di Tino Mantarro | Foto di Archivio fotografico Tci
La pandemia ha portato alla crescita degli spazi dedicati a orto urbano nelle nostre città. Un fenomeno non nuovo, che puntualmente ritorna in tempo di crisi, o di guerra
La notizia è nei numeri: negli ultimi cinque anni gli spazi dedicati agli orti urbani in Lombardia sono cresciuti del 37 per cento. E nel resto d’Italia a livello di percentuali siamo lì. Con una ulteriore decisa impennata nei mesi del lockdown dove, complice l’arrivo della primavera, ha preso piede la riconversione di balconi e giardini in orti più o meno floridi e ben tenuti, che però hanno costituito un utile riempitivo; se non della dispensa almeno del tempo, quando non si poteva uscire. Del resto sono anni che il fenomeno degli orti urbani è in crescita: lo fotografava due anni fa una ricerca di Coldiretti secondo la quale gli orti pubblici delle città capoluogo italiane erano cresciuti quasi del 40 per cento, occupando una superficie di 1,9 milioni di metri quadri di terreno di proprietà comunale. Quasi il 30 per cento dei quali concentrato in Emilia Romagna, il resto soprattutto nelle regioni del Nord.
«C’è una relazione quasi matematica tra nascita, sviluppo e diffusione degli orti urbani e crisi economica» spiega la Treccani. «Una sorta di proporzione aritmetica, quasi una simmetria statistica» che vuole che in momenti di difficoltà ci sia un ritorno alla terra in senso stretto. Quasi che la fatica e il sudore chini sulla terra siano visti come un simbolico antidoto alle incertezze del presente. È perlomeno da quando la nostra società è diventata industriale che, periodicamente in tempo di crisi, si è fatto ritorno alla terra. Negli Stati Uniti durante la Grande Depressione il presidente Franklin Delano Roosevelt rilanciò la coltivazione in ambiente urbano promuovendo il progetto dei welfare garden plots: appezzamenti di terra dati in appalto ai disoccupati e alle famiglie povere. Pratica che divenne onnipresente durante la seconda guerra mondiale, quando anche in Gran Bretagna comparvero i Victory gardens: giardini dismessi, parchi abbandonati e fette di campagna che si inserivano nei meandri della città per assicurare la dose quotidiana di ortaggi e vitamine alle famiglie urbane.
Lo stesso accadde anche in Italia, come testimonia questa immagine dell’Archivio Tci, scattata in piazza della Scala a Milano nel luglio 1942. Solo che nell’Italia fascista gli orti di guerra divennero un affare di Stato. Pannocchie e grano coltivati in piazza Venezia a Roma, piazza della Vittoria a Genova, davanti al Duomo di Milano o nel parco del Valentino a Torino erano strumenti di propaganda nella mani del Duce, che anni prima aveva lanciato la battaglia del grano nel segno dell’autarchia alimentare. Così la raccolta di poche balle di frumento diventava il momento per glorificare i «militi devoti della vittoria del grano», protestare contro l’iniquità delle altre potenze occidentali e celebrare con toni stentorei «la conversione di tutti i terreni di proprietà comunale dove un tempo crescevano fiori e piante in terre coltivate, dove Flora ha ceduto il posto a Cerere, in osservanza dell’imperativo del Duce». La retorica ufficiale era chiara su questo tema: «creare un orto di guerra è il dovere di ogni italiano».
Ma non è solo durante il fascismo che nelle città italiane le aiuole lasciano il passo agli orti. Negli anni della prima guerra mondiale la penuria di generi alimentari e la difficoltà di approvvigionamento rendevano la fame un problema reale. Così all’epoca nacquero cattedre ambulanti di Agricoltura, in cui esperti esortavano i cittadini a sacrificare il proprio giardino per lasciare spazio alla coltivazione delle “ortaglie”, in un momento in cui produrre rappresentava un dovere verso se stessi e nei confronti della Patria. Oggi la situazione è diversa. Michelle Obama era orgogliosa del suo orto alla Casa Bianca. Forse non lo coltivava davvero lei, ma era il simbolo di un’alternativa possibile e di una cucina sana. Al Quirinale per ora non si ha notizia di orti presidenziali, ma il nostro resta un Paese di orticoltori. Secondo una ricerca di Istat/Coldiretti quasi un italiano su due per hobby si dedica all’orto, che sia dietro casa, nel terrazzo o parco pubblico dove sempre più spesso vengono ricavati lotti di terra (in media da 20 metri quadrati) assegnati gratuitamente, e non solo a pensionati. In ambiente urbano poi spesso occupano zone marginali, ritagli di terreno in aree periferiche che così vengono curate quotidianamente e diventano un presidio attivo contro il degrado. Se son zucchine fioriranno.