di Diogene
Tappa umbra del Grand Tour per Goethe
«Partii da Perugia in un mattino stupendo, felice di trovarmi di bel nuovo solo.
La posizione della città è bella, e la vista del lago amena...»
Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia, venerdì 25 ottobre 1787
Goethe, nel suo viaggio in Italia, all’arrivo in Umbria non presta attenzione a Perugia e tanto meno alla basilica di S. Francesco ad Assisi e ai suoi cicli di affreschi, da Giotto a Simone Martini, che descrive in poche e non lusinghiere parole: «Lasciai alla mia sinistra le costruzioni delle chiese sovrapposte le une alle altre, dove sta la tomba di S. Francesco, le quali punto non mi attraevano». Quello che gli interessava era il tempio di Minerva, «costruito ai tempi di Augusto e tuttora in buonissimo stato», non per cognizione diretta ma perché del tempio «sapeva dal Palladio e dal Volckman». Nessuno oggi, volendo visitare Assisi, metterebbe al primo posto il Tempio prostilo corinzio in antis di Minerva, che la Guida Rossa Tci Umbria descrive come «tra i meglio conservati del mondo classico», che chiama “detto” di Minerva per la incerta attribuzione al culto della dea della saggezza. Trasformato, ormai da secoli nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, ragione della sua integrità del bel colonnato esastilo, chiuso dall’elegante frontone. Così nessuno oggi metterebbe come prima scelta di visita a Perugia l’abbazia di S. Pietro, in Borgo XX Giugno (data della strage dei patrioti del 1860), superata la cinta delle mura medievali per la Porta di S. Pietro, scenografica e ripresa a imitazione dalla facciata del tempio malatestiano di Rimini. La basilica è in rilievo, per un viale di cipressi che sale al portone; con le targhe sul muro del dipartimento di scienze agrarie e ambientali dell’Università degli Studi di Perugia. Il custode si sporge dalla finestra del piano terra, come il macchinista di una locomotiva, e manifesta la gioia per la visita di turisti, come era dei padroni dei palazzi e delle ville del tempo di Goethe. Elenca con precisione, come fossero granati di una collana, la chiesa di non facile ingresso, il chiostro maggiore, quello minore o delle stelle, l’orto medievale, emergenti o fiancheggianti le aule, le pareti dei corridoi con gli annunci di convegni e seminari universitari.
La chiesa non ha facciata, inglobata nella corte di ingresso, di rifacimento settecentesco. In angolo al portico, lo spicchio rugoso e possente del basamento del campanile che si erge centrale. Dodecagonale e poi esagonale e infine diviso con i beccatelli dal quadrato dalle lunghe bifore del terzo stadio. Infine la cuspide aguzza a dominare il convento, punto di riferimento per i viaggiatori romani alla città in lontananza e ai perugini, dalla loro acropoli, per le colline a declivio verso Roma. La navata centrale e le laterali sono una quadreria della pittura umbro toscana, con il povero Sassoferrato che diviene ombra del Perugino o copiatore di Raffaello e il Vasari a completare le pareti con minor gloria delle sue cronache e l’Aliense infine, più di un secolo dopo, a riempire, a metratura, lo spazio in alto tra il soffitto della navata centrale e di quelle laterali. L’aria campagnola della pieve suburbana, quell’atmosfera di cultura e dominio della natura della Regola benedettina si completa nel giardino-orto, epitome dell’enciclopedismo esoterico medievale. Il percorso iniziatico parte dall’Albero cosmico a quello dello scienza e della conoscenza, ai quattro elementi e alle dodici parti del tempo e delle stagioni e poi, per la selva oscura della vita (lecci, querce e pinacee), al Giardino dei semplici e a quello delle piante alimentari, alla peschiera e alla sorgente dell’acqua, zampillante dalla grotta artificiale, dirimpetto al belvedere sulla campagna. Tutto è spiegato e nulla è esibito, e la sensazione didascalica della conoscenza si dilata nel tempo a spegnere l’affanno della velocità.