Riscopriamo la geografia. Tutto il mondo in un palazzo

L’Università di Padova ospita l’unico museo di geografia al mondo: siamo andati a vederlo

Racchiudere tutto il mondo in un museo di quattro grandi stanze è un compito arduo. Ma se la tua sede si trova sulla via del Santo, la strada acciottolata che porta alla Pontificia Basilica Minore di S. Antonio di Padova, allora hai qualche speranza di realizzare il miracolo. Cosa che in effetti è riuscita – e bene – ai curatori del Museo di Geografia dell’Università di Padova. Inaugurato nel dicembre del 2019, è il primo museo al mondo consacrato non a un territorio o a una città, ma al sapere geografico. Ospitato nel Settecentesco palazzo Wollemborg, casa natale di Leone Wollemborg fondatore della prima Cassa Rurale d’Italia e dagli anni Settanta sede del Dipartimento di Geografia, nasce per portare a compimento quella che è ormai la terza missione di ogni Università. Ovvero, oltre alla ricerca e alla didattica, la semina di queste ricerche nella società, escogitando strumenti e occasioni di divulgazione e formazione diffusa. E un museo come questo, non c’è che dire, è una bella occasione.

Occasione che celebra anche il contributo che l’ateneo di Padova ha dato alla disciplina. Qui infatti nel 1867 è stata assegnata una delle prime cattedre di Geografia del Regno d’Italia e qui, dal secondo dopoguerra, un esperimento unico in Italia ha visto riuniti sotto lo stesso tetto studiosi di geografia umana e fisica, famiglie affini che nel panorama accademico italiano sono sempre state separate. L’esperimento è finito nel 2011 per via dell’ennesima riforma universitaria, e così la nascita del museo è stata un po’ l’occasione per celebrare un’avventura scientifica lunga 150 anni. Celebrarla, certo, ma anche fare qualcosa di più. Il Museo di Geografia infatti non è pensato come una collezione di oggetti, piuttosto come una esperienza di conoscenza. «L’idea che sta alla base di questa struttura è di fare attivamente geografia attraverso il patrimonio» racconta Giovanni Donadelli, curatore del museo, e uno dei quattro studiosi che ha realizzato l’allestimento. Da qui l’importanza data alla relazione con gli istituti scolastici – che costituiscono il più vasto bacino di visitatori –. Per loro è stato pensato un catalogo di 25 proposte di visita che vanno dalle scuole dell’infanzia alle secondarie di secondo grado.

«L’obiettivo è far divertire attraverso la geografia, dimostrare che è una disciplina complessa ma appassionante. Per fare questo il museo ha una concezione attiva, ovvero è stato pensato per diventare una classe in cui gli studenti, partendo dalle collezioni, possono riflettere sui vari concetti geografici e applicarli alla vita quotidiana», aggiunge. Il percorso di visita è stato sviluppato attorno a tre linee guida principali: esplora, misura e racconta. «Tre percorsi di conoscenza geografica che presentano rispettivamente la misurazione dei fenomeni ambientali e climatici, le esplorazioni di ieri e di oggi e il racconto dei luoghi attraverso le metafore» prosegue Donadelli. Finita la visita a palazzo Wollemborg non si esce solo con gli occhi pieni di cose viste, ma con la testa ricca di riflessioni e nuove interpretazioni. Con l’idea che il sapere geografico non è l’elenco di fiumi e montagne o la cartina muta delle elementari, ma è un sapere dinamico che fornisce una chiave interpretativa del mondo in cui viviamo ponendo domande che portano a ulteriori approfondimenti ed esplorazioni. Mauro Varotto, docente di geografia e responsabile scientifico del Museo, confessa: «Ci piacerebbe che ognuno uscisse da qui con la consapevolezza che – anche se si crede che ormai tutto il mondo sia stato esplorato – l’esplorazione non è affatto finita. La geografia è un sapere che invita all’analisi critica di situazioni complesse, cogliendo la pluralità di relazioni e significati degli spazi geografici che abitiamo e attraversiamo». Ma che cosa si incontra nelle del sale museo? Globi – tra cui tre seicenteschi – e poi planisferi, carte murali e una collezione di plastici – mappe in rilievo tipiche di inizio Novecento –, tutti oggetti che seguono idealmente la progressione del sapere geografico e della rappresentazione cartografica nei secoli. E ancora fotografie, immagini tratte dalle campagne di studio condotte dal dipartimento negli anni, tra cui la spedizione De Agostini del 1955/56 nella Terra del Fuoco, strumenti per la ricerca sul campo e per la misurazione ad esempio dei fenomeni atmosferici.

Fin qui gli oggetti, che durante la visita parlano ma fino a un certo punto. Parlano perché al Museo di Geografia le visite sono sempre guidate, e dunque c’è qualcuno accanto capace di farli parlare. Per cui vengono raccontati e messi in relazione con l’evoluzione del sapere geografico in modo da aiutare il visitatore ad affrontare con consapevolezza le grandi sfide ambientali e sociali del mondo contemporaneo. E così, quando si esce, oltre ad aver appreso le coordinate di base per capire il mondo, nella testa rimane una frase di Jorge Luis Borges letta su una delle pareti del museo: «Non c’è un solo uomo che non sia uno scopritore». Riflessione che viene da prendere quasi come missione: una missione geografica.

Info: Museo di Geografia, via del Santo 26, Padova.
Tel. 049.8274276; musei.unipd.it/it/geografia
Ingresso gratuito con visita guidata, previa prenotazione

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