Riscopriamo la geografia. Confini di... civiltà

Nell'attuale contesto dell'emergenza Covid appare ridicolo il contenzioso che periodicamente riaffiora tra Italia e Francia sull'area del Monte Bianco

I confini non esistono. Sono costruzioni mentali espressione della volontà di un singolo o di un soggetto collettivo, per affermare e/o giustificare il proprio interesse economico e politico, la cui manifestazione più concreta ed evidente si trova innanzitutto nelle carte geografiche. Certo, molto dipende da quale carta si decide di guardare. Così nel contesto attuale di emergenza sanitaria appare ridicolo il contenzioso che periodicamente riaffiora tra Italia e Francia sull’area del Monte Bianco.

I fatti. Lo scorso anno un’ordinanza congiunta dei sindaci di Chamonix e Saint Gervais ha vietato la pratica del parapendio sul loro pezzo di Monte Bianco, divieto esteso anche al rifugio Torino, la punta Helbronner e il tratto finale della funivia Skyway: peccato siano in Italia. Tutto passa quasi sotto silenzio, se non fosse che due mesi fa la prefettura dell’Alta Savoia ha rincarato con una direttiva sulla tutela del tetto d’Europa, compresa la parte italiana. I francesi basano le loro pretese su carte redatte dopo il trattato di Cherasco del 1796 in cui si stabiliva che il confine doveva passare oltre la cima del Bianco verso la Valle d’Aosta, sulla “cresta militare” e non su quella naturale. Ma la definizione dei confini del Monte Bianco venne aggiornata nel 1860, quando Cavour con il Trattato di Torino firmò la cessione di Nizza e Savoia.

Peccato che i francesi non conservino testimonianza di quella mappa, custodita invece all’Archivio di Stato di Torino. Ne è nato così un contenzioso infinito, che porta a una rivendicazione sterile di sovranità che trova la sua negazione anche tra le motivazioni, la salvaguardia ambientale, che le amministrazioni francesi hanno utilizzato per rimettere in discussione i confini e il relativo esercizio del controllo su porzioni di territorio limitrofe. Se c’è una lezione che italiani e francesi dovrebbero aver appreso, è che in un contesto di estrema fragilità ambientale come quello alpino interventi unilaterali sono inefficaci, mentre, al contrario, l’unica speranza di mitigare l’impatto della pressione antropica e dei cambiamenti climatici sia nel concepire e mettere in atto azioni che considerino il territorio come bene comune. Senza dimenticare che, secondo la ricetta sempre attuale del panem et circenses, le dispute sovraniste sui confini spesso emergono nei momenti di crisi come catalizzatore di malcontento e canalizzazione del dissenso piuttosto che essere espressione di una reale esigenza.

Così nel 2020 le carte geografiche continuano ad accendere gli animi. Carte geografiche che molto spesso prefigurano la realtà, impongono un assetto e una forma di controllo in maniera non necessariamente coerente con quanto il territorio, sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista socio-culturale, esprime. L’espansione e la dominazione coloniale e neocoloniale ne sono storicamente una delle testimonianze più vivide. Ancora oggi, la parzialità (e, alle volte l’unilateralità) delle rappresentazioni di alcuni confini generano conflitti e contrapposizioni, anche violenti, come quello attivo ormai da decenni tra India e Pakistan per il “controllo” della regione del Kashmir. Una nuova fase di tensione si è ripresentata ad agosto proprio a seguito della pubblicazione da parte del Pakistan di una carta geografica con una revisione dei confini tra le diverse aree oggetto di contesa.

L’assenza dei confini nella realtà, e quindi la necessità di rivendicarne la loro esistenza, è ciò che spinge ad anacronistiche e antieconomiche erezioni di muri (come tra Stati Uniti e Messico, Ungheria e Serbia) o alla militarizzazione di bracci di mare (tra Europa e Nord Africa), per fermare l’inarrestabile (lo spostamento di individui in fuga da povertà e persecuzioni). Per questo durante il secolo scorso, nella consapevolezza che il valore e il significato di un confine passano attraverso un processo di legittimazione sociale in una condizione di reciprocità e di mutuo riconoscimento delle istanze in campo, si è individuato nei trattati e nella formulazione di accordi espressione di soggetti sovranazionali come le Nazioni Unite, la via maestra per la risoluzione e la prevenzione di dispute e contese.

Riccardo Morri è presidente di Aiig e professore di Geografia a UniRoma1

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