di Giuseppe Scaraffia
Quando Kipling viaggiò in Nordafrica si sentì a casa, come in India. Della terra dei faraoni fu affascinato dal deserto e dai suoni, ma ne odiò gli afrori
In Egitto, la prima cosa che colpì Rudyard Kipling fu l’intensità degli odori, «Grande è l’odore dell’Oriente! Chi non l’ha sentito non ha mai vissuto!» E i suoni, «il richiamo della preghiera, la cadenza di certe grida della strada». In un sussulto di nostalgia verso l’India, in cui era cresciuto, pensò: «Questo è di nuovo il mio vero mondo». Lo accompagnava la moglie. Sorella di un grande amico di Rudyard, Caroline, detta Carrie, aveva tre anni più del marito e vegliava, secondo alcuni troppo assiduamente, sulla sua tranquillità. Ma Kipling ormai era una celebrità e molti erano in grado di riconoscere lo sguardo acuto trincerato dietro gli occhiali e i tratti risentiti del viso, sottolineati dalle linee parallele delle folte sopracciglia e dei grossi baffi. «Avevo lasciato l’Europa solo per scoprire il sole che, a sentire le voci, doveva trovarsi in Egitto». Si divertiva a osservare gli sfoghi dei compagni di viaggio, incapaci di inserirsi nei lenti ritmi africani. Gli piaceva ascoltare il brusio delle palme che «cantavano maestosamente», smosse dal vento del Nord. Vedendo un ragazzo in groppa a un asino masticare pezzi di canna da zucchero violacea pensò a quella di Bombay. Il Cairo era sporco e disordinato, i tram sembravano seguire percorsi casuali. Neanche il sole e il vento riuscivano a pulirlo.
Si rifugiò nel quartiere arabo dove niente sembrava mutato da secoli: i muri lucidati dall’afflusso dei passanti, i mercanti seduti davanti alle botteghe. «Quando i piedi sono scalzi, il corpo intero pensa». Contemplava le indolenti trattative per gli acquisti, si beava dell’astuta eloquenza dei venditori, ma non comprava nulla. Entrò in una moschea abbandonata; era vuota ma si sentiva aleggiare qualcosa di forte e intenso. «L’Islam ha solo un pulpito e un’inflessibile affermazione, l’aria ne vibra ancora». Nelle moschee gli piaceva lo spettacolo dei giovani seduti a terra ad ascoltare gli insegnanti. O il sordo mormorio prodotto dalle preghiere dei fedeli salire «come il rullo dei tamburi». I Kipling si imbarcarono per risalire il Nilo. A volte il fiume scorreva davanti a «un’arca di Noè in miniatura» di uomini, cammelli, capre, pecore. A ogni sosta trovavano ad aspettarli branchi di asini che li portavano verso la meta, mentre ascoltava con divertito orrore le chiacchiere dei turisti. La voce dei dragomanni, gli interpreti egiziani, risuonava nelle buie gallerie della Valle dei Re. Anche i turisti più scrupolosi, notò Kipling, dimostravano una certa fretta di tornare all’aperto. Il deserto lo colpì molto: «Il suo peso è su di te, ogni giorno, ogni ora«. Era convinto che pieghe remote del deserto proteggessero ancora gli scheletri lavorati dal vento dei soldati di antiche battaglie. Al tramonto la sabbia si striava di giallo e di viola. Come una bajadera che assume pose impudiche davanti ai turisti deliziati.