Il viaggiatore. Quanto eri bella Roma

Da Johann Wolfgang Goethe fino a Émile Zola, sono stati tanti gli scrittori e gli artisti di tutto il mondo sedotti dalla Città Eterna

«Sì, posso ben dire», ammise Goethe, «che solo a Roma ho recepito la vera essenza dell’uomo... non sono mai stato più così felice come a Roma».
Roma, pensava Madame de Staël, era un mondo animato dal sentimento. Senza Roma il mondo sarebbe diventato un deserto. L’edificio che preferiva era S. Pietro. La piazza era circondata da colonne che da lontano sembravano leggere e da vicino massicce. La cosa migliore era vederlo al chiaro di luna o nel pieno bagliore del sole.
Hans Christian Andersen salì per la scalinata di piazza di Spagna, una fuga di gradini di pietra larga come una strada e alta come i palazzi che le stavano accanto. Da sopra si godette la vista sulla città fitta di cupole e di torri. Osservando le fontane di piazza Navona, si rese conto che, anche se a prima vista sembravano normali, erano gigantesche.
Guardando una vergine di Murillo, a Palazzo Corsini, Gustave Flaubert ebbe la sensazione che la modella fosse stata la donna che amava da sempre. Uscendo dalla basilica di S. Paolo fuori le Mura vide venirgli incontro, sottobraccio a un’anziana serva, una bellissima, pallida bruna con un corpetto rosso. «Un intenso dolore mi è sceso di colpo, come un fulmine, nel ventre. Ho avuto voglia di avventarmi su di lei come una tigre, ero abbagliato». Come un’allucinazione, quel ricordo lo perseguitò a lungo.

La quantità di capolavori era sconvolgente: Roma era il più splendido museo del mondo. émile Zola risalì in carrozza Via Giulia, soffusa di un sole limpido che la infilava da un capo all’altro, imbiancando i selciato. Visitò S. Pietro alle tre di un infuocato pomeriggio. Da lontano la basilica veniva rimpicciolita e resa goffa dalla facciata, ma la sua cupola maestosa torreggiava nel cielo. Dentro, Zola rimase schiacciato dal fasto sfolgorante. La cupola scintillante di colori, d’ori e di mosaici sembrava un astro. La profusione di marmi di ogni sfumatura era straordinaria.
Erano gli stessi marmi giallastri, rossastri, violacei, che facevano risaltare il marmo bianco degli angeli grassottelli, avevano osservato Edmond de Goncourt e suo fratello Jules.
Una gita sull’Appia Antica, la “via delle tombe”, commosse nel profondo Sigmund Freud. Nella chiesa di S. Pietro in Vincoli, il Mosè di Michelangelo gli si parò inaspettatamente davanti. Dal colosso di pietra emanava «una calma solenne, quasi oppressiva».

Rainer Maria Rilke intuì l’allenza segreta dall’architettura della capitale con le acque, acque infinititamente vive che «entrano in città attraverso antichi acquedotti e in molte piazze ora danzano sopra bianche coppe di pietra, ora si distendono in ampie vasche e scrosciano di giorno e sembrano aumentare il loro scroscio nel silenzio della notte. E ci sono giardini e viali e scalinate indimenticabili, scalinate ideate da Michelangelo, costruite sul modello delle acque che scorrono verso il basso, con una pendenza lieve, un gradino dopo l’altro».
Aldous Huxley notò le due tinte predominanti della capitale. Era dorata quando il sole batteva sui muri di stucco o di travertino, ma nera nelle ombre, profondamente nera sotto gli archi, dentro le porte delle chiese, di un nero lucido dove la pietra scolpita delle fontane splendeva bagnata.