Svizzera. Nel piccolo Klondike

Livio PiattaLivio PiattaLivio PiattaLivio PiattaLivio PiattaLivio PiattaLivio PiattaLivio PiattaLivio Piatta

Più che una corsa è una camminata all’oro tra miniere, torrenti e preziose pagliuzze da cercare immersi in acqua o scalpellando la roccia. Solo uno dei motivi per scoprire il Cantone Vallese

A una manciata di chilometri dal confine italo-elvetico, dove l’Ossola si intreccia al Canton Vallese, si staglia Gondo, la frazione più grande del Comune di Zwischbergen, poco più di 70 anime da quando, 20 anni fa, un’alluvione ne devastò l’abitato, coprendo di fango e detriti le sue case e causando morti e la dispersione dei già piuttosto esigui abitanti. Le rocce che nel 2000 si sgretolarono, portando morte e devastazione, un tempo neanche troppo lontano hanno donato benessere e ricchezza a questo angolo delle Alpi. Quelle di Gondo infatti sono rocce aurifere e fino all’inizio del secolo scorso grondavano d’oro. Ci troviamo nell’Alto Vallese, la regione meno patinata e regale del Cantone, lontana da comprensori lussuosi, ma costellata di un patrimonio culturale pluricentenario, costruito e custodito, oggi come ieri, da figure carismatiche che ne hanno valorizzato le risorse: veri re senza corona. Ci si arriva da Domodossola, un tempo corridoio per molti italiani in cerca di lavoro nelle miniere di cui il Cantone è pieno. Quelle di Gondo fino a un secolo fa rappresentavano un vero Eldorado e brulicavano di minatori. La Val Vaira era considerata la valle dell’oro, la versione svizzera del Klondike. Sin dai tempi dei Romani erano state scoperte le rocce aurifere alpine, ma solo dalla metà del XVI secolo iniziò la caccia al metallo giallo e ancor più dalla metà del XVII, quando un ambizioso imprenditore vallesano, Kaspar Stockalper, che assunse poi il titolo di barone, intuì la grande potenzialità del metallo prezioso e iniziò a investire denaro, incrementando l’estrazione, costruendo gallerie e arricchendosi con l’indotto. Nell’800 la concessione delle miniere aurifere fu venduta a una società francese, che investì un grande capitale: e riusciva a estrarre – a fine secolo – fino a sei tonnellate di minerale al giorno, da cui ricavava 40 grammi d’oro, fino a esaurirne le riserve prima dell’inizio del ventesimo secolo.

Per raggiungere le miniere aurifere dal villaggio bisogna percorrere un sentiero punteggiato di faggi e betulle. Ad accompagnarci Rolf Gruber, una guida a metà tra un taglialegna e un minatore, barba bianca e grandi spalle sulle quali è appoggiato un capiente zaino pieno di scalpelli e picconi per la nostra squadra di minatori neofiti. Conosce tutto del bosco, ci guida in una gimcana di rovi e inciampi, tutta in salita. Un po’ di fiatone, qualche pausa, ma Rolf assicura che i gruppi che accompagna di solito vanno dai 6 ai 90 anni. Indossiamo il casco e, dotati dei nostri arnesi, ci affidiamo alla sua competenza: racconta tutti i segreti della ricerca dell’oro, insegna a scalpellare, indica gli anfratti della miniera più prolifici. E, proprio incidendo la parete rocciosa, rimaniamo colpiti dalla polvere dorata sprigionata, con l’illusione di portare a casa un bel bottino, salvo poi scoprire che si tratta di semplice pirite. Ci vuole forza e precisione per fare il minatore ed è per questo che Rolf nel suo zaino inserisce sempre una saporita e provvidenziale merenda vallesana: carne secca e formaggio alpino, accompagnati dalla treccia di pane svizzero al burro fatta in casa e da birre del Vallese. Quando usciamo dalla fredda miniera ci ritroviamo le tasche piene di pietre, ma di oro nessuna traccia. Ma non si può certo partire da questo distretto senza aver trovato almeno un po’ di polvere gialla. Rolf spiega che non è difficile trovarne qualche traccia perché i torrenti qui ne sono ancora ricchi: così ci guida verso un affluente del torrente Diveria. Chi riesce ad accaparrarsi le pagliuzze ha il diritto di portarle a casa. Bisogna però fare i conti con l’acqua gelida, e per cercare l’oro bisogna immergercisi fino alle ginocchia. Rolf ci consegna stivaloni e grandi piatti rotondi (o batea) e una boccetta di vetro dove mettere l’eventuale bottino. La ricerca dell’oro ha inizio: il piatto va scosso da sinistra a destra, si devono eliminare i ciottoli più grandi e la ghiaia, operazione che va realizzata però sott’acqua per fare in modo che l’oro, che è più pesante, scenda verso il fondo. è a questo punto che, aguzzando la vista, si dovrebbero intravedere le pagliuzze. I fortunati ne portano via 4 o 5, ma può anche capitare di non riuscire a trovarne e allora Rolf regala agli sfortunati la pagliuzza di consolazione. Ci si sente un po’ Jack London, con le minuscole e luccicanti pagliuzze d’oro, come trofeo.

Il percorso è parte della mulattiera Stockalperweg, che per secoli, è stata scenario di passaggi e commerci tra Italia e Svizzera. Fu realizzata oltre 300 anni fa dallo stesso Stockalper, per unire Domodossola e Briga, la sua città d’origine. La sua lungimirante idea di rimodernare l’antica via romana del sale, lungo il Passo del Sempione, realizzando anche rifugi per consentire le soste alle carovane di passaggio, permise il potenziamento del commercio tra Italia, Francia e Fiandre. Quella del “re del Sempione” fu una carriera folgorante. Si arricchì con il monopolio del sale e riconvertì il Sempione nel passaggio commerciale principale tra il Nord e il Sud dell’Europa; a Briga, fece costruire un castello che porta il suo nome. Fu lui ad acquistare le miniere del Vallese, ricolme di metalli preziosi e minerali. Diede lavoro a oltre 5mila persone. Dopo la sua morte il Passo cadde in declino per oltre un secolo, fino a quando Napoleone, nel 1805, fece costruire, accanto alla Stockalperweg, la prima strada carrozzabile delle Alpi. Continuiamo il nostro viaggio in direzione di Binntal, la valle di Binn. Attraversiamo quattro Comuni (Ernen, Binn, Grengiols e Bister) e due villaggi (Niederwald e Blitzingen), ognuno con la sua storia. Ernen, il più popoloso (500 abitanti), si apre sul lato sinistro della vallata del Goms, inserita nel parco naturale di Binn. Per abbracciare in un unico sguardo la natura selvaggia di gole e torrenti impetuosi e quella dolce delle colline decidiamo di attraversare il ponte, ai margini del villaggio, lungo 280 metri, sospeso a un’altezza di 92 metri sulla gola di Lamma dove scorre il Rodano (inadatto a chi soffre di vertigini). Ritorniamo poi nel centro storico della cittadina, un tempo snodo dei commerci alpini, trovandosi in un punto strategico lungo la strada che conduce ai Passi della Furka e di Grimsel. Alcuni edifici sono cinquecenteschi: come la chiesa tardo-gotica di St. Georg, eretta tra il 1510 e il 1518, e la Tellenhaus, casa in legno datata 1576, una casa patrizia che vanta il pià antico affresco raffigurante il leggendario Guglielmo Tell, nume tutelare della Confederazione Elvetica, così come la casa di Jost-Sigristen, governatore dell’allora Repubblica del Vallese, ancora Stato indipendente. Il villaggio si è visto aggiudicare qualche anno fa il prestigioso premio Henry-Louis Wakker per il nucleo storico meglio conservato dell’intera Svizzera. Una frazione, Mühlebach, conserva invece il nucleo di case in legno più antiche della Confederazione, risalente al XIV secolo.

La musica è l’altro leitmotiv di questa vallata e ci guida al Comune limitrofo di Binn (a 1400 metri di altitudine), patria del salterio, uno strumento di origini antichissime – risalirebbe al 300 a.C. – di cui esistono la variante “a pizzico”, come la cetra, e quella a percussione. Le sue corde vengono percosse con due martelletti con la punta in cuoio e può anche essere suonato a quattro mani. Armonie che si esprimono in musica e nella natura, che vanta la presenza di fiori autoctoni come la violacciocca alpina, che spunta nelle gole di Twingi, e il tulipano di Grengiols, una varietà che fiorisce a maggio solo qui. Ma la Binntal è considerata uno dei cinque siti mineralogici più importanti del mondo. Li scopriamo, armati di scalpelli e martelli, guidati da Siona Lang e dal mineralogista Ewald Gorsatt. è lui che ci aiuta a districarci tra granati verdi, rossi, silicati e cafarsiti. Siona ci accompagna invece dal re Mida della valle di Binn, André Gorsatt, cercatore e collezionista di pietre e minerali, ai quali ha dedicato la vita e un originale museo. Diverso ancora il villaggio di Niederwald. Ci vivono appena 50 persone. Ma vanta un grande antenato. Nato il 2 febbraio 1850 e partito da una famiglia di umili agricoltori divenne uno degli imprenditori più ricchi al mondo: Cäsar Ritz, fondatore dell’omonimo hotel extralusso di Parigi (e poi della catena internazionale) e anche ispiratore dei biscotti che portano il suo nome. Nel museo a lui dedicato, nella stazione del paese, è stata ricostruita un’intera camera dell’Hotel Ritz, trasportata da Parigi con gli arredi originali mentre, nella sala accanto, sono raccolti i ricordi di Cäsar bambino, sparsi su una modesta tavola apparecchiata, accanto a un’altra, ben più ricercata, proveniente dall’hotel parigino di place Vendôme. Il re inglese Edoardo VII lo aveva definito “il re degli albergatori e l’albergatore dei re”: un altro re senza corona di questa terra di confine.

Foto di Livio Piatta
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