di Riccardo Morri
Alla scoperta degli universi geografici della culture non occidentali, perché il Nord non è il Nord per tutti
Distanziamento sociale, didattica a distanza e smart working (o lavoro agile) parole entrate nel nostro lessico famigliare di questo scorcio di XXI secolo, che richiamano con prepotenza l’attenzione sulla necessità di poter gestire, porre sotto controllo, la dimensione spaziale e relazionale. La misura del contagio, in effetti, viene restituita non solo attraverso i numeri ma anche per il tramite di mappe, a diverse scale con al centro della rappresentazione il territorio di riferimento: la città di Wuhan, le Filippine, l’Italia, l’Europa.
Una funzione atavica, ancestrale, alla quale le diverse società, variamente distribuite sulla superficie terrestre e lungo l’asse del tempo, hanno risposto in maniera autonoma e originale, fino a quando in epoca moderna la cultura occidentale non ha avuto la forza (militare, politica, commerciale) di imporre il proprio ordine del mondo, e quindi di organizzare e controllare conoscenza, potere e rappresentazione. Le pitture rupestri di epoca preistorica per prime esprimono questa esigenza: più che riprodurre i territori di caccia, verosimilmente queste scene avevano funzione propiziatoria, in ragione del potere a loro assegnato di pre-figurare lo spazio. Esattamente come i popoli autoctoni delle isole Marshall (in Micronesia, nel Nord del Pacifico), intrecciando delle asticelle di legno, realizzavano carte nautiche che mostravano la collocazione delle isole e l’andamento delle maree. Lo facevano in funzione di quello che per loro era il vitale accesso e sfruttamento delle zone di pesca. Il valore di queste rappresentazioni non stava nella precisione della misura univoca delle distanze, le mappe non erano tanto più vere quanto più precise, ma nella capacità di produrre narrazioni condivise, non come espressione di forme di democrazia ante-litteram, ma come mezzo di comunicazione e di persuasione. La terra poteva coincidere o meno con il campo visivo e assumere le forme più disparate, piatta e circolare come i mappamondi a T di epoca medievale. E con orientamenti funzionali al proprio sistema di credenze e tradizioni, di cui il corso apparente del sole durante il giorno era il principale ispiratore.
Proprio per questo il Nord non è stato sempre a Nord, non solo in termini geomagnetici, vale a dire a causa dell’inversione delle polarità del campo magnetico terrestre nel corso delle ere geologiche, ma anche in relazione ai sistemi culturali che hanno prodotto le diverse rappresentazioni. Così le carte geografiche potevano essere orientate verso Est (per il sorgere del sole e/o per la presenza di Gerusalemme), oppure verso Sud, come era comune nella cartografia islamica. Un racconto, quello del lontano e vicino da noi, indispensabile per governare lo spazio in funzione della sopravvivenza.
*presidente Aiig, professore di Geografia UniRoma1