Una foto, una storia. Ripartiamo dalla cultura, come nel 1951...

Archivio Tci

Oggi come negli anni Cinquanta la cultura può essere un mezzo per ripartire. Dagli archivi del Touring la storia di due mostre eventi degli anni Cinquanta

Alla mostra c’erano andati l’Anacleto gassista e le signorine snob, i critici d’arte militanti e quelli che non militavano se non per l’arte, gli appassionati di vita mondana e quelli che per la prima volta mettevano piede a un’esposizione d’arte. Era il 1951, Milano era ferita e bombardata: in viale Argonne c’erano ancora le baracche degli sfollati, Vittorio De Sica usciva nella sale con Miracolo a Milano. Ma il vero miracolo avvenne nel centro del centro, a un passo dal Duomo, a Palazzo Reale. Il 21 aprile inaugurava la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi. Fu un successo inaspettato: tre mesi di esposizione, oltre quattrocentomila visitatori. Lo storico dell’arte Paolo D’Ancona su Le Vie d’Italia l’anticipava, e nel presentarla ai soci Touring la definiva semplicemente «grandiosa». Vennero esposte 61 opere di Michelangelo Merisi, pezzi che mai più hanno abbandonato il Louvre: per ottenerle vennero smossi ministri e alti prelati, un giovane Andreotti e il futuro Papa Luciani. Curata da Roberto Longhi come punto finale di un percorso di studi durato 40 anni, la mostra milanese rappresentò uno spartiacque nella fortuna di Caravaggio.

Ma questo qui poco importa: perché Caravaggio nel 1951 fu soprattutto un segnale di rinascita culturale per un’Italia messa in ginocchio dalla guerra che si apprestava a vivere il suo boom. Ed è per questo che è entrata nella storia delle grandi mostre d’arte che hanno scandito il secolo scorso, diventando nei fatti la prima grande esposizione «popolare». Il merito, scriveva il critico Leonardo Borgese sul Corriere della Sera, è di Caravaggio che «è piaciuto al grande pubblico moderno appunto perché non è un artista alla moderna; la gente è stufa forse di quadri senza contenuto, stufa di quadri o pezzi senza contenuto e senza personaggio, di cubismi, futurismi, astrattismi, e altra roba da intellettuali, di pittura per pittori». E Anacleto gassista rappresentava – secondo quanto scriveva Longhi nel Consuntivo alla mostra – proprio quel popolo umile, con voglia di cultura e di rinascita, che aveva decretato il successo della mostra. «Oggi tutti sanno chi fu Caravaggio, in altri tempi tacciato di volgarità e brutale realismo, proprio grazie a quella mostra che contribuì all’educazione artistica delle masse» scrisse dieci anno dopo il critico Mario Monteverdi su Le Vie d’Italia.

Scriveva queste parole presentando un’altra mostra di popolo destinata a segnare la storia dell’arte e del costume del Paese. Certo, quello di Milano era un popolo un po’ diverso rispetto a quello che affollò la mostra ospitata nella sale del castello di S. Giorgio, a Mantova, dedicata a Mantegna. Curata da Giovanni Paccagnini, con oltre 200 opere la mostra riportava l’arte del Mantegna nelle mura della reggia gonzaghesca, grazie a gioielli oggi inamovibili come la Morte della Vergine di proprietà del Prado, che da Madrid arrivò a Mantova in treno. Inaugurata il 6 settembre con un discorso del Presidente della Repubblica, rimase aperta per settanta giorni. Settanta giorni in cui accorsero oltre 250mila visitatori e vennero vendute più di 20mila copie del catalogo. Era la nuova classe media «motorizzata» che inaugurava la moda del weekend, della gita fuori porta con la scusa dell’arte. La città ne fu travolta, i ristoratori non ce la facevano più a sfornare ravioli di zucca. Da Roma venne organizzato un volo speciale Alitalia con a bordo poeti e intellettuali, registi e dive del cinema come Sophia Loren e Monica Vitti. Fu un evento internazionale: Salvador Dalí confessò a una guida di volersi inginocchiare per adorare la Camera picta, per poi ritrattare affermando in pubblico che Mantegna non gli piaceva affatto. Secondo lo storico dell’arte Giovanni Agosti «fu il primo fenomeno di massa del turismo culturale in Italia». Un’occasione di riscatto della provincia italiana, che uscendo dalle nebbie recuperava la propria antica tradizione culturale come strumento di progresso. Non solo, per la prima volta una mostra entrò tra i programmi delle visite scolastiche italiane. Come a dire che, oggi come allora, se ben pensata e ben organizzata la cultura può diventare volano di sviluppo, anche quando intorno tutto sembra bruciare.

Foto di Archivio fotografico Tci