Francia. Oceanica Brest

Alexis Courcoux

Conquistata dai Romani, la città bretone ammaliò Monet per il colore delle sue acque e fu porto dell’Impero francese. E le avventure marine continuano ancora oggi, tra musei e regate storiche

Parto con una valigia piena di curiosità. Ma – lo ammetto – in qualche tasca nascondo anche un po’ di scetticismo. Forse di snobismo. Brest? Per me Bretagna non fa rima con il cemento, insomma con la città. Bretagna sono le rocce spazzate dal vento, è schiuma di mare, sono croci di pietra davanti alle chiese. È la terra dei boschi e delle leggende e soprattutto delle coste frastagliate e delle maree che si alternano sui litorali sabbiosi. Nel bagaglio del mio immaginario Brest stona con il contorno e richiede una buona ragione. La trovo nell’acquario Océanopolis: con oltre 10 milioni di visitatori dall’apertura è il sito più visitato di tutta la regione. La sua silhouette bianca racchiude universi ricostituiti in base a clima e latitudine. Ambienti polari, temperati o tropicali sono raccontati non solo con le specie marine ma anche attraverso dati e informazioni sulla vita negli oceani e sull’impatto del nostro comportamento. Molto più di un acquario, Océanopolis è un punto di riferimento per la ricerca oceanografica e per la divulgazione. La Abyss Box, una vasca con una pressione altissima e qualche minuscolo esserino all’interno, regala per esempio un’esperienza unica perché in nessun altro luogo al mondo si può osservare a pochi centimetri dal proprio naso lo scorrere della vita a 2mila metri di profondità. Sono arrivata nel posto giusto per capire il mare. Brest che dal 2017 vanta il titolo di «ville d’art et d’histoire» ne è la sentinella, anzi la porta d’accesso.

Lo sapevano anche i miei lontani antenati romani che posero le prime pietre del castello fra il 250 e il 300 della nostra era. Se ne andarono poco più di un secolo dopo, lasciando la città in un oblio storico durato quasi un millennio. Si interruppe a partire dal XIII secolo, quando Brest venne via via circondata dalle mura di Jean de Monfort, occupata dagli inglesi, restituita ai francesi da Riccardo II, visitata da Anna di Bretagna e passata alla storia come testimone dell’attacco della nave ammiraglia inglese Mary Rose a quella francese Marie la Cordelière, che nello scontro perse mille uomini. Era il 1512. Come sanno bene da queste parti, la direzione può cambiare con un colpo di vento improvviso. Quello che investì Brest soffiò nel 1629 portandovi un emissario del Cardinale di Richelieu inviato a ispezionare il lembo estremo della Francia. Due anni dopo, Brest era sede della Marine du Ponant, del porto di Penfeld e di un arsenale: il refolo era diventato un maestrale che avrebbe rivoluzionato il destino della città. Il tocco dell’ingegnere militare Vauban arrivò più tardi, quando progettò la fortificazione. Un crescendo di successi e di fama scandisce gli ultimi anni del Seicento e poi i due secoli successivi, coronati dall’Accademia di Marina, onorati dall’arrivo di Napoleone III e salutati dagli sbuffi delle locomotive sulla prima ferrovia, nel 1865. Meno gloriosa la storia del Novecento, segnata dallo sbarco delle truppe americane durante la prima guerra mondiale e dall’occupazione tedesca nel corso della seconda.

Cancellate le ferite e terminata la ricostruzione, nel 1960 Brest ha puntato la sua rinascita sulla ricerca scientifica, spiegando le vele allo stesso vento che per secoli aveva spinto i bretoni a partire per capire, conoscere, crescere. Ieri sui vascelli che hanno fatto la storia delle scoperte marittime, oggi nei laboratori di fama mondiale, il richiamo sembra essere lo stesso, il mare. Ai colori della scuola di Pont-Aven, sulla costa fanno eco le sfumature del glaz, quel particolare punto di blu del mare dove sembra che i pittori intingano i pennelli prima di passarli sulla tela. Manet, Hue, Turner, Picasso. Monet dipinge per 39 volte la più grande delle isole bretoni, Belle-Île, 14 chilometri al largo della punta di Quiberon, con case colorate, porticciolo, botteghe per noleggiare le biciclette e naturalmente una cittadella di Vauban. «Mi trovo in un paese superbamente selvaggio – scrisse a Gustave Caillebotte – un ammasso di scogli e mare dai colori incredibili; (...) ero abituato a dipingere La Manica e avevo oramai le mie abitudini. L’oceano, però, è tutta un’altra cosa». All’interno del castello, in una delle sale del museo della Marina vengo colpita dalle vicende di François de La Pérouse e della spedizione che ne porta il nome, voluta da Luigi XVI. Partì da Brest il 1° agosto 1785 per attraversare il Pacifico come James Cook e rientrare dopo aver circumnavigato il globo. Un medico, un astronomo, un matematico, tre naturalisti, fisici, un interprete, un orologiaio, un meteorologo e alcuni preti. L’equipaggio era di quelli in grado di rivoluzionare le frontiere della conoscenza, dell’economia e della politica. Non andò così. Le navi Bussola e Astrolabio naufragarono tre anni dopo nelle acque delle Vanikoro, isole del Pacifico, in circostanze misteriose. Riparto con una valigia stracolma. Di personaggi, di storie e di scoperte partorite da una terra che 2.700 chilometri di coste hanno disegnato come la prua di una nave pronta a salpare verso l’ignoto.