di Mario Tozzi
Quella correzione nell'Articolo 9 della Costituzione Italiana
Ma è possibile mettere in vendita beni comuni come un’isola o una montagna? Nel mondo e nell’Italia del terzo millennio sì. E non solo isole, ma anche parchi naturali, frammenti di territori di pregio, paesaggi incontaminati, emergenze architettoniche storiche e monumentali. Insomma tutto quello per cui il nostro è stato per secoli il giardino d’Europa e il paese della Grande Bellezza. Perché?
Tutto nasce quando i nostri padri stilarono l’Articolo 9 della Costituzione. Anzi, quando lo scrissero una seconda volta, eliminando per sempre una parola, fondamentale, presente nella prima stesura: “I monumenti storici, artistici e naturali del paese costituiscono patrimonio nazionale e sono sotto la protezione dello Stato” invece di “La Repubblica (...) tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Dove è finita la natura? Sparita, cancellata. E, successivamente, diversi tentativi per dare il colpo di grazia, quasi una rinuncia definitiva a proteggere i valori culturali, naturali o artistici fondanti della nazione. Ricordate la famigerata Patrimonio S.p.A. e la sua collegata Infrastrutture S.p.A., con cui si metteva a garanzia del denaro necessario alle opere pubbliche il patrimonio inalienabile dello Stato? Purtroppo il presupposto di quei provvedimenti è all’opera ancora oggi.
Addirittura si è arrivati a parlare di arte come “petrolio d’Italia” (!), come se ci fosse qualcosa di buone nel petrolio. Il valore venale del patrimonio culturale (e naturalistico) diventa un prezzo da investire per fare altro (le opere pubbliche), una risorsa da spremere, dando la tragicomica impressione di essere arrivati al fondo del barile mentre si hanno aspirazioni da potenza industriale. Si è arrivati a mettere in vendita l’isola di Budelli, quando era già gravissimo che fosse diventato teoricamente possibile, come una miccia sempre accesa in prossimità di un bomba che distruggerebbe non solo beni, ma anche cultura e identità.
Per fortuna, però, in pochi pensano oggi che il paesaggio non sia un bene culturale e che un parco non vada tutelato né più né meno di come si fa con la Cappella Sistina o con Venezia. Il collegamento fra cultura e natura è molto stretto: il nostro bene più prezioso non è tanto la somma di monumenti e bellezze naturali, ma il contesto, quello che rende unico in tutto il mondo un Paese che pone a fulcro della propria identità nazionale e della propria memoria collettiva il patrimonio culturale e naturalistico. Quello che lo rende impermeabile ai maldestri tentativi di globalizzazione culturale di cui non si vede alcun bisogno. Se si gestiscono i beni ambientali e culturali in ottiche di solo mercato il cittadino viene alienato di un patrimonio che è prima di tutto collettivo e viene trasformato in un mero consumatore. E ci si dimentica che i musei nordamericani privati presi ad esempio campano soprattutto sulle donazioni, non sui biglietti. Per non parlare della natura e del paesaggio, che vanno tutelati e protetti anche se è dubbio il reddito economico, perché quello umano è sempre certo.