Controcanto. Garibaldi al Gianicolo

illustrazione di Franco Spuri Zampetti

Al Gianicolo di Roma, fra i ruderi della Repubblica Romana

«Pochi contro moltissimi, senza speranza di vincere, duce però Garibaldi, qui pugnarono un intero mese, costante esempio ai venturi come non conti i nemici chi combatte per la libertà e la patria».
Lapide ai caduti del 3 giugno 1849 sul muro della Villa del Vascello al Gianicolo

I camioncini dei venditori di gelati e di bibite, dai colori sgargianti, agli angoli della balaustra di marmo, attendono i turisti sopra Trastevere. Il Gianicolo: la statua equestre di Garibaldi, immobile, quasi assente, il capo chino, il grande mantello scuro, senza pieghe, la papalina imbiancata dai gabbiani.

La glorieta di Anita, con il cavallo impennato, la criniera al vento, la mano alzata con il pistolone impugnato al cielo di una delle tante avventure al confine del Paraguay. Un impeto di vitalità in uno spazio defilato, più in basso, diventato rifugio di senzatetto; sopra, sufficientemente distanti, come diavoli e l’acqua santa, Ciceruacchio, ben diverso dal popolano incolto alla Rugantino, che tiene in alto la miccia strappata, con ai piedi Sgrullarella, la cagnolina, copia in bronzo della statua in marmo, intitolata l’Audace, che il Conte Pompeo Litta, al ritorno dalla avventura in camicia rossa nella Repubblica Romana, fece fare per l’atrio del suo splendente palazzo di corso Magenta in Milano. Orfanelli, vagabondi che portavano ai garibaldini le bombe lanciate dai francesi, disinnescate appena cadute, per uno scudo. Cosa che una volta non riuscì né a lui né alla Sgrullarella, facendone il simbolo della partecipazione di popolo.

I quattro bronzi sono collegati, lungo i viali dei maestosi pini di Roma, dalle bianche stele, come birilli, che reggono facce barbute, piumate, incappellate, di garibaldini e ufficiali dell’esercito sardo (poi italiano), con i petti onusti di medaglie e fasce e cordoni e sotto, per ognuno, il nome e il grado.

La visione di appartenenza di quelle teste infisse, come trofei di guerra, tra le statue equestri dell’eroe dei due mondi con la scritta “o Roma o Morte” (né l’una né l’altra per il vero) e di Anita (per lei, purtroppo, l’altra) e a pieno corpo quelli di Ciceruacchio e Righetto, è scomparsa tra le auto parcheggiate e i motorini. Non vi è più nulla, se mai vi è stato, del famedio della Repubblica Romana, della unione tra i rivoluzionari di professione e partecipazione del popolo trasteverino alla battaglia e alla guerra. Con i suoi scugnizzi, carrettieri, operai, falegnami e facchini che abitavano il quartiere più povero; con i tamburini che davano il passo (si fa per dire) alle camicie rosse. Non vi è traccia, nella Passeggiata del Gianicolo, per Carlo Luciano Bonaparte principe di Canino o per il conte Pietro Sterbini, che accendevano gli animi (ma avrebbero salvato la loro vita).

Alla Villa Doria Panphili, poco distante, dalla Passeggiata si arriva per l’Arco dei Quattro Venti che dà accesso a un parco enorme e mal tenuto, «avendo sulla d.» come dice la Guida Rossa Tci Roma «i ruderi della barocca Villa del Vascello (1663 distrutta nella difesa della Repubblica Romana)». I prati riarsi, gli alberi lasciati in abbandono per la latitanza del servizio giardini del Comune di Roma; la selva resa impraticabile dagli arbusti, rovi e ogni sorta di pianta rudeale che bloccano i sentieri che scendono dalle bianche strade sterrate, dove corrono ciclisti, uomini, donne, ragazzi che fanno jogging. Il Casino del Bel Respiro, chiuso nelle inferriate, oggi sede di rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, curato nel suo giardino all’italiana, ben innaffiato. Evidenza involontaria (forse) del degrado della gestione municipale rispetto a quella statale. Le statue, i busti che un tempo abbellivano le fontane o gli incavi delle finte grotte o le nicchie lungo i bordi dei sentieri e delle sterrate, sono tutti inesorabilmente acefali(e le tracce del tempo sulle rotture danno il senso dell’abbandono). Di Goffredo Mameli, qui ferito a morte, nessuna traccia. Meglio così.

Illustrazione di Franco Spuri Zampetti