di Diogene
Langhe di vini e grandi uomini. La Santo Stefano Belbo di Cesare Pavese e la Dogliani di Luigi Einaudi
«Le sirene che i trivellatori mandano innanzi diranno che lo straniero è il nemico e che non bisogna, chiedendo noi stessi riduzioni dei dazi nostri, dare armi allo straniero nei negoziati commerciali. Vecchia menzogna. Il nemico non è fuori dei confini della patria. Il nemico è in noi. È l’ignavia. Il desiderio di guadagnare gittando il rischio sulle spalle altrui, di trivellare il bilancio pubblico e di arraffare ingiustamente, se bene legalmente, il reddito dei connazionali».
Luigi Einaudi, I fasti italiani degli aspiranti trivellatori della Tripolitania in "La Riforma Sociale", marzo 1919
Le Langhe sono attraversate dal Belbo che dalle colline che le dividono dal Savonese scende al Monferrato per l’ultimo tratto senza viti e vigneti di barolo, barbaresco e dolcetto, sino a Santo Stefano che nulla ha, e forse mai ha avuto da spartire, con Cesare Pavese se non come luogo della sua memoria e immaginazione. Con le sue inquietudini, i suoi amori infelici, la sua rabbia di non essere corrisposto, la sua dimensione metropolitana, cosmopolita, con le cinquanta bustine di Mogadon per l’incontro con la morte, «questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo».
Santo Stefano Belbo è un paese grasso e pacioso, dedito al commercio e ai servizi all’agricoltura, di piccole e medie industrie, di case squadrate, con una parrocchiale moderna, un Centro studi Cesare Pavese quasi introvabile e la casa natale ancor più introvabile (per la Guida Rossa Tci Piemonte:“e del quale (Pavese) al termine dell’abitato, al bivio della strada per Robini, è visibile la casa natale”).
Diversa è Dogliani per il suo Luigi Einaudi. A dire il vero Luigi Einaudi nasce a Carrù ma lui si è sempre considerato di Dogliani dove, dopo la morte del padre, concessionario delle imposte, si era trasferita la madre e Dogliani lo sente come suo, con la stessa intensità con cui considera il dolcetto che ne fa la ricchezza.
Einaudi, figlio di una borghesia austera, aveva studiato dagli Scolopi a Savona e poi al Convitto Nazionale a Torino, come allora usava per chi aveva censo ma non patrimonio, e ne interpretava tutte le qualità di onestà, ordine, rispetto delle regole, indipendenza economica, equilibrio. Qualità che avevano permesso al Regno di Sardegna di affrontare anni di guerra e di conquistare l’Italia. L’elenco delle sue attività: economista liberale, professore, viticoltore, bibliofilo, esiliato e cacciato dal rettorato della Bocconi, Governatore di Banca d’Italia, Presidente della Repubblica, ne traccia il profilo di una persona dalla schiena dritta che faceva affidamento sui redditi (alti) della sua professione ma non sui compromessi per mantenerli. D’altro canto quella che, forse con un tantino di compiacimento, la locandina recita come “Un esempio di cultura di Langa”, non poteva che vivere lì, tra il Borgo al piano, lungo il torrente Rea e il Castello, in alto; tra la città borghese, attorno alla collina e la città murata del Castello, come a Bamberga, seppure là nel diverso luogo di Vescovo (in alto) e Laici (in basso). Qui ci ha pensato l’altra gloria di Dogliani, il geometra architetto Giovanni B. Schellino, a raccorciare la distanza tra Borgo e Castello con le sue imponenti strutture ecclesiali. San Lorenzo in basso, al Rivellino, con il pronao a tempio greco sovrastato dal mezzo rosone, mai nato, nella facciata neorinascimentale, chiusa da due torrette campanarie neoromaniche e con il fregio di due angeli neobarocchi a sorreggere la croce (non neo) e in alto, sul colle, dalle sovrapposizioni alla chiesa romanica del Castello, con il campanile e la Sacra Famiglia neogotici.
Nello spirito langarolo che Einaudi ha cercato di interpretare, la parola più importante è sempre stata onestà: intellettuale e materiale nell’operare e nel giudicare se stessi, nel solco di Vittorio Alfieri che nella sua Vita Scritto da Esso, parlando del padre dice «provvisto di una giusta moderazione nei desiderj, visse bastantamente felice».