di Maria Pace Lucioli Ottieri | Foto di Michele Barzoni
Per secoli campo di battaglia, questo territorio antico e misterioso conserva con cura le tracce del suo passato, non con nostalgia ma con lungimiranza
Da queste parti è facile immaginare il paesaggio dell’Italia interna nel Medioevo: selve punteggiate di prati e sormontate da castelli severi, torrenti, magre cascate, ponti romani, case di pietra con piccole finestre. E furiose battaglie tra Romani e Liguri, Bizantini e Longobardi, tra famiglie di feudatari, tra feudatari e vescovi, fra nazisti e partigiani, nelle valli che erano diventate la retrovia della Linea Gotica. La Lunigiana, all’incrocio tra Toscana, Liguria ed Emilia-Romagna, a cavallo di due parchi, dell’Appennino Tosco-Emiliano e delle Apuane, è sempre stata una terra di passaggio, attraversata dalla Via Francigena, percorsa da mercanti, eserciti, viandanti, pellegrini. È un territorio esteso quasi mille chilometri quadrati, cento i paesi, tutti con radici nell’Alto Medioevo. Oggi sono poco abitati e a Fivizzano (Ms), la “Firenze della Lunigiana”, al centro la piazza con la fontana medicea, per ripopolare il paese nel marzo del 2019 è nato il progetto “Cento borghi” (eletto a progetto pilota dalla Regione Toscana), un albergo diffuso con una formula nuova: i proprietari delle 80 case sono riuniti in cooperativa e, oltre a ricevere un contributo per la ristrutturazione degli appartamenti, possono affidarne interamente la gestione ai fondatori del progetto.
«Sono i monaci agostiniani che creano i primi rapporti con Firenze, culminati poi nel 1477 con l’Atto di dedizione che concedeva ai cittadini di Fivizzano gli stessi benefici e privilegi di quelli di Firenze, firmato da un Malaspina filo-Medici alla presenza di Lorenzo il Magnifico», racconta Francesco Leonardi, curatore della biblioteca civica ospitata dal convento fondato nel 1391 proprio dagli Agostiniani. Da questo paese arroccato sotto i picchi più alti delle Apuane, negli anni Settanta del Quattrocento un giovane intraprendente andò a Venezia ad imparare l’arte della stampa e vi ritornò per aprire una delle primissime stamperie italiane. Cinque anni prima di Bruxelles e nove di Londra, Jacopo da Fivizzano stampò gli incunaboli dei libri di Giovenale, Virgilio, Cicerone oggi esposti nel museo della Stampa, dando luogo a un’inattesa crescita culturale del paese. Alcuni dei borghi sono stati scoperti da belgi, olandesi, tedeschi o da italiani eccentrici e sognatori. Al castello di Verrucola, su uno sperone di roccia che domina il torrente Rosaro, ha abitato per molti anni il pittore e scultore Pietro Cascella, morto nel 2008, con la moglie, scultrice, Cordelia von den Steinen e il figlio pittore Jacopo, che ci vive tutt’ora. Prima delle belle sculture di Cascella raccolte nella sala d’armi nella torre, il castello ha visto faide e complotti culminati nella strage di una delle famiglie Malaspina che hanno dominato per secoli la Lunigiana, a opera di un cugino. Restò in vita solo Spinetta Malaspina, di poco più di un anno, che nella prima metà del Trecento cercò invano di dar vita a una “signoria” feudale che si estendesse in tutta la Lunigiana. Poco lontano, a Castiglione del Terziere, frazione di Bagnone, nel castello del X secolo ha vissuto un fivizzanese singolare, Loris Jacopo Bononi, un uomo rinascimentale, medico, ricercatore, dirigente di grandi aziende farmaceutiche, docente di chemioterapia all’università di Torino, scrittore, poeta.
Quando Bononi se ne innamora, nel 1969, il castello è un rudere. All’idea del lavoro che lo aspetta gli tremano le vene ai polsi, ma quel luogo deve diventare un centro di memorie storiche, letterarie, artistiche della sua terra, aperto a tutti, dove i libri antichi si possano toccare. Per decenni, Bononi ha raccolto oggetti, quadri, mobili, (il letto di Giulio della Rovere, un lampadario di Cristina di Svezia) ma soprattutto libri preziosi e molto rari, documenti, lettere (una, struggente, di Leopardi all’amico Carlo Pepoli, dove scrive il suo curriculum vitae.) Non lo animava lo spirito del collezionista, ma quello di un uomo che credeva nei libri e nella bellezza come strumenti di riscatto di una terra, la sua, povera e ignorata. Scomparso nel 2012, a ereditare il suo sogno è la moglie, Raffaella Paoletti, “una donna in bicicletta sul K2” come le piace definirsi per offrire un’idea immediata dell’impegno che ha di fronte. «Tutte le mattine, quando mi affaccio su questo panorama immenso, dico: “grazie Signore” che non ho davanti l’armadietto delle scope del mio vicino, ma la responsabilità è grande, tener vivo questo luogo, attirare studenti e studiosi dalle università. Loris Jacopo Bononi diceva: “Ringrazia Dio tu che cerchi libri, ringrazialo di più se sei povero, perché adesso potrai averli anche tu”».