Una foto, una storia. Cartoline grande formato

La maggioranza di noi nelle sue escursioni si muove cercando di ritrovare un’immagine che già ha in testa e cerca di concretizzarla. Magari partendo da un cartolina grande formato...

Che in questa fotografia scattata in Francia sia riprodotto un panorama di Napoli ci vuole un attimo a capirlo. Il profilo del Vesuvio è ben più aguzzo di quel che siamo abituati a vedere, la cima del vulcano più seghettata. Ma, anche se l’uomo con il camice copre Castel dell’Ovo, un napoletano con l’occhio attento non tarderà a riconoscere in basso a sinistra la mole di Santa Chiara e lì accanto il taglio netto di Spaccanapoli. A dirla tutta ci vuole un po’ anche a capire che quella riprodotta sul telo bianco lungo 12 metri e alto un metro e mezzo è un'immagine fotografica e non un dipinto. E invece è una foto, foto che i tre baffuti pittori stanno leggermente ritoccando intervenendo su cielo e particolari, quasi fossero dei Photoshop in carne e ossa.

Siamo nello studio H. Boyer di Parigi, specializzato in immagini di celebrità e riproduzioni di paesaggi. È la metà degli anni Venti e l’immagine è un esempio di quella che all’epoca veniva chiamata “fotografia gigante”. Il panorama di Napoli è stato realizzato da un gruppo di ingegneri tedeschi, come spiega l’articolo delle Vie d’Italia dell’ottobre 1924 corredato da queste immagini. Pagine molto tecniche firmate da Guido Arosio in cui si discute di ingrandimenti e tecniche fotografiche, ma si accenna anche a un tema che oggi sembra così scontato da sembrare ovvio, l’utilizzo delle “riproduzioni fotografiche come mezzo di efficace propaganda turistica”. Tema talmente ovvio che tutti gli studiosi del turismo sono concordi e sicuri nell’affermare che «l’attrattività turistica di una località è fondata su di un repertorio di immagini della stessa». Così geografi e storici del turismo sono soliti sostenere che l’immagine di un luogo pre-esiste al viaggio stesso. Al punto che la spinta motivazionale di una partenza quasi sempre è legata a un’immagine vista e all’atto pratico le immagini finiscono per guidare l’esperienza reale del viaggio.

A quanto pare la maggioranza di noi nelle sue escursioni si muove cercando di ritrovare un’immagine che già ha in testa e cerca di concretizzarla. Anzi ormai, con l’avvento della telefonia digitale, ognuno cerca di scattare la propria versione di quell’immagine stereotipata da poter condividere. E pace se è uguale uguale a quella pubblicata dal vicino di casa o dall’influencer di turno su instagram. L’immagine fa così parte del copione del viaggio, quello immaginato prima di partire, leggendo se va bene una guida di viaggio, o informandosi dalle fonti più disparate. Essendo stato riprodotto decine e decine di volte nelle forme più insolite e sui supporti più astrusi, dalle pagine di una rivista alle calamite da frigo, dalle scatolette di cioccolatini alle scene di un film, un luogo diventa riconosciuto e riconoscibile tanto da diventare famigliare. Così famigliare e ormai parte del nostro immaginario che si sente un desiderio irrefrenabile di mettersi in moto per andarlo a vedere. Il mondo della promozione turistica diventa così un atlante di immagini selezionate, icone facilmente identificabili come un tramonto a Santorini e una vista di Parigi con la Tour Eiffel. Icone che diventano motore del viaggio. E allora viene spontaneo chiedersi se quei tre intenti a ritoccare il panorama di Napoli fossero consapevoli delle implicazioni storiche della loro attività, oppure se stessero maledicendo l’avvento della fotografia, che avrebbe fatto perdere il lavoro ai paesaggisti e agli amanti dell’acquerello.

Foto Archivio storico Tci