Compagne di viaggio. Intervista a Silvia Avallone

Intervista a Silvia Avallone, che dedica questa strana estate alla ricerca dell'Italia dietro casa, quella che nessuno conosce

 In una recente rubrica su Sette del Corriere della Sera, in pieno lockdown da Covid-19, la giovane e affermata scrittrice Silvia Avallone ha invitato i lettori a «rispolverare e riportare in vita l’Italia che non sa nessuno (ma che il Touring conosce bene e racconta nelle sue guide, ndr) e che ci hanno raccontato i nonni e da cui tutti se ne sono andati...» e li spinge «a darci da fare per i luoghi anziché chiedere loro di distrarci. Prendercene cura anziché usarli».

Musica per il Touring Club Italiano che ha come missione proprio quella di prendersi cura dell’Italia come bene comune e di valorizzare i piccoli borghi di eccellenza delle zone interne del Paese (Bandiere Arancioni).
Per questo l’abbiamo intervistata a Bologna dove lei, metà di Piombino, metà di Biella, vive ormai da 17 anni.

«Ho sempre avuto una predilezione per le periferie, i luoghi rimasti nascosti e ho cercato la bellezza. Durante la cattività da pandemia mi sono resa conto di quanti luoghi vicini a me non avessi mai visitato nonostante ci avessi vissuto anni. Questa estate, che giocoforza ci vuole lontani dagli assembramenti, ho voluto cogliere una bella occasione per tornare dove ho sempre vissuto ma che non ho mai visto davvero bene. L’esperienza del lockdown mi ha fatto tornare fortissimo il desiderio della dimensione del piccolo paese, del borgo, contornato però da spazi aperti, dal panorama, una vallata, il mare, una campagna. E proprio perché il lockdown è stata un’esperienza di mura ho cercato una dimensione di orizzonte. Così questa estate ho fatto una scelta strana. Io che sono sempre voluta andare al mare, sotto l’ombrellone, ci ho rinunciato per regalarmi soltanto la campagna e le montagne intorno a valle Cervo, nel Biellese. Zone poco conosciute, dove ci sono santuari e paesi molto piccoli, per sfruttare questa dimensione del raccoglimento, del minore, che minore non è, e che nasconde scrigni preziosi. E questa dimensione, non affollata, non di corsa, mi piace molto. Si stabilisce una relazione con il luogo che è di dialogo, di scoperta, non di consumo. Anche io ho fatto i miei errori giovanili, come tutti. Anche io ho sbagliato, fatto scelte in cui il viaggio era più la meta che non il tempo per visitare un luogo, e ho preferito l’attrazione gettonata: ho anche io subìto il fascino del lontano, la bandierina da mettere sulla mappa, la fotografia da scattare per dimostrare di esserci stata. Ma non sono mai stata solo così. Io sono molto legata al territorio, al cibo italiano, e all’estero sono andata soprattutto per lavoro. I miei viaggi di vacanza li ho sempre organizzati in Italia. Ora invecchiando apprezzo molto di più la ricerca del dettaglio, il vicino che non ti aspetti. Noi siamo veramente circondati, ovunque, a pochi passi a piedi, da opere d’arte che vale la pena osservare. Anche un percorso di campagna offre orizzonti affascinanti. Ho persino rispolverato il pic-nic, un mezzo antico che però mi ha permesso di sedermi su una collina e di osservarla a lungo. Sono cambiati i tempi e gli interessi. Quest’anno ho scoperto per la prima volta il santuario di S. Giovanni d’Andorno, vicino a quello di Oropa. È meno noto ma merita tantissimo. Accanto a luoghi famosi ce ne sono sempre altrettanti che pagano l’ombra. Ecco, io sono molto attratta dall’ombra perché lì c’è la pace di un luogo non affollato e per cui quasi nuovo».

Ma anche quello di prendersi cura dei luoghi è un tema importante?
«L’Italia è in ogni suo chilometro un patrimonio inestimabile culturalmente però è molto trascurata, le province sono svuotate e i territori soffrono. Eppure sono pieni di storie, tradizioni, prodotti. È una grande opportunità per il viaggiatore, che anziché fare il turista e scegliere i “menù turistici”, si approcci in modo conoscitivo, facendo domande, informandosi, andando nelle aziende dove il prodotto locale eccellente è lavorato o coltivato. Sarà che sono cresciuta in luoghi industriali, ma sono incuriosita dallo scoprire come le eccellenze di quel posto vengono create. Si tratta di rispettare i luoghi con un viaggiare virtuoso, di andare più vicino, di usare tutte le cautele nelle zone naturali, di impiegare i social network per far scoprire un luogo non conosciuto. è un modo di partecipare, di sentirsi utili che è più appagante dell’andare nel posto famoso, mangiare nel ristorante internazionale e non sapere nulla delle storie che quel luogo nasconde».
 
Certo prima o poi torneremo a viaggiare anche per il mondo?
«Il mondo è tutto meritevole di essere conosciuto e guai a chiudersi e recintarsi. Voglio pensare che quest’esperienza ci lasci un segno che si traduca in un percorso nuovo e costruttivo. Mi piacerebbe che quell’aereo preso fosse per un viaggio che ha una consapevolezza diversa. È il mondo che ci chiede di soppesare bene il nostro impatto ambientale. Non immagino certo un mondo in cui ognuno resti piantato per sempre nel posto dove è nato, però che non si macinino migliaia di chilometri per stare un giorno davanti alla Gioconda.  Da italiana che vive in un Paese straordinario che spesso siamo i primi a dimenticare mi piacerebbe che fossimo più consapevoli nel prendercene cura. Ci ritroviamo poco in tutto ciò che non è già mito. E invece dobbiamo costruirne di nuovi. E, oltre a partire con consapevolezza, dobbiamo anche imparare ad accogliere i viaggiatori curiosi con altrettanta consapevolezza delle nostre potenzialità e della nostra storia».

Il viaggio, come i libri, può essere un positivo motore di cambiamento?  
«Sì, se lo si fa da persona che vuole incontrare e non vuole comprare un’esperienza. Il viaggiatore è un po’ come il lettore all’inizio del libro. Deve essere curioso e aperto all’incontro che non ti aspetti. Ho sempre amato i luoghi non turistici perché mi è sempre piaciuto immergermi nelle abitudini, le usanze delle persone che quel luogo lo vivono tutto l’anno. Sarà perché sono stata abituata a passare le vacanze a Piombino, un luogo che avrebbe tutte le carte per essere un luogo turistico perché pieno di bellezze, ma ha avuto una storia industriale importante.
Per me la gioia di andarci era potermi immergere in un mondo, farne parte, passare i sabati al modo dei ragazzi locali. E questa è un’esperienza che ti cambia perché tu davvero diventi, in parte, un altro. Cosa che non sarebbe successa se non avessi vissuto quel luogo e ci fossi stata magari solo per distrarmi, per passare una settimana da turista. No, la distrazione della vacanza non mi è mai appartenuta. Ho scoperto di essere una persona abbastanza sedentaria. La mia dimensione del viaggio è molto ampia. Amo partire con valigie molto grandi per restare a lungo in un altro luogo, cercare piccole case dove poter mettere radici anche se temporanee e poi visitarlo piano piano con attenzione cercando di approfondire quel territorio. Non sono una di quelle da weekend mordi-e-fuggi, però dopo tre mesi devo cambiare aria. Io sono queste tre aree, il Biellese, in particolare la valle Cervo, Piombino e Bologna. Sono i luoghi che compongono la mia identità. Anche per questo mi devo spostare tra questi tre posti. Ho bisogno di tutti e tre, e di rinnovarmi ogni volta».

C’è una città, un posto che preferisce, oltre ai suoi tre luoghi del cuore?
«È sicuramente Napoli, il luogo che, pur non essendoci mai vissuta, sento mio e mi fa innamorare in maniera speciale ogni volta. E poi trovo tutto il Sud molto affascinante. Non ho ancora mai avuto modo di viverci dei mesi. Mi dovrò organizzare. A proposito di Napoli, mi piace molto Elena Ferrante, che mi ci ha fatto tornare con i suoi libri senza andarci di persona. Così come un altro luogo che mi sono goduta nella lettura e ogni volta che lo riprendo in mano mi fa venire voglia di tornare a Palermo è Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. Sono questi luoghi viscerali raccontati da donne che sicuramente sanno scavare profondamente. Il Sud delle scrittrici italiane mi è molto caro».