di Isabella Brega
A Posillipo l’edificio barocco incompiuto, voluto dalla principessa Carafa, moglie del viceré spagnolo, continua a esercitare un fascino misterioso su turisti e cineasti
Il fascino dell’incompiuto, la suggestione di una maestosa decadenza. Palazzo Donn’Anna è più di una splendida rovina: è l’espressione di quella Napoli che tutti conoscono ma nessuno possiede, una città che non si lascia intimidire dalla bellezza ma neanche dalla morte. Più che un palazzo, un organismo vivente di pietre rosicchiate dal tempo e dalla salsedine, che sa di mare e di sole e sorge dall’acqua, grondante di incrostazioni e di storia, ergendosi su grotte e anfratti tufacei dell’antica villa e scoglio delle Sirene di Posillipo.
E come una sirena Palazzo Donn’Anna ha due anime, naturale ed architettonica, regalategli dal promontorio di tufo della collina di Posillipo in cui è incastonato e dall’ingegno del suo architetto, Cosimo Fanzago. Un palazzo-scultura che è monumento di se stesso e, simile a una sirena, ha una doppia natura indefinita: “il corpo arso dal sole mediterraneo e i piedi umidi, bagnati dal mare del golfo”. Il suo canto, legato al fascino e al mistero di questo monumentale rudere barocco sospeso nella sua struggente solitudine fra terra e mare, i grandi occhi vuoti, i corridoi sotterranei, i balconi sbocconcellati dai venti, l’ampia terrazza affacciata sul panorama del Vesuvio, ha incantato pittori e scrittori. Il suo essere cristallizzato fuori dal tempo, la sua incompletezza gli hanno conferito unità, fama, immortalità, la suggestione dell’indefinito e di una potenzialità inespressa.
Iniziato intorno al 1640 per volere della ricchissima e potente Anna Carafa (nel tondo in alto) e del marito, il viceré spagnolo Don Ramiro Nún˜ez de Guzmán, duca di Medina de las Torres, su una preesistente villa cinquecentesca, il colossale edificio dalla pianta a U, articolato su tre livelli e dotato di un teatro al piano terra, non fu mai terminato. L’architetto Fanzago ideò un doppio ingresso, dal mare e da una via carrozzabile lungo la costa di Posillipo. La caduta del viceregno spagnolo, la fuga del marito a Madrid e la morte prematura di Donn’Anna misero la parola fine a questo sogno di onnipotenza.
La storia irruppe prepotentemente travolgendo uomini e cose. Dai fasti iniziali si passò velocemente a un rovinoso decadimento: terremoti, saccheggi, crolli, abbandoni, passaggi di proprietà, cambi di destinazione d’uso fiaccarono l’animo e l’architettura del gigante dai piedi di tufo. Nell’Ottocento, trasformato prima in una fabbrica di cristalli, poi in albergo grazie all’acquisto nel 1870 della famiglia Geisser, nel 1894 entrò a far parte dei beni della Banca d’Italia. Due anni dopo fu rilevato da Louis Genevois, che lo restaurò per farne la sua dimora. In seguito fu suddiviso in vari appartamenti, abitati da personaggi talvolta eccentrici e ben presenti nei ricordi degli abitanti di Posillipo, come l’anziano gentiluomo che viveva nell’ala acquistata dal principe Colonna, la marchesa che girava con frotte di cani al guinzaglio, il console francese, stuoli di famiglie inglesi. Oggi il teatro e i sotterranei ospitano la Fondazione Ezio De Felice, mentre sulle terrazze si allena l’attaccante del Napoli “Ciro” Mertens. Dalla potente Anna Carafa poco è cambiato. I nuovi dei abitano ancora qui.
Il libro
Un libro sontuoso per un edificio sontuoso: Palazzo Donn’Anna. Storia, arte e natura (pag. 320, 200 illustrazioni, 90 €), a cura di Pietro Belli, è la monografia di grande formato che l’editore Allemandi ha dedicato all’edificio di Fanzago. Un’opera poderosa e dal grande rigore scientifico, corredata da un ricco apparato iconografico, oltre che dal contributo originale di artisti e fotografi contemporanei di fama internazionale.
ll palazzo nel cinema: da Totò al giovane Leopardi
Da più di un secolo il palazzo è protagonista e set di drammi e commedie. Più volte raffigurato da pittori e fotografi, con risultati talvolta anche stereotipati e oleografici, per la sua forza iconica e l’incantevole posizione Palazzo Donn’Anna non poteva non suscitare l’interesse dei registi. Fra i più celebri film che hanno avuto l’edificio come sfondo bisogna ricordare Assunta Spina del 1915, tratto da un dramma di Salvatore Di Giacomo, con la regia di Francesca Bertini e Gustavo Serena (che ne sono anche gli sceneggiatori e gli interpreti), uno dei più grandi successi del cinema muto italiano. Il palazzo compare in una delle scene più importanti del film, quando Michele Boccadifuoco porta la fidanzata Assunta a Posillipo per un pranzo fra amici sulla terrazza di una trattoria, con tanto di posteggiatori al seguito pronti a cantare arie della tradizione napoletana, al termine del quale, accecato dalla gelosia per un ballo fra Assunta e un suo corteggiatore, Raffaele, la sfregia.
Da ricordare anche Totò, Peppino e la... malafemmina, con il celeberrimo comico napoletano, Peppino De Filippo, Dorian Grey e Teddy Reno (nella foto sul terrazzo della villa che Gianni, interpretato dal cantante, si fa prestare e dal quale si può scorgere Palazzo Donn’Anna), girato nel 1956 per la regia di Camillo Mastrocinque. L’edificio di Fanzago ritorna in tutta la sua suggestione ne I guappi di Pasquale Squitieri, del 1974, con Franco Nero, Claudia Cardinale e Fabio Testi, una storia di amore e morte sullo sfondo di una Napoli di fine Ottocento. Ultima menzione per Il giovane favoloso, uscito nel 2014, regia di Mario Martone, dove in una delle scene più emblematiche (foto in alto) ed emozionanti girate a Napoli, Elio Germano, che interpreta Giacomo Leopardi, si trova sulla spiaggia di via Posillipo, dominata dalla mole maestosa del palazzo voluto da Anna Carafa.