Italia. Una fragile bellezza

Il nostro Paese vanta un vero e proprio patrimonio architettonico di edifici trascurati a favore di nuove costruzioni che aggravano il problema del consumo di suolo

Luoghi che non sono più. Orfani di una propria funzione e identità, abbandonati, vandalizzati: a prima vista gli edifici che appartengono a quel patrimonio in rovina che è una macchia sull’immagine di un Paese forse troppo ricco di memorie si assomigliano tutti. Gusci vuoti di un tempo perduto, dalla bellezza fragile e sospesa.

Ville, palazzi, castelli decadenti, custodi senza voce di storie lontane, relitti della memoria ripiegati su se stessi, hanno l’uniformità della desolazione e della solitudine. In un’Italia vittima di una cementificazione selvaggia che ha divorato il 7,1 per cento della sua superficie e dove il consumo del suolo di nuove costruzioni è di due metri quadrati al secondo – problema molto sentito dal Tci e dalle associazioni della coalizione #salvailsuolo – il recupero e riutilizzo di questi edifici non è solo un atto di rispetto per la nostra storia, di riparazione o di omaggio a una grandezza passata, ma anche un modo per contenere un grave problema.

Sono infatti due milioni gli edifici abbandonati del nostro Paese e ben sette milioni le case, circa il sei per cento del patrimonio immobiliare nazionale. Costruzioni lasciate a se stesse, fonti di degrado urbano e segnali di una crisi che danneggiano la reputazione turistica dell’Italia e si ripercuotono sul tessuto economico e sociale di un’intera comunità, con gli inevitabili problemi di sicurezza legati all’abbandono del territorio. In questi spazi vuoti e sospesi, apparentemente immobili, il confine tra bellezza e rovina può essere colmato solo dal ritorno della vita e dalla tenerezza degli uomini.

Fra cartelli che recitano minacciosi avvertimenti di Proprietà Privata a cui non credono più nemmeno loro, pareti screpolate che trattengono a stento sassi e mattoni, finestre dagli occhi vuoti attraversati da ricami di formiche, giri di filo di ferro a chiudere portoni violati e lame di luce che tagliano le crepe facendo danzare nell’aria pagliuzze dorate, la natura ridisegna l’architettura. Edera, glicine, radici avvolgono ville e palazzi che non sperano più in un ritorno e acquistano i colori della terra, dei rovi, del muschio e l’eco fascinoso della desolazione.

Hanno pazienza gli edifici abbandonati e, prigionieri di un tempo senza tempo, nel moto continuo della trasformazione vivono non più per addizione ma solo per sottrazione – di amore, di vita, di uomini, di cose – riducendosi a un’essenzialità che è un concentrato di memorie di chi è passato e ha lasciato qui qualcosa di sé, mentre il vento corre dispettoso fra le stanze giocando a nascondino con le lucertole e un Olimpo opaco di dei e ninfe senza gioia si aggrappa alla volta del soffitto per non scomparire. Questi luoghi meritano rispetto per ciò che continuano a rappresentare.

Non a caso volutamente l’autore di queste foto non ne fornisce l’ubicazione perché, come scrive: «Non si tocca nulla, non si deteriora nulla, si fa solo qualche scatto. E poi si va. Il mondo è un teatro e io ho scelto di guardare anche dietro le quinte».

Un patrimonio umiliato

Un viaggio di oltre otto anni per dare vita a un reportage fotografico eccezionale. Italia Abbandonata delle edizioni Jonglez (pag. 284, 39,95 €, 2018) è frutto di una lunga ricerca di Robin Brinaert (autore delle foto e dei testi) attraverso luoghi abbandonati e dimenticati del Bel Paese. Un volume di grande impatto che è anche una denuncia sullo stato di abbandono in cui versano monumenti, edifici e chiese di quel patrimonio artistico che il mondo ci invidia.

Foto di Robin Brinaert
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