di Mario Tozzi
La rubrica di Mario Tozzi
Non si riesce bene a comprendere cosa succede ai nostri Presidenti del Consiglio che, a ogni legislatura, a un certo punto, si innamorano dell’idea di un collegamento stabile fra la Sicilia e la Calabria. Non è un’idea solo contemporanea, perché ci si pensa già dai Romani fino a Garibaldi. E sia a un ponte di barche sia a un tunnel sottomarino. Questa volta si oscilla fra un impossibile tunnel sottomarino e un gigantesco ponte da 166mila tonnellate, il più grande del mondo. Pure se con annessa pista ciclabile. Il tutto nel territorio più sismico d’Italia, quello del terremoto più distruttivo di tutti. Possiamo anche mettere in discussione che il futuro ponte sullo stretto di Messina sia pericoloso in caso di sisma, ma siamo certi che, in quell’eventualità, sarebbe quantomeno inutile.
Prima questione: reggerà un ponte che è stato commisurato per una magnitudo 7,1 Richter, tenendo presente il famigerato terremoto del 1908, visto che, non essendoci al tempo rilevamenti strumentali adatti, si tratta di una stima indiretta e che, quindi, la scossa prossima ventura potrebbe essere 7,2 o 7,5? Chi può escludere che il prossimo terremoto tra Reggio e Messina sarà davvero 7,1 Richter e non più violento? E lo stesso ragionamento vale per una galleria sotterranea.
Ma la vera questione è: che ce ne facciamo di un ponte che pure rimane in piedi, se il prossimo terremoto sarà veramente “solo” 7,1 Richter? Il ponte, in quel caso, unirebbe due cimiteri (quello che diventerebbero Messina e Reggio Calabria), visto che quelle città hanno solo un quarto delle costruzioni antisismiche. Non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri denari (pubblici e privati, occupazione e profitti, se di questo si tratta, sarebbero comparabili) nella ristrutturazione antisismica?
All’inizio del Terzo Millennio il nostro Paese ha essenzialmente soddisfatto la domanda primaria di infrastrutture e non si sente davvero il bisogno di un “collo di bottiglia” per la totalità delle merci e dei passeggeri, quando la riduzione del traffico su gomma è il vero obiettivo e bisognerebbe puntare sulla diversificazione dei modi di comunicazione. Nei Paesi moderni le infrastrutture servono l’assetto e lo sviluppo, non li determinano.
È il cambiamento della struttura produttiva inadeguata a sollecitare mutamenti nel sistema dei trasporti, non viceversa. La teoria del legame infrastrutture-sviluppo deve essere messa in discussione, sia perché l’utilità delle opere pubbliche dipende dalla loro qualità e dal loro uso efficiente, sia perché le infrastrutture trovano una loro ragione nelle strutture economiche regionali.
Oltre un livello minimo le infrastrutture tendono a seguire lo sviluppo piuttosto che anticiparlo: è la domanda che crea l’offerta e non viceversa. Ma perché un messinese o un reggino debbano prendere l’auto, uscire dalle proprie città fino al ponte, arrivare fuori dalle città di destinazione e cercare un parcheggio, quando avrebbero attraversato lo Stretto in 25 minuti senza auto e trovandosi già nei centri cittadini resta un mistero senza spiegazioni.