Etna. Fuoco amico

Max RellaMax RellaMax RellaMax RellaMax RellaMax Rella

Alla scoperta di luoghi, storie, persone e prodotti dell’entroterra catanese segnato dal vulcano, scenario di un nuovo turismo sostenibile

Lo chiamano Cannizzo ed è una torre di vedetta normanna che si proietta nel cielo di Castiglione di Sicilia. Da quassù il mare, che dista 20 chilometri con le spiagge di Giardini Naxos, sembra a portata di mano così come, dall’altro lato, il versante nord dell’Etna, con la sua vetta a poco più di 40 chilometri. Fiotti di vapore, che sembrano dipinti sull’orizzonte, stringono la cima in un abbraccio primordiale. «Oggi la montagna parla e noi l’ascoltiamo» dice Carmelo Savoca, giovane del luogo che lavora nel turismo. I suoi occhi azzurri e i capelli chiari sono l’impronta di quegli “uomini del Nord”, i Normanni, che dominarono l’isola per quasi un secolo e mezzo, dando inizio a un’espansione demografica dopo secoli di relativo decadimento e fondando monasteri, città e fortezze. Era il XII secolo: Castiglione arrivò a grandi splendori proprio a quei tempi, quando furono edificate le mura difensive, tra cui il Cannizzo appunto, e forse anche il poderoso castello di Lauria. Ancora oggi il maniero simbolo del paese dona al borgo un marchio di regalità. Arroccato nella parte più alta dell’abitato, con le pietre scure che lo contornano, sembra quasi un secondo vulcano. Questo piccolo regno di meno di tremila abitanti, che si permette di guardare Taormina dall’alto in basso, è parte di un “eco-itinerario” sperimentale che, pur non toccando il territorio a ridosso dell’Etna, entra nell’entroterra comunque segnato dalla montagna di fuoco. Amaro e dolce vulcano che “prende e dà”, come dicono da sempre i contadini più anziani, bruciando con la cenere rovente le coltivazioni, ma rendendo i suoli fertili e morbidi come burro e leggendari per la loro qualità prodotti come vino, olio, miele, nocciole, mele e pistacchi. Il percorso di circa 60 chilometri si chiama Il sentiero delle ginestre e delle vigne, segnalato da cartellonistica provvista di codici Qr BuonaStrada, e si sviluppa tra i Comuni dell’area etnea e della valle dell’Alcantara (da Nicolosi a Pedara e poi Trecastagni, Zafferana Etnea, Milo, Sant’Alfio, Linguaglossa, Randazzo e Castiglione di Sicilia).

«Si tratta di un circuito finanziato e realizzato dal Gal, Gruppo Azione locale Terre dell’Etna e dell’Alcantara, e dalla rete Emblematic Mediterranean Mountains (vedi box a pag. 40)» spiega Vincenzo Papa, tra i responsabili del progetto che mira a creare formule di turismo sostenibile nelle aree interne a ridosso di quelle costiere. «E si può intraprendere in bici, a piedi, a cavallo, prevedendo l’utilizzo di infrastrutture già esistenti (ci sono anche aree private attrezzate per pernottare in tenda) e favorendo l’interazione con la popolazione e i produttori locali per far respirare al visitatore l’essenza di questa terra», prosegue Papa. Un itinerario di fuoco e fiamme, dunque, ma anche di tanta, inaspettata, acqua, coinvolta appieno nel tour sostenibile grazie a un fiume simbolo del territorio: il gelido Alcantara, il cui nome odierno deriva dalla parola araba Al qantar, che vuol dire vaso, e rimanda alle strette e levigate gole che il fiume ha scavato nella scura pietra dell’Etna.

Dal castello di Lauria l’Alcantara – l’unico della regione ad essere tutelato da un parco fluviale – sembra un serpentello, ma da vicino dispiega le sue forze ultra millenarie. Scriveva nel 1556 lo storico locale Filoteo degli Omodei: «Passa per un tratto cupo e stretto formato da certi gran massi tagliati dalla natura, che chiunque vi mira pone spavento per l’immensa e oscura profondità». Caratteristiche spettacolari che lo rendono ancora oggi un piccolo Grand Canyon, scende a mare con la sua acqua gelata tra pareti di roccia a picco, ed è adorato dai turisti, soprattutto stranieri. Ardimentosi olandesi e tedeschi, con casco, muta o stivali, lo risalgono con le gambe a mollo e praticano per ore il body rafting tra i giochi della corrente. «L’Alcantara è un intero libro di geologia» spiega Daniele Sciuto, guida ambientale escursionistica e direttore del tour operator Etna Discovery. «Un libro che racconta delle imponenti colate dell’Etna nel corso di milioni di anni giunte a trasformare e a ostruire il suo fluire. Parlano da sole le Gole di Contrada Larderia, il luogo più frequentato dai visitatori, che stringono il fiume per circa 400 metri con pareti laviche strette pochi metri e alte fino a 50. Uno scenario naturale che nel 2010 ha ottenuto il riconoscimento internazionale di Destinazione europea di eccellenza». D’un tratto qui l’acqua si può trasformare in vino. Capita in questa terra di portenti, ricca di minerali, dove se pianti una bottiglia nasce una vite.

È una storia vecchia come il mondo, quella della vinificazione sulla terra marchiata dal fuoco, che risale alla colonizzazione greca della Sicilia orientale (729 a.C.), e forse anche prima. Alla fine dell’Ottocento la provincia di Catania era la più “vitata” della Sicilia, in seguito vi furono drastiche riduzioni a causa della diffusione della fillossera e delle frequenti eruzioni, ma i tempi recenti raccontano di un trend di successo: da circa vent’anni tutte le più importanti case vinicole siciliane, seguite dai grandi marchi italiani e internazionali, hanno scelto di impiantare vigne nella zona tra Castiglione di Sicilia e Randazzo, trasformando il paesaggio in un mare di vigne e portando lavoro e sviluppo, oltre che passione e speranza. Una piccola e attiva wine valley, con oltre 180 produttori nel territorio dell’Etna doc e relative cantine, alcune delle quali messe in rete sul Sentiero delle ginestre e delle vigne. Tra queste, l’azienda di Francesco Tornatore, proprietario di oltre 60 ettari tutti piantati a vigna, con una produzione di circa 300mila bottiglie all’anno. Con lui, il patron di Eataly Oscar Farinetti ha stretto una partnership rilevando un’azienda in contrada Carranco a Solicchiata, frazione di Castiglione di Sicilia. «Riceviamo in media 180 visitatori al mese» dice Federica Campo, che alla Tornatore si occupa dell’ospitalità. «Sono persone che portiamo in visita ai vigneti, alla cantina e poi all’assaggio dei nostri “campioni”». E quando dice assaggio intende – come sempre avviene in Sicilia – che una normale, leggera, degustazione si trasforma in un vero e proprio pranzo. Se invece si vogliono mettere le mani in pasta bisogna andare dai fratelli Santoro, specializzati nel settore delle conserve alimentari come le creme di pistacchio, di mandorle e di nocciole: un barattolino di 200 grammi racchiude saperi creati e replicati da generazioni di mani e schiene curvate sulla terra. Nella nuovissima Santoro Country house, che sorge a Rovittello, nei pressi di Castiglione di Sicilia, oltre alla degustazione di vini con sommelier si può partecipare a lezioni di cucina e a percorsi aromatici, allestiti dalle donne del luogo, per un pieno a base di peperoncini, noci, finocchietto, olive e funghi porcini. Tutti orgogliosamente vulcanici, compresi i Santoro, mirabile sintesi fra tradizione e futuro.

Zafferana Etnea il vulcano si fa più vicino con la strada provinciale dell’Etna che la collega alla stazione turistica che ruota intorno al rifugio Sapienza (a Nicolosi) da un lato, e a quella di Piano Provenzana (a Linguaglossa) dall’altro. Zafferana è conosciuta come la “perla dell’Etna”, ma per tutti è “l’oro del vulcano”, per quel colore giallo che entra nell’etimologia del suo stesso nome e nella narrazione del territorio. Zafferana è gialla come la lava di fuoco che più volte l’ha toccata nel corso dei secoli; gialla come lo zafferano appunto, che qualche decennio fa rappresentava l’industria principale; gialla come le ginestre, che popolano i boschi circostanti, e come il miele la cui produzione – con oltre 700 apicoltori – rappresenta il 20 per cento del totale nazionale. Il sindaco Salvatore Russo giura che c’è lavoro per tutti e che il turismo vola grazie anche a una buona ricettività (1.500 posti letto più 80 bed and breakfast e un relais di lusso) e attenzione alle iniziative culturali quali la Festa del libro ma, soprattutto, il Premio Brancati, dedicato allo scrittore siciliano che come altri autori (Luigi Capuana, Federico De Roberto, Giovanni Verga) trascorreva qui molti mesi all’anno e dove spesso scriveva i suoi romanzi. Uno dei suoi più famosi, Paolo il caldo, è ambientato proprio a Zafferana Etnea. In centro, la quasi centenaria pasticceria Donna Peppina sforna una dopo l’altra specialità come la “siciliana” – pizza fritta con tuma e acciughe – e i “biscotti sciatori”, ricoperti di cioccolata, il cui nome deriva dalle scorpacciate degli sciatori, affamati dopo le spossanti discese sulle piste dell’Etna.

E intanto, nel territorio circostante, le antiche colate trasformate in percorsi raccontano le loro storie con la ginestra aetnensis, che “gialleggia” sul rossiccio pietrificato. Eppure, nonostante tutto questo, la vita non è semplice e la gente, soprattutto i giovani, emigrano. «Lo sa che in 15 anni sono andate via dalla Sicilia 500mila persone?», non si dà pace Carmelo Savoca, il normanno dagli occhi color del mare incontrato all’inizio. Come tanti altri anche lui si chiede «Come si può lasciare questa terra meravigliosa? Per me cu resta arrinesci, chi resta ha successo». E nel farlo cita le parole che l’artista e mecenate dell’arte, il siciliano Antonio Presti, a sua volta prese in prestito da San Francesco, trasformandole in uno slogan a favore di chi sfugge all’esodo. Ci sono anche quelli che partono, ma poi ritornano. È il caso di Andrea Papa e Salvatore Monforte, rientrati da poco a Castiglione di Sicilia da Milano e Francoforte, e già il loro progetto è un successo: si chiama MonPa, uno splendido bar affacciato sulla Valle dell’Alcantara, alle spalle del castello di Lauria. «Il turismo e l’ospitalità – dice convinto Andrea – devono essere la nostra Silicon Valley». Ben vengano allora le iniziative come Il sentiero delle ginestre e delle vigne che, unendo le forze economiche locali ed europee riescono, coniugando turismo, cultura ed enogastronomia a creare lavoro e orizzonti, rigenerando territori che in realtà hanno già tutto. Qui, a due passi dall’Etna, dove la terra è grassa e se pianti una bottiglia nasce una vigna, funziona.

Fotografie di Max Rella