di Mario Tozzi
L'emergenza Covid-19 è l'occasione per riappropriarci di un territorio, il nostro, che avevano fin troppo trascurato
Ci piace così tanto ripeterci che l’Italia è il più bel Paese del mondo e che la maggior parte delle testimonianze storiche e artistiche sono concentrate sul nostro territorio che non sappiamo nemmeno più se le cose stiano proprio così. Qualcuno ha davvero mai fatto un conto quantitativo? E abbiamo considerato la qualità, cioè la bellezza, il valore intrinseco di un sito o di un monumento? E con quali parametri, visto che si tratta di questioni palesemente soggettive? Sono calcoli e considerazioni che normalmente avremmo affrontato non senza qualche spunto polemico, ma che, in tempi di uscita dalla pandemia, possiamo tranquillamente lasciare da parte, con buona pace di francesi e cinesi, che, anche loro, penseranno lo stesso per i propri territori. Del resto sono molte le nazioni del mondo a rivendicare paesaggi unici, magnifiche opere d’arte e una storia antica e importante. Non possiamo illuderci di essere gli unici. Semmai resterebbe da comprendere perché, pur ammettendo di essere il Paese più bello, non siamo quello più visitato e, anzi, siamo battuti proprio da francesi e cinesi, oltre che da Stati Uniti e Spagna.
Non è questo il momento per entrare in competizione, perché ciascuno ha le proprie ragioni, ma c’è qualcosa di davvero particolare nella penisola italiana, qualcosa che altrove è più difficile da riscontrare: il valore del contesto. In Italia quello che conta è il tessuto connettivo, fatto di natura ancora intatta, paesaggi straordinari e una luminosa storia millenaria.
Un tessuto qualche volta non adeguatamente percepito che però tiene insieme il Paese, lo rende immediatamente riconoscibile e travalica il valore delle singole città d’arte e dei monumenti. Una trama nella quale i viaggiatori del passato si trovavano magicamente inviluppati e affascinati per sempre: solo in Italia si sentivano veramente felici (per parafrasare Goethe). Una ricchezza di contesto che, fortunatamente, è impossibile da globalizzare a causa della straordinaria varietà: chi potrebbe immaginare che si tratti dello stesso Paese, da Bolzano a Palermo, da Lecce a Torino? Questa storica resistenza alla omogeneizzazione è proprio il punto da cui dobbiamo ripartire, sfruttando le inibizioni ai viaggi per riscoprire quella trama che rende unico, davvero, il nostro Paese. Ripartiamo dall’Italia non è solo uno slogan dettato dalle circostanze, è un viaggio ineludibile di riappropriazione di un territorio che avevamo trascurato e abbandonato.
«In Italia in dieci leghe cambia tutto» scriveva già Stendhal, che lo aveva capito prima di tanti di noi. Molto del nostro fascino sta nell’armonica, eppure sorprendente, variabilità di colori, suoni, sapori e umanità. Oggi abbiamo l’occasione per recuperare il tempo perduto e ripartire visitando l’Italia, consapevoli che nemmeno una vita intera basterebbe e che per il resto del mondo ci sarà tempo più in là.