di Isabella Brega
Le opere di Morbelli e Pellizza si confrontano con i luoghi in cui nacquero
I nostri cugini francesi sembra abbiano una marcia in più. Una capacità di comunicare il proprio Paese, facendo spesso leva sul glamour, anche linguistico, che li pone molte volte avanti a noi: champagne “suona” meglio di spumante, hotel ha un allure migliore di albergo e coiffeur è più chic di parrucchiere. Non è un caso quindi che, nonostante l’Italia detenga la maggior parte del patrimonio artistico mondiale, da molti anni la Francia ci superi per numero di turisti. La casa e il giardino di Giverny, immortalati nelle tele di Claude Monet, sono meta ogni anno di migliaia di visitatori, alla ricerca di quei giochi di luce, di quelle ninfee sfatte, di quei laghetti smaltati di blu raffigurati in molte opere del grande impressionista. Eppure in Piemonte anche noi abbiamo la nostra piccola Giverny che, se fosse Oltralpe, riceverebbe la giusta attenzione al pari del suo proprietario, il pittore Angelo Morbelli, meritevole di miglior fama presso il grande pubblico. A Ro-signano, dove il Monferrato si aggrappa quieto al cielo per gonfiarsi in quelle colline che rivendicano un’autonomia paesaggistica dall’anonima orizzontalità della pianura del Po, fra vigne e noccioli, faggi e cascine che nascondono cuori scavati nel tufo, quegli infernot dove spesso il vino sonnecchia in attesa di diventare grande, nella frazione de La Colma si trova Villa Maria, luogo dell’anima e residenza estiva di questo maestro del divisionismo. È una mastoidite a fare di Angelo, nato ad Alessandria il 18 luglio 1853 da una famiglia della piccola borghesia casalese, un pittore. A sette anni infatti, mentre è convittore presso il collegio dei Padri Somaschi di Ca-sale, contrae la malattia che lo porterà a una sordità progressiva, costringendolo ad abbandonare la carriera musicale verso la quale è orientato grazie alle sue doti naturali. Comincia così a prendere lezioni di disegno e nel 1867 si iscrive all’Accademia di Brera di Milano, ottenendo medaglie e riconoscimenti. Morbelli è un innovatore. Utilizza la fotografia come supporto all’uso della prospettiva, sperimenta strumenti e materiali nuovi, anche di sua invenzione (arriverà a tagliuzzare i pennelli per ottenere gli effetti voluti), e rivolge la propria attenzione a temi contadini e popolari, senza cadere nella tentazione aneddotica. Decisivo il suo incontro con il critico e mercante d’arte Vittore Grubicy de Dragon, che lo lega a sé con un contratto (1887-93) e lo spinge ad approfondire gli studi sulla luce e sul colore. Il suo realismo sociale, privo di compiacimento ma pieno di umana partecipazione, trova la sua massima espressione nella struggente serie dedicata agli ospiti del Pio Albergo Trivulzio di Milano dove, per sviluppare il tema della vecchiaia, della desolata dimensione dell’abbandono e dell’isolamento degli anziani ai margini della nascente società industriale, finisce addirittura per allestire un proprio studio.
Dopo una parentesi simbolista, la scoperta del divisionismo. Morbelli, utilizzando una vi-brante cromia di colori puri stesi con nervosi tocchi di pennello, approfondisce il tema del paesaggio, soggetto preferito di tanti quadri dipinti nella villa dedicata alla moglie Maria Pagani, sposata nel 1882 e madre dei suoi quattro figli. Luogo di svago, di incontro con gli a-mici artisti ma soprattutto di sperimentazione, dove il pittore si ci-menta col variare della stagioni, delle condizioni atmosferiche e delle ore del giorno, la casa ap-partiene ancora alla famiglia Morbelli, che la apre generosamente ai visitatori. Le sensuali ninfee di Giverny si trasformano qui negli umili gerani o nelle timide bocche di leone dei vasi allineati sul mu-retto, affacciato su un vasto panorama, che delimita il giardino ma anche il mondo degli affetti morbelliani. Immortalato nelle immagini dell’amico Francesco Negri, pioniere della fo-tografia italiana, il luminoso atelier, ospitato nel sottotetto, conserva i colori, il cavalletto, la libreria con opere di Walter Scott e annate del Mercure de France, disegni e documenti. Non manca neanche la bombetta dell’artista, ap-poggiata sulla sdraio raffigurata più volte nelle sue opere. Come spesso succede in Italia, la memoria e la valorizzazione del pittore devono molto allo sforzo di coloro che decidono di non voltarsi dall’altra parte e di prendersi cura di un bene comune come il patrimonio artistico, in questo caso gli Amis d’la Curma (amisdlacurma.it) che, oltre a recuperare lo studio di Angelo, insieme al Comune di Rosi-gnano hanno curato le 15 riproduzioni di opere di Morbelli, poste nello stesso luogo in cui furono dipinte lungo un percorso turistico che parte da Uviglie.
Poche decine di chilometri e le vigne del Monferrato lasciano il posto a coltivazioni di fragole e di pesche, mentre alla serenità borghese di Morbelli si sostituiscono l’inquietudine e la vita travagliata di Giuseppe Pellizza. A Volpedo, sui colli tortonesi, si trova infatti l’atelier dell’altro maestro del divisionismo, nato qui il 28 lu-glio 1868 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Il padre Pietro è impegnato nel-la locale Società Operaia, come farà poi il figlio, e nella vita politica e sociale del paese. Gli studi nelle accademie ar-tistiche di Milano, Roma, Firenze, Napoli e poi il ritorno nella cittadina natale, dove Giuseppe trascorre le giornate nella ca-sa con studio, costruito nel 1888, di via Rosano. Progressiva-mente i suoi quadri, con scene popolari di stampo verista, si avvicinano a temi sociali e a motivi di ispirazione simbolista. È Plinio Nomellini a spingerlo intorno al 1890 verso le prime sperimentazioni divisioniste, che hanno come te-ma le strade e il paesaggio volpedese, come nel caso di Sul fienile o Mam-mine. Un legame così forte, quello di Pellizza con il proprio paese, da portarlo a partire dal 1892 a firmarsi “da Volpedo”. Dal 1894 si avvicina a Giovanni Segantini e ad Angelo Morbelli, mentre nel 1901 prende vita Il Quarto Stato, icona pop del XIX secolo e simbolo della lotta sociale del proletariato, grazie anche alla sua pubblicazione sul-la rivista Avanti della Domenica. Donato dalle due figlie di Pellizza al Comune, lo studio del pittore conserva ritratti di famiglia, disegni, libri, oltre alla scala alla quale a 39 anni, fiaccato dalla perdita di moglie e figlio neonato, si impicca il 14 giugno 1907. Completa il percorso di approfondimento sull’artista un museo didattico allestito a Palazzo del Torraglio, con foto, documenti e una installazione multimediale dedicata a Il Quarto Stato. Come nel caso di Morbelli anche qui la tutela e promozione del maestro, oltre che la gestione dei musei, si deve a una realtà locale, l’As-sociazione Pellizza da Volpe-do (pellizza.it), che ha pure cu-rato un itinerario per le vie del borgo, dove sono state collocate 18 riproduzioni di dipinti ne-gli scorci che li hanno visti nascere, oltre a quattro sentieri escursionistici sulle colline circostanti. Le o-pere rinnovano così il legame con i territori che le hanno ispirate e ritrovano la luce e i colori del Piemonte. Nate en plein air tornano all’aria aperta, nella natura e fra la gente, offerte all’ammirazione di tutti. In tempo di coronavirus non è poco.