di Clelia Arduini | Fotografie di Vincenzo Montefinese
Viaggio ad Alessano, paese dell’entroterra salentino nato dal mito e che vide sbocciare un mito: quello di Domenico Modugno
Una melodia di archi scivola su Alessano unendosi alla luce abbagliante del giorno, liquida luminosità che solo in Salento sa trasformarsi in acqua. Il flusso incantato penetra nell’intrico di vicoli, piazze, case a corte, portali, chiese, fino a raggiungere i balconi e le finestre dei palazzi rinascimentali. Da uno in particolare si alzano altre note, questa volta di un pianoforte.
È Palazzo Sangiovanni, edificato del XV secolo con la facciata a bugnato, e di cui qualche anno fa si è innamorato un produttore discografico belga, Charles Adrianseen, trasformando la sua vita e quella della comunità alessanese. «Ero alla ricerca di una grande casa – racconta – che potesse ospitare sia la mia famiglia sia gli eventi musicali del mio lavoro. Poi l’ho vista apparire in tutto quel bianco solare, e mi sono fermato». Charles ha subito concretizzato la sua visione: ha restaurato il palazzo facendone in un’ala la sua dimora estiva, ha messo in piedi un festival internazionale di musica classica, Muse Salentine, che si svolge in estate, nelle chiese, nei cortili dei palazzi e in altri luoghi storici del territorio, e ultimamente ha avviato un progetto di masterclass e residenze estive per pittori e musicisti, ed ecco spiegate le note. Il suo sogno: riunire grandi talenti e bellezze paesaggistiche in quest’angolo di Salento, a 13 chilometri da Santa Maria di Leuca, arrampicato sulla Serra dei Cianci, la “montagna” del Salento con i suoi circa 200 metri d’altezza, i terrazzamenti di ulivi secolari, la macchia mediterranea, i muretti a secco e le “paiare”, costruzioni rurali delle campagne salentine.
Il patrimonio genetico di Alessano, del resto, racconta una storia di splendore, di bellezza, di pace e di accoglienza. Specie nei secoli XV e XVI il paese salentino toccò il massimo livello di civiltà quando grazie a famiglie nobiliari – come i del Balzo, i de Capua, i Guarini, i della Ratta, gli Ayerbo d’Aragona – divenne un centro di rilievo culturale ed economico che catalizzò l’attenzione di una comunità ebraica e di ricchi commercianti veneti, i quali scelsero di stabilirsi qui. Di questa storia fa parte anche Palazzo Legari, che ospitò Isabella de Capua, principessa di Molfetta e sposa di Ferrante Gonzaga, conte di Guastalla, capitano e uomo di fiducia dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V. Isabella gli diede undici figli e, tra una creatura e l’altra, ebbe tempo di visitare i possedimenti della casata, in particolar modo Alessano, con il suo territorio e la sua liquida luce, e ne rimase affascinata. La nobildonna soggiornò anche nel castello di Montesardo, frazione del borgo, «ove stè qualche di per il molto fresco», come scrisse nei suoi appunti di viaggio. Il maniero era stato costruito infatti nella parte più elevata della città.
Oggi Montesardo, dove di recente sono state scoperte tombe e fondamenta di edifici di epoca messapica, ospita annualmente un festival di musica antica, arte e cultura, ispirata all’opera del genius loci Girolamo Melcarne, detto il Montesardo. Palazzo Legari, di proprietà del Comune e sede di una ricca biblioteca, è al centro di un progetto di rivitalizzazione che, secondo la prima cittadina Francesca Torsello, trasformerà l’edificio in un laboratorio di saperi, tradizioni, integrazione e accoglienza. Quella su cui aveva puntato la sua missione un religioso “alternativo” del luogo, molto amato dalla comunità: don Tonino Bello, simbolo di pace e di giustizia, che lottò per i poveri e per i derelitti incitando i cristiani a essere “contemplattivi” con due “t”, cioè a non separare mai la preghiera dall’azione. La sua casa oggi è diventata il Mimac, Museo internazionale mariano d’arte contemporanea, con 350 opere di artisti come Salvatore Fiume, Ernesto Treccani, Alessandro Nastasio, tutte incentrate sulla figura della Madonna.
In altra epoca, un giovane dagli occhi scuri ebbe forse lo stesso sogno di Charles e di don Tonino. Uno di quei sogni che non ritorna mai più. Erano i primissimi anni Trenta e un ragazzino di fuori (era di Polignano a Mare) cominciò a frequentare il paese. Il suo nome era Domenico Modugno e si chiamava come suo zio, maresciallo della locale stazione dei carabinieri. A dodici anni quel giovane, che già sapeva suonare la fisarmonica, divenne amico di un gruppo di ragazzi, frequentatori della barberia di mesciu (maestro) Vincenzo Calsolaro, punto di riferimento dei musicanti di Alessano. In quel salone Domenico e gli altri cantavano e suonavano le canzoni del momento, seguiti dallo sguardo vigile di Vincenzo che, tra un taglio e l’altro, accordava il mandolino per eseguire i suoi brani preferiti e per insegnare loro repertori classici come valzer, mazurche, barcarole, tanghi. Melodie usate nelle serenate al chiaro di luna, quando ancora non esistevano tv, né giradischi e le intenzioni degli innamorati si esprimevano a suon di note.
«Erano di solito due, il violinista e il mandolinista», racconta il figlio di Vincenzo, Antonio, ultimo depositario dei ricordi e dell’arte paterna, che già a 5 anni sapeva suonare il mandolino e che, con la sua certosina ricerca dei brani da barberìa, sta riaccendendo un faro sulla tradizione alessanese: vera e propria musica popolare cittadina scomparsa, a partire dagli anni Cinquanta, prima con l’arrivo di radio e giradischi, poi con la tv. L’ha relegata nel dimenticatoio anche l’avvento della pizzica salentina, amatissima dai turisti, attratti dal suo ritmo incalzante.
«A volte al duetto si aggiungevano il chitarrista e il cantante e per un’ora, di solito dalle 23 fino a mezzanotte, di fronte alle persiane sbarrate, ma con tanti occhi dietro, si eseguivano brani strappacuori, specie i tanghi, i più sensuali di tutti. La musica fluiva nitida e potente – continua Antonio – grazie anche alla conformazione delle strette viuzze con slarghi finali, perfette come cassa di risonanza, ma spesso il raglio degli asini, le cui stalle erano nei pressi, interrompeva l’esecuzione e allora si aprivano porte e finestre e i familiari dell’innamorata offrivano ai musicanti formaggio e pesce fritto.»
Ci si chiede quanto abbia influito questo mondo di musica e umanità, intimo e speciale, sull’adolescente Modugno che in seguito tutti avrebbero chiamato “mister Volare” per la sua indimenticabile Nel blu dipinto di blu. Di certo tra quella canzone e Alessano, il volo è breve: il toponimo del paese – guarda il caso come si diverte – nasce proprio da un’ala, presente prima nell’araldica della diocesi e poi nello stemma del Comune. Secondo alcuni studiosi rinascimentali l’origine del paese salentino risalirebbe a Dedalo, mitico fautore del labirinto, il quale «quivi con l’ali intere senza essere punto dileguate dal caldo del Sole volando pervenne, dove edificò questa città, la quale dalle salvate ale chiamò Alessano, che tanto suona quanto ale sane, onde ancor ne porta per sua insegna l’ali». Comunque stiano le cose – e fatta salva un’altra tradizione, che attribuisce la fondazione della città all’imperatore bizantino Alessio I – ci piace pensare che quando Modugno cantava «Una musica dolce suonava soltanto per me», si riferisse a quella da barberia scoperta da ragazzo.
Tra le mille sorprese di Alessano, riconosciuta dalla Regione “città d’arte e ad economia prevalentemente turistica”, non può mancare la masseria, simbolo di queste “estreme” terre del Sud: qui è il Massarone, costruzione del XV-XVI secolo sorta su un casale di epoca romana, dove Stefano Torsello, presidente dell’associazione Liber Azione, mette in piedi progetti di educazione ambientale e di coesione sociale per salvaguardare e riqualificare il territorio comunale (come la produzione di prodotti agricoli autoctoni: la carota giallo-viola di Tiggiano, la fava e il pisello nano di Zollino, il pomodoro di Morciano, la patata novella di Galatina). Non può mancare un festival letterario, che si chiama Armonia. Narrazioni in Terra d’Otranto e che riunisce i finalisti del Premio Strega. E non manca l’acqua, quella vera, che si trova a sette km con la Marina di Novaglie e il suo minuscolo arenile, un porticciolo turistico, qualche casa disegnata tra gli ulivi, ammassi di pietre a ricordo di un’antica torre di guardia e con una grotta azzurra che, giurano i locali, è più azzurra di quella di Capri. Su questa tavola di Ionio immersa nell’infinito è l’acqua, questa volta, a trasformarsi in luce e in un attimo di perfezione Alessano si colora di oltremare e ci dipinge le mani e la faccia di blu.