Riscopriamo la geografia. Viaggi da fiaba

Il racconto di viaggio come mezzo e strumento di conoscenza, di scoperta interiore e dell’altro da sé.

«È camminando che si fa il cammino». Lo ha scritto il poeta Antonio Machado, l’ha ripreso Luis Sepulveda come epigrafie per Patagonia Express, il suo viaggio alla fine del continente latinoamericano. La natura dell’esistenza umana è odeporica, ovvero legata al viaggio: la partenza come inizio o distacco, il viaggio come attraversamento, la meta come obiettivo, che sia conclusione, ritorno o nuova partenza, tutto in una dimensione individuale e collettiva. Il racconto di viaggio allora diventa mezzo e strumento di conoscenza, di scoperta interiore e dell’altro da sé; narrazioni nate per condividere e/o imporre rappresentazioni (di gruppi umani, di tradizioni e di territori), nella letteratura come nella tradizione orale, nella cartografia come nei lungometraggi di animazione. Una tradizione antichissima, in cui parole e geo-graficità instaurano una fertile relazione. Ne sono una testimonianza le periegesi di epoca ellenica e i peripli dell’antica Grecia: descrizioni topografiche di aree geografiche con informazioni di carattere storico e folkloristico, come la Periegesi di Ecateo di Mileto (VI secolo a.C.), cui sovente nei peripli si associano accurate indicazioni circa la posizione dei porti e le caratteristiche delle linee di costa, indispensabili per imprese coloniali e commerciali. Come nel Periplo del Mediterraneo di Scilace di Carianda (VI secolo a.C.) o in quello di Pitea di Marsiglia, dal titolo presunto “Intorno all’oceano”, che nel IV secolo a.C., attraversato lo Stretto di Gibilterra, si spinse fino al mare del Nord.

Un solco nel quale anche il viaggio via terra trova la sua codificazione e riconoscibilità in epoca romana, in cui alla copiosa produzione di piante di città che si associava all’attività agrimensoria, si affianca la realizzazione in epoca imperiale di Itineraria, del genere scripta, resoconti di viaggio che poi nel medioevo alimenteranno, e si arricchiranno, con i circuiti di pellegrinaggio, o del genere picta, come la Tabula Peutingeriana, una carta geografica realizzata su una striscia di pergamena lunga quasi sette metri, in cui viene riportato il tracciato delle principali città e strade dell’Impero e delle stazioni situate lungo di esse con l’indicazione delle distanze che le separavano. In questo ideale viaggio a tappe, una menzione spetta ai Portolani, non solo per la continuità con questa tradizione di racconto di esplorazione e di trasmissione di conoscenza, ma come elemento cerniera con le innovazioni che si affermeranno in età moderna. Descrizioni e carte geografiche, strumenti e tecniche per l’orientamento, una lingua franca – il sabir – che travalica appartenenze etniche e domini culturali e conferisce al portolano un carattere di universalità. Elementi che si possono rintracciare già nell’esemplare più antico, il Compasso de navegare, datato 1296, conservato nel Codice manoscritto Hamilton 396. Un ruolo importante nello studio, documentazione e divulgazione della letteratura di viaggio in epoca storica è svolto in Italia dal Cisge, Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici (cisge.it). La serie di riferimenti possibili è pressoché infinita, passando per la Divina Comedia e Il Milione per arrivare alla contemporanea produzione fantasy. Perché nella costruzione di un immaginario geografico collettivo uno spazio importante hanno anche prodotti informali in cui spesso il resoconto di viaggio come esperienza di formazione assume valenza catartica. È il caso delle fiabe, sia in quanto teatro dei viaggi di iniziazione dei personaggi, sia perché, come ricordava Italo Calvino, «la fiaba, qualunque origine abbia, è soggetta ad assorbire qualcosa dal luogo in cui è narrata, un paesaggio, un costume, una moralità, o pur solo un vaghissimo accento o sapore di quel paese».

*Riccardo Morri è Presidente Aiig, Associazione italiana insegnanti di geografia e professore di Geografia a UniRoma