Controcanto.La quarta crociata a Venezia

Solo grazie alla Guida Rossa Touring si può scoprire Piazza S. Marco, palmo a palmo

«L’om po far e dir in pensar e vega quelo che il po inchontrar (l’uomo nella sua mente può fare e dire ogni cosa e poi veda quello che riuscirà a realizzare).»
Iscrizione del XIII secolo in lingua veneta in cartiglio alla base del fianco meridionale della Basilica di S. Marco

 

Solo la  Guida Rossa Venezia del venerabile Touring Club Italiano permette di scoprire, quasi a livello del lastricato che dal Trecento copre piazza S. Marco, tra le tavelle scolpite di marmo del primo ripiano, dopo il battiscopa, un cartiglio in cui il tempo ha lasciato solo poche tracce dell’inchiostro nero che ogni qualche decennio, prima della moda di lasciare tutto alla immaginazione del lettore, veniva rinnovato dai Procuratori di S. Marco. Poco più lontano le statue di porfido rubate a Constantinopoli, prezzo corrispettivo del trasporto dei crociati a Enrico Dandolo, sono diventate i “mori”, quelli impietriti quando avevano cercato di rubare le reliquie di San Marco, nel doppio linguaggio, quello dei nobili e quello del popolo, dei michelotti e del castello che, come le maree della laguna, mutano il senso e il peso delle storie. Cosa importa che i tetrarchi posti allo stipite del Battistero siano i due augusti e i due cesari voluti da Diocleziano e Massimiano per dominare un impero divenuto troppo grande. Per il popolo erano i mori, dato che di Bisanzio ne avevano perso traccia e memoria. Quella parte della Basilica proprio in faccia al Palazzo Ducale (nella foto, un particolare della decorazione della facciata) era l’esposizione permanente e continua delle prede che la Serenissima prendeva per mare all’Oriente. Una esposizione di marmi rari, sculture, colonne che provenivano al di là della Grecia, come i leoni dell’arsenale, messi in fila dal più piccolo, un leoncino quasi gonzaghiano, e via via più grandi, dal marzocco quasi fiorentino al Leone di San Marco, sino alla leonessa con le scritte runiche della Guardia Variega di Bisanzio, composta da Normanni, che permettevano a Hugo Pratt di raccontare la fable de Venise e il cosmopolitismo del mare.

Il lato meridionale di S. Marco è ancora oggi quello che voleva essere: una sfacciata esibizione di quello che lo spirito di rapina riusciva a raccogliere, secondo la nozione del raro e quindi del bello. Le lastre variegate e policrome a fare da sfondo, con le inserzioni di oggetti che svagano dal VI al XIV secolo, erano un campionario commerciale invidiabile, una iniziativa di marketing impareggiabile, un indice della capacità di trasformare il saccheggio in virtù. Davanti a tutto i Pilastri Architani, anch’essi preda dei crociati, prelevati senza tanti complimenti da San Giovanni D’Acri, «a fusto quadrangolare decorato con racemi e monogrammi (in parte abrasi) e capitelli a tronco di piramide capovolta, sono per alcuni opera siriaca del secolo VI, per altri invece i pilastri, forse già parte di un accesso alle mura della città palestinese, sarebbero lavoro bizantino islamico del sec. XII» come recita con analitica precisione l’impareggiabile Guida Rossa Venezia. Ma per chi li ha messi, in un’epoca in cui il tempo era ingoiato dalla rincorsa verso l’antico splendore dell’Impero Romano, non importava nulla che potessero avere cento come seicento anni. Importava che fossero belli, tanto belli da attirare l’occhio del visitatore verso lo sfondo dei marmi e delle quadrifore e delle pentafore, verso la cresta leggera di marmo bianco tra cui troneggiano la Giustizia e la Fortezza (per rassicurare il soccombente) e con sotto il mosaico della Vergine in Preghiera (per confortare il credente). Romano, romanico, gotico, rinascimento si mischiano in una macedonia di pietre e di colori in quel piccolo ridotto spazio dove la Chiesa e il Governo si dividevano e si univano in una gara per impressionare, stupire, intimidire il foresto (una delle classi in cui si componeva la città dogale). Da lì il tozzo tronco di colonna in porfido, sempre siriano e forse di ritorno dalla più infausta delle crociate, ospitava il Commandator della Repubblica, che dalla Pietra del Bando proclamava le leggi e le ordinanze del Consiglio dei Dieci e del Maggior Consiglio, prima che il crollo del campanile la spezzasse per sempre.