di Isa Grassano | Fotografie di Lorenzo Palazzo
A cavallo fra le province di Potenza e Matera c’è un piccolo mondo antico fatto di paesi arroccati sulla roccia, parchi naturali e sapori tradizionali: meraviglie che pochi conoscono e ancor meno si aspettano. Ce li racconta una giornalista che in questi luoghi è nata e ne è ancora innamorata
«Dunque domani partirete al far dell’alba? Ma perché andate in Basilicata? Che cosa credete di trovarvi degna di essere veduta? Badate a ciò che siete per fare. Vi troverete fra monti aridissimi, o fra paeselli abitati da barbari».
«Signore! Io non posso...»
«Lasciate che io termini. So che i nomi di Lucania e di Lucani vi scaldan la fantasia. Povero amico. Lucania e Lucani dormon polvere da secoli».
Mi sembra di risentire la voce del mio professore di italiano mentre, ad alta voce, leggeva questo dialogo tra Cesare Malpica, avvocato, giornalista e patriota risorgimentale, e un suo conoscente tratto dal libro La Basilicata. Impressioni, del 1847. Ero in terza media e si parlava della nostra terra vista dai viaggiatori del Grand Tour (spesso era tagliata fuori dai giri di quanti andavano da Napoli in Sicilia via mare) e io proprio non riuscivo a farmi una ragione del fatto che la regione nella quale ero nata, agli occhi di molti, fosse sconosciuta, considerata arretrata e addirittura poco ospitale. «A suo tempo mi farete conoscere quanti amici troverete in Basilicata». Le parole del docente risuonavano tra le pareti dell’aula e il mio pensiero vagava. Poco ospitale? Ma se dopo cinque minuti che abbiamo conosciuto una persona la invitiamo «a un secondo viaggio che devi compiere traverso una fila di stanze per veder la casa», usando ancora le parole di Malpica. Io, ragazzina, ero orgogliosa di questo nostro modo di fare nell’accoglienza e ancora di più di sapere che lo scrittore era stato ospite del barone Francesco Arcieri. Perché il mio paese natio, San Mauro Forte, in cima a una collina, è stato abitato da numerose famiglie nobiliari ed è ricco di palazzi settecenteschi, come Palazzo Arcieri, oggi trasformato in museo. «Cinto di mura annunzia la sua importanza di un tempo; alzantesi in mezzo a deliziosi campi mostra la sua ricchezza agricola, decorato di be palazzi, ornato d’una piazza ha proprio la sembianza d’una piccola Città»
Da qui, seguendo le parole dell’avvocato campano si può partire per vivere l’altra Basilicata. Spenti i riflettori su Matera Capitale della Cultura 2019, le zone interne diventano una piacevole scoperta. E mi rivedo ancora bambina giocare in piazza Caduti della Patria, all’ombra della Torre normanna, dalla forma circolare e dal bastione stellato, luogo di leggende e di fantasmi come quello della Mezza Signora che pare albergasse qui, pronta a punire le nostre marachelle. Oggi la torre, ristrutturata e con riproduzioni 3D, è visitabile su richiesta al Comune. Salire le scale che portano alla terrazza belvedere è un’emozione.
Gradino dopo gradino, ci si arrampica nella storia e la vista spazia su distese di uliveti e sui calanchi che in un movimento perpetuo, impercettibile alla vista, disegnano nell’immaginario la superficie lunare. «Ho pace sol quando mi trovo balzato tra la terra e le nubi», aggiunse Malpica da quassù. Proprio accanto s’innalza la cinquecentesca Chiesa Madre e, di fronte, Palazzo Arcieri Bitonti. Rispetto alla mia infanzia il paese ha cambiato volto e mostra le sue ricchezze artistiche e culturali. Le sale espositive multimediali volute da Pietro Bitonti si sviluppano nella vecchia stalla e nella rimessa per le carrozze, mentre l’adiacente corte è sede di eventi e concerti. Giro di qua e di là, azionando videoproiettori e schermi touchscreen, per rivivere le suggestioni del famoso viaggiatore durante il suo soggiorno in questa bella residenza.
Una volta fuori, consiglio un giro tra le strette e ripide stradine del centro storico, in cui spesso giocavamo a nascondino e l’eco del nostro «tana libera tutti!» sembra ancora risuonare lungo le vie silenziose e le case vuote. S’incontra il portale barocco di Palazzo Lauria con due sculture di pietra che reggono lo stemma gentilizio, la Torre dell’orologio e poi porta Piazzile, l’unica ancora visibile delle quattro porte d’accesso originarie. Al museo della Civiltà contadina e degli antichi mestieri, voluto da Marco Diluca e da un gruppo di giovani volenterosi che hanno creato l’associazione Musei Tradizioni & Territorio, si entra a contatto con la vita lavorativa dei nostri nonni.
Infine, per me c’è un altro motivo di vanto. Il mio paesino custodisce, all’interno della chiesa del Monastero, il Cristo alla colonna di Angelo Bizamano, l’unica opera firmata dal pittore di Creta nell’Italia meridionale, con il volto di Gesù ben tornito e i lunghi capelli ondulati. Ogni volta che torno a casa e sono in compagnia di amici, non faccio altro che stimolare questa curiosità, insieme alle altre meraviglie di questa terra arcaica, a tratti intatta, sempre generosa. Come generoso è il Parco naturale di Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane, il nostro polmone verde. Lo si raggiunge dalla vicina Accettura. Ovunque si ritrova il piacere della lentezza, su mulattiere che si perdono fra boschi di castagno, si inerpicano fra cerri centenari e odorosi tigli, si avvicinano ai fiorellini gialli della linaria dalmatica, costeggiano torrenti pazzerelli. L’Aquila Reale, l’Incudine, la Grande Madre, la Civetta sono i nomi delle vette che al tramonto si tingono di rosso.
E si arriva a Castelmezzano, la cui radice latina del nome, castrum, indica un luogo fortificato. Tuttora, mantiene l’originale impianto medievale. Passeggiando per raggiungere l’antico castello di Castrum Medianum, di origine normanno-sveva, si nota che la storia del borgo è legata pure ai Templari: tracce della loro presenza si riscontrano nella toponomastica delle strade. Allora c’era pochissima gente, mentre adesso le strade pullulano di turisti (prima dell’emergenza Covid-19, ndr) incantati dalle costruzioni arroccate. Merito anche del Volo dell’Angelo, la spettacolare zipline che permette di raggiungere “pur senza ali” Pietrapertosa, dall’altra parte della valle, sfrecciando su un cavo d’acciaio a più di 100 km l’ora.
Pietrapertosa lega il suo passato agli arabi: a testimonianza c’è ancora il nucleo storico dell’Arabata, che da lontano sembra una piccola casbah in un grembo di arenaria e orti verdi. Anche il grande fotografo francese Henri Cartier-Bresson ne rimase affascinato, tanto che nel giugno del 1973 ha realizzato qui alcuni scatti. Le riproduzioni di quelle fotografie sono state posizionale nei luoghi stessi in cui furono realizzati: resisterete alla tentazione di un selfie celebrativo?
Del parco fa parte anche Oliveto Lucano, ai piedi del monte Croccia, dalle pareti a strapiombo e circondato da alberi di ulivo (da cui il toponimo del paese). L’olio custodisce secoli di tradizione come si può vedere in uno dei frantoi più antichi, un pregevole esempio di archeologia industriale conservato all’interno di Palazzo Sica assieme e una grande macina in pietra che veniva azionata dagli asini. Ma questo è anche il paese dei forni a legna, adiacenti alle case e in comune con il vicinato. Un proverbio popolare dice «non c’è cibo di re, più saporito del pane». Devono aver prestato fede a questo detto le massaie del paese che tuttora si trasformano in panettiere per diffondere la panificazione artigianale e la cultura legata al mangiar sano. Girate per le strade e aguzzate il naso: gli odori vi faranno compagnia.
Così alla fine di questo viaggio, che è stato soprattutto un viaggio nel cuore, non posso che essere d’accordo con Malpica quando a conclusione del suo volume scriveva: «la bellezza che in Basilicata è l’essenza del vivere. Queste dunque le mie impressioni». Anche le mie.