Dolomiti a due ruote

Dal lago di Braies alle Odle, come raggiungere mete classiche e meno note del Sudtirolo, tra Pusteria e val di Funes, grazie alla bicicletta a pedalata assistita

Firenze deserta, Roma senza pellegrini e Venezia orfana di turisti. Nei luoghi simbolo dell’Alto Adige, icone di instagram, non è così. Mancano 40 minuti all’apertura, ma al noleggio barche del lago di Braies sono già in attesa in una decina tra coppie e famiglie con bambini. L’obiettivo? Coronare il sogno di remare nello scenario della casa sull’acqua reso “immortale” dalla serie televisiva della Rai A un passo dal cielo.

È qui, sul lago di Braies, che vivrebbe Pietro Thiene (l’attore Terence Hill), comandante del corpo forestale, poi sostituito dall’idolo delle teenager Daniele Liotti. Gli ultimi due chilometri di pedalata (assistita), salendo dalla ciclabile della Pusteria, hanno messo in luce il prezzo della notorietà pagato da un luogo affascinante: prati diventati parcheggi da stadio, sbarre elettriche arancioni ovunque, caos di bancarelle e, addirittura, cartelli col divieto dell’uso di droni. Siamo interdetti. Con Lorenzo, il fotografo, siamo montati in bici proprio per proporre escursioni in chiave sostenibile a mete celebri, iconiche, delle Dolomiti. Ci viene in soccorso Lukas Brunner. «Entro qualche anno qui si cambia: visite solo su prenotazione, stazione ferroviaria collegata a un centro visite e navette elettriche per raggiungere il lago». Da pochi giorni padre per la terza volta, studi all’università Bocconi a Milano, Lukas è il titolare dell’Alpinhotel Keil di Valdaora che fa parte del network Bike Hotels Südtirol. Si è preso una giornata di libertà “a pedali” per condividere il nostro approccio green. «Ieri ho fatto un test del nuovo percorso che, per strade forestali e sentieri, sale alla malga Brunst a 1800 metri per poi – continua – scendere in solitudine al lago di Braies, con splendidi scorci. Ma c’è ancora un contadino che si oppone. Riusciremo presto a farlo ragionare e a completare l’itinerario». Riprendiamo le biciclette verso Ponticello, direzione Prato Piazza.

Michaela Zingerle, direttore di Bike Hotels Südtirol, ci segnala i punti più interessanti per le foto e nell’incrociare un gruppo su bici da corsa sottolinea: «Il boom delle e-bike, in gran parte mountain bike a pedalata assistita, non si ferma. Come l’interesse per le attività adrenaliniche per i più giovani, quali single trail e hill climbing. Ma nei periodi di minor traffico c’è un bel ritorno d’interesse per il ciclismo su strada». Quanti sono i turisti-ciclisti? «Difficile il calcolo – precisa Lukas –ma nel corso della stagione sono più o meno un quarto dei clienti. La sfida è capire se il Covid-19 ha cambiato le abitudini». Con la complicità del motore elettrico, superato Ponticello, affrontiamo i tornanti verso i duemila metri dell’altopiano di Prato Piazza. La strada a traffico limitato facilita la convivenza con le poche auto (per chi non se la sente, la bici può viaggiare nel bagagliaio del bus navetta). Il panorama ripaga dei polpacci indolenziti aprendosi con una distesa di alpeggi ondulati in vista delle Dolomiti di Braies e del Picco di Vallandro. Prato Piazza fa parte del parco di Fanes Sennes Braies e il suo ecosistema alpino è pure sotto tutela Unesco.

La pausa al rifugio, con possibilità di ricaricare l’e-bike per chi avesse dato fondo alla batteria, è breve. Tra le cime si aggirano nuvole preoccupanti. Meglio attraversare i pascoli macchiati di campanule e ranuncoli fino all’ex fortino austro-ungarico e imboccare la strada costruita dagli zappatori di Francesco Giuseppe, usata nella prima guerra mondiale dagli austriaci per controllare le linee italiane dal monte Specie (2307 metri). La salita in bici (a piedi ci vuole un’ora e mezza) non è banale, parola di ciclista urbano abituato al bike sharing. Un secolo di intemperie ha qua e là rovinato la massicciata. Le mucche al pascolo sembrano divertirsi a ostacolare i ciclisti. I consigli di Michaela e Lukas, un po’ di pazienza nel trovare l’equilibrio tra rapporto al pedale e potenza del motore, un paio di tratti a spinta, e la conquista della cresta erbosa si trasforma in un inebriante trofeo per i reduci di oltre cento giorni di confinamento in città. Lo sguardo corre libero per chilometri, lo scenario emoziona, l’aria sottile ristora dello sforzo anche Lorenzo che ha portato fin qui su i suoi pesanti obiettivi.

Il panorama? Lo stereotipo lo vorrebbe “mozzafiato”. Tra tavola d’orientamento e app per identificare le cime si apre un elenco senza fine. Le Tre Cime di Lavaredo le conoscono tutti, poi si va dalla Croda Rossa e le Dolomiti di Sesto al monte Cristallo e le cime sopra Cortina. E poi c’è la dorsale del monte Piana, un secolo fa teatro di battaglie con quasi 15mila vittime. Il progetto era di tornare al forte e scendere con la strada asburgica verso Carbonin e la valle di Landro, così da seguire l’ex ferrovia Cortina-Dobbiaco e chiudere l’anello con la ciclabile della Pusteria. Percorso lungo (20 chilometri fino a Dobbiaco), però più che accessibile. Ma il tempo è instabile e dopo poche centinaia di metri di discesa verso il lago di Landro e il panorama a cannocchiale verso le Tre Cime, ecco l’allarme temporale lanciato da Meteo Alto Adige. Si rientra di gran carriera e il cielo inaffidabile mette in crisi pure il giorno dopo: rinfrancati dalla colazione proposta da Lukas e dal suo staff, preleviamo le bici dal garage-bunker con telecamera e percorriamo un po’ di chilometri lungo la ciclabile della Pusteria tra le sfumature di verde e di giallo dei campi di granturco e avena in direzione di Brunico.

Sosta d’obbligo alla stazione ferroviaria di Perca, un esempio di mobilità turistica sostenibile e intermodale unico in Italia: dal treno in pochi passi ci si trova seduti nella cabinovia Ries diretta verso la vetta di Plan de Corones; con gli sci d’inverno, con la mountain bike al seguito d’estate. La deviazione verso Teodone, poco dopo, ci risparmia rovesci d’acqua che sembrano non avere mai fine. Al Museo degli usi e costumi ci accolgono con simpatia nonostante la tenuta da ciclisti e il tour dell’ex residenza Mair am Hof e delle sue collezioni è sempre ricco di spunti interessanti, come quelli sulla condizione femminile offerti dai corredi di nozze. Finisce nel cassetto il suggerimento di Michaela di puntare su Gais per pedalare poi in piano lungo l’asse ciclabile della valle Aurina verso Campo Tures, borgo Bandiera Arancione del Tci. In un momento di pausa della pioggia, nella vicina Brunico, riusciamo a prendere al volo il treno per Valdaora. I sette euro di ticket per la bici ci sembrano un po’ esagerati. «È un giornaliero – precisa però il bigliettaio – voi viaggiate un quarto d’ora, ma potreste andare fino a Merano...».

Treno protagonista anche il giorno dopo. Si va a Bressanone dove ci aspettano l’hotel Krone, sempre affiliato ai Bike Hotels, il suo titolare Alex Resch e Max Messner, il deus ex machina del nuovo percorso ciclabile che sale per la val di Funes. Familiarizziamo con altre e-bike – ruote da 29 pollici, gomme maggiorate, sellino telescopico – con un giro tra i frutteti sopra Novacella, oltre Varna, tra Natz, Fiumes ed Elvas. Un eden agricolo dove il bosco si insinua tra vigneti, meleti e profumate piante di fichi; difficile da immaginare a pochi minuti di distanza dalla città. Ma le eleganti ristrutturazioni delle case contadine insinuano il dubbio che siano popolate dai benestanti della vicina Bressanone. Max coglie l’occasione per mostrarci, ai margini del bosco di Natz, il campo pratica allestito per insegnare ai più piccoli, locali e turisti, a divertirsi in mountain bike senza correre rischi. Vera, bike officier di Bressanone Turismo che oggi pedala con noi, ci segnala il programma di gite guidate a due ruote disponibile per chi è in vacanza in città. E non solo.

Come racconta Lissi Tschöll, titolare dell’Alter Schlachthof, mentre ceniamo: «Il turismo è importante, ma lo sono altrettanto le realtà imprenditoriali innovative, che chiedono spazi contemporanei per il tempo libero dei loro collaboratori». Sissi, nel recuperare l’ex macello nel centro storico, ha puntato su un locale con musica live che non sfigurerebbe a Roma o Milano (laureato nel 2017 col Premio internazionale di architettura e design d’autore), dove i prodotti a chilometro zero si coniugano negli hamburger e non nei piatti della tradizione tirolese. I preparativi per l’escursione in alta val di Funes cominciano poco dopo le otto. Il meteo volge al bello: Max controlla le e-bike, lubrifica, regola i sellini. Mentre usciamo verso Albes sulla ciclabile che fiancheggia il fiume Isarco, spiega quanto sia stato complicato aprire il percorso: «Il 90 per cento di strade forestali e sentieri ciclabili c’era già, ma non erano collegati tra loro. Per metterli in rete ci sono voluti anni di discussioni coi Comuni e i proprietari dei fondi, preoccupati che l’itinerario potesse trasformarsi in un’alternativa automobilistica alla statale di fondovalle. Ma sono nato qui, alla fine hanno capito che si può programmare uno sviluppo turistico rispettoso dei nostri valori». Il suo sogno? Veder partire i ciclisti con lo zaino vuoto da Bressanone per riempirlo, maso dopo maso, di prodotti tipici. E riuscire a realizzare la segnaletica lungo tutto il percorso, oggi ancora ostacolata da veti incrociati.

Dalla frazione di Albes si comincia a salire tra le terrazze di vigneti per entrare nel bosco. Uno dopo l’altro i tornanti della forestale, poi un ampio sentiero, salgono di 400 metri: c’è da lavorare di polpacci; meglio conservare la batteria per i tratti finali in vista delle Odle. I masi più periferici di Tiso accolgono con scorci fin troppo bucolici: sarà lo sbucare su un prato assolato, ma due bimbi di tre-quattro anni che giocano tranquilli con un gruppo di papere, sorvegliati a distanza dalla mamma che traffica nell’orto, fanno pensare alle fiabe dei fratelli Grimm. Un paio di radure più avanti la val di Funes offre una prospettiva inedita. A chi sale dalla carrozzabile si presenta come stretta e incassata, tutta gallerie artificiali, ma qui da Tiso lo sguardo corre libero su una terrazza di mezza costa che associa campi coltivati e prati da sfalcio dal verde intenso, alternati alle tonalità più scure dei boschi, coronati dalle catena della Rasciesa che la separa dalla val Gardena. E, sul fondo, dalla sfilata delle Odle.

Dettaglio green importante, l’assenza di tralicci e linee elettriche. «Negli anni scorsi, grazie agli scavi per il teleriscaldamento – sottolinea l’onniscente Max – abbiamo interrato tutto. E il risultato (non) si vede». Un panorama che “mette il turbo” nelle gambe invitando a correre verso l’alta valle. Vale però la pena di soffermarsi sui vicini strati geologici, celebri per le geodi, e sulla chiesa di S. Valentino con un trittico gotico di scuola brissinese. E nella frazione capoluogo di San Pietro – vi si arriva pedalando tra i campi a quota 1150 metri – dove trascorse l’infanzia Reinhold Messner, stesso cognome («qui ci chiamiamo tutti così») ma più famoso della nostra guida. Ancora un quarto d’ora di fatica, guadagnando 200 metri di dislivello serpeggiando tra le case, e si raggiunge il maso Ranui con la barocca chiesina di S. Giovanni, forse l’angolo più “instagram” dell’Alto Adige insieme al campanile che emerge dal lago di Resia. Qui la pressione turistica, specie dei viaggiatori di origine asiatica, ha costretto il proprietario a recintare con una solida staccionata (e un altro “divieto di droni”) il prato circostante e a imporre l’ingresso a pagamento. Nonostante la pedalata assistita e una bella strada forestale, impieghiamo quasi un’ora e mezza a superare i 650 metri di dislivello fino al rifugio delle Odle. A piedi, gli escursionisti ci mettono meno di due ore. A rallentarci sono le soste per le foto, ma è vero che siamo poco allenati causa confinamento.

In ogni caso lo scatto per superare gli ultimi metri dei 1437 che separano l’alpe da Bressanone è ripagato dal panorama – non a caso sul web lo chiamano “il cinema delle Odle” – e dall’accoglienza del titolare Gerhard Runggatscher, a capo di una brigata di cuochi fedele al motto “autenticità e tradizione”. Come i veri chef di un tempo non batte ciglio per il nostro ritardo, ma si catapulta a proporci taglieri di assaggi, mentre le bici, a loro volta, ricaricano le batterie. Solo dopo, a cucina chiusa, Gerhard accetta di fare quattro chiacchiere, facendoci notare lo sforzo fatto per la sicurezza agli ospiti: anche qui in quota ci sono percorsi segnati e divisori nella sala interna, mascherine e visiere per lo staff, il wifi per i pagamenti digitali sulla terrazza. «È un’estate che non dimenticheremo facilmente» sottolinea. Nella speranza, come propongono queste escursioni in bicicletta, di un futuro più sostenibile.

Foto di Lorenzo De Simone