimensione umanistica che sembra essere in parte tornata dopo il secolo delle macchine. Molto belli i giardini ordinati tra le mura antiche, la grotta ninfeo per gli intrattenimenti mondani e i mascheroni satanici dei camini. A villa della Torre, tra gli altri, ha soggiornato la poetessa e cortigiana veneziana Veronica Franco. Venezia è sempre sullo sfondo. Dal Tomba, il più alto dei monti Lessini (1766 metri), nei giorni tersi dopo la pioggia si vede la laguna. E forse i pastori hanno visto partire Marco Polo per la Cina.

Foto di Fabrizio Annibali