di Luca Bonora
Dopo la sorgente e il delta, anche il tratto centrale del più lungo corso d’acqua italiano è diventato Riserva della biosfera Unesco. Un territorio in cui l’ambiente è tutelato, ma soprattutto dove l’uomo e la natura lavorano fianco a fianco
Ho nella testa un mantra imparato alle elementari. «Nasce dal Monviso, attraversa la Pianura Padana e sfocia nel mare Adriatico con una foce a delta». Il Po. Il più grande fiume italiano, 652 km di lunghezza, un gigante anche se confrontato con gli altri grandi fiumi europei.
Ma è una definizione astratta, intangibile. Nella mia percezione, il Po non esisteva davvero: era solo una linea immaginaria fra la sorgente e la foce. Una sottile riga azzurra che disegnava il confine fra una regione e l’altra. Qualcosa che allontanava, e se non ci fossero stati i ponti, divideva irrimediabilmente le terre. Oggi, poi, che in epoca di Covid-19 i confini regionali sono spesso invalicabili, quella riga azzurra potrebbe diventare un muro.
E invece no. Un fiume non taglia, attraversa. Non separa, unisce. Fa da cerniera fra due sponde che per quanto possano sembrare lontane, restano e sono vicine. C’è la stessa flora, sulle due sponde contrapposte. La stessa fauna, gli stessi uomini, le stesse colture. E la stessa cultura.
Attorno al Po vivono 20 milioni di italiani, la parte centrale del fiume è quella più urbanizzata e antropizzata. Un territorio molto consumato, e perciò a rischio. Un territorio che dal 19 giugno 2019 è diventato Riserva Mab (acronimo per Man and the Biosphere, “L’uomo e la biosfera”) Unesco, un programma scientifico nato nel 1971 per promuovere un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente attraverso la tutela della biodiversità e le buone pratiche dello sviluppo sostenibile. Le Riserve Mab promuovono cooperazione scientifica, ricerca interdisciplinare e sostenibilità ambientale coinvolgendo le comunità locali. Non sono solo il luogo fisico in cui l’ambiente è tutelato, ma quello dove l’uomo e l’ambiente si incontrano e lavorano insieme.
In Italia esistono 19 Riserve della Biosfera, cinque sono legate al Po: la Valle del Ticino, uno dei suoi principali affluenti, è Riserva Mab dal 2002. Poi c’è quella del Monviso, a cavallo fra Italia e Francia, che comprende la sorgente del Po; accanto al Monviso, nel Torinese, c’è la riserva Mab Collina Po; infine la riserva forse più conosciuta, Delta Po. Al centro, la nuova Riserva del Po Grande. Comprende 13 habitat di interesse comunitario e si estende su 85 Comuni, otto province e tre regioni (Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia). Un ecosistema lungo oltre 200 chilometri, che va dal Pavese fino a Rovigo.
Ente capofila per il riconoscimento della nuova Riserva è stata l’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po, istituzione sovra regionale con sede a Parma che progetta e mette in atto azioni concrete per la tutela del grande fiume, direttamente e con il sostegno delle amministrazioni locali. «Fra le nostre priorità c’è la battaglia contro il dissesto idrogeologico e la scarsità idrica: il cambiamento climatico impone azioni incisive sui territori perché l’acqua è una risorsa prioritaria e sta diminuendo. E monitoriamo costantemente lo stato di salute del fiume», spiega Meuccio Berselli, segretario generale dell’Autorità di Bacino. E disegna un ente che, a dispetto del nome complesso e poco noto, è molto presente sul territorio, grazie anche al supporto del Ministero dell’Ambiente (oggi Ministero della Transizione ecologica, ndr) e delle direttive comunitarie.
Perché la nuova riserva è così importante? «Se prendiamo un tratto qualsiasi del fiume, al suo interno, diciamo di 30 chilometri, e con un immaginario compasso facciamo un cerchio di quel diametro, ci rendiamo conto che nel cerchio ci sono personaggi, città, piazze, luoghi di valore storico e artistico come nessun altro luogo al mondo». C’è Colorno con la Reggia ducale, c’è Sabbioneta (Mn), capitale culturale rinascimentale, città ideale dei Gonzaga e anche Bandiera Arancione Tci. Nel Pavese c’è il castello di Chignolo Po, un tempo fortezza longobarda lungo la Francigena. Si è meritato l’appellativo di “Versailles lombarda” dopo che, nel Settecento, il cardinale Agostino Visconti lo fece trasformare in reggia. E ci sono quattro capoluoghi di grande bellezza: Piacenza, Cremona, Parma e Mantova.
«Tutta questa bellezza è un valore aggiunto per questi territori. E nella mia testa c’è l’idea che tutto il corso del Po, nella sua ricchezza e complessità, diventi riserva della biosfera. Dobbiamo unire queste aree esistenti. Questo è uno dei prossimi obiettivi», aggiunge. Ma allora il turismo è una minaccia? La risposta di Berselli è netta: «Non penso che la tutela del territorio e il turismo siano in conflitto. Un turismo adeguato a questo territorio, fluviale, a piedi o in bicicletta, può essere un valore aggiunto, non solo economicamente. Occorre una visione moderna, un po’ sfrontata. Noi investiamo molto sui giovani, sulla loro competenza, sulla loro preparazione e anche sulla loro capacità di superare gli errori e i preconcetti del passato.»
Fra i capoluoghi, quello più vicino al fiume, in tutti i sensi, è Cremona. «Qui da giugno ci sarà un nuovo attracco, a solo un chilometro dal centro della città, dove i turisti vengono a vedere piazza del Duomo e il Museo del Violino», dice Paola Milo, responsabile del Settore Turismo del Comune. «Abbiamo argini bellissimi lungo i quali si snodano piste ciclabili e stiamo realizzando una mappa con sette percorsi cicloturistici che partono dal capoluogo e raggiungono anche altre province, da Bergamo a Sabbioneta (Mn), a Busseto (Pr), legati da un fil rouge musicale che unisce Stradivari e Verdi.» Inoltre due società di armatori, la Navigazione Interna e la River Cruises, organizzano crociere sul Po, ma anche tour sul fiume al tramonto, con cene o aperitivi a bordo (se e quando le norme anticovid lo permetteranno, naturalmente).
Ma questo tratto del Po è ricco di tante altre “chicche”, piccole e semisconosciute, da valorizzare. A San Daniele Po (Cr) dal 1998 esiste il Museo paleoantropologico del fiume Po. Conserva importanti fossili rinvenuti lungo le rive del fiume, resti di un mammuth e di un uomo di Neanderthal, l’unica eccezionale testimonianza della presenza di questa specie in Pianura Padana.
A Sorbolo Mezzani, in provincia di Parma, si sta lavorando per aprire quest’anno un nuovo acquario d’acqua dolce pensato per i più giovani e per la didattica. E poi c’è lo storico Acquario del Po di Motta Baluffi, altro borghetto del Cremonese con meno di 900 abitanti. Dove però tutti conoscono Vitaliano Daolio, pescatore da sempre, molto attivo nel promuovere il pescaturismo e combattere il bracconaggio, che si occupa dell’acquario (nato nel 2004) come fosse un figlio. All’interno, 70 vasche di varie dimensioni raccontano la fauna del fiume. Una realtà che è a rischio chiusura, perché mancano i fondi. Un altro piccolo, fragile pezzo del meraviglioso mosaico che costituisce la Riserva del Po Grande.
Paolo Antonini, avvocato di Casalmaggiore (Cr), è il presidente dell’associazione Amici del Po. «Vogliamo sviluppare una cultura di conoscenza del fiume, cerchiamo di portare le persone a viverlo. Così abbiamo acquistato un’imbarcazione in grado di trasportare trenta persone e sei biciclette, anzitutto per i nostri soci: pur vivendo qui, infatti, più della metà di essi non aveva mai navigato sul Po. Abbiamo portato le persone al mercato cittadino da un’altra regione, da Colorno, in Emilia, qui a Casalmaggiore. Ora stiamo progettando un itinerario di cicloturismo che colleghi Sabbioneta e Casalmaggiore (circa 6 km) costeggiando il Po, unendo per la prima volta, con un progetto di intermodalità dolce, due territori tutelati dall’Unesco per qualità diverse, una artistica e l’altra ambientale».
Tutto rose e fiori, dunque? Purtroppo no. «L’inquinamento è una minaccia costante, e dobbiamo azzerare il bracconaggio ittico, che è ancora un problema serio e diffuso», aggiunge Berselli. E poi, ci sono i predoni del Po. I predoni? Sul Po? Già. Pochi mesi fa agli Amici del Po hanno rubato il motore della loro barca, l’Anguilla. E non è un caso isolato, purtroppo, ma un fenomeno diffuso che rende difficile la navigazione sul fiume: i costi per rimettere a posto una barca sono altissimi. È amareggiato, Antonini: «Non siamo ignorati noi, una piccola associazione: è il fiume a essere ignorato. Non è nelle agende istituzionali, eppure è una risorsa centrale. Le singole regioni non pensano al fiume, è come se appartenesse a qualcun altro, viene ancora spesso vissuto come terra di confine».
«Siamo abituati a un fiume che dà tanto e prende tanto, generoso e spietato. Ci siamo rialzati tante volte, ci rialzeremo anche dopo il Covid-19». Ne è convinta Vanessa Morandi, assessore comunale al Turismo di San Benedetto Po, nel Mantovano. L’ultima tappa di questo itinerario alla scoperta della Riserva della Biosfera Po Grande. Un paese di 6.900 abitanti con un patrimonio storico e artistico millenario: l’abbazia di Polirone, complesso monastico fondato nel 1007 da Tedaldo di Canossa, nonno della celebre Matilde, che fu uno dei più importanti centri cluniacensi d’Europa. Negli anni ampliato e rimaneggiato, è oggi interamente visitabile, e conserva tre chiostri, il refettorio grande, l’infermeria nuova (in predicato di diventare un hotel) e la basilica. Dell’originario periodo medievale rimane una suggestiva chiesetta.
Il complesso ospita il Museo civico Polironiano che racconta la vita contadina nelle terre del Po dalla fine dell’Ottocento in poi. Un Po che oggi è vicino ma all’epoca era ancora più vicino, prima che proprio i monaci dell’abbazia bonificassero uno dei due rami, il Lirone (da cui il nome Po-Lirone). «Ancora oggi si vedono sul fiume le barche dei nostri pescatori, o qualche traghetto turistico che porta al monastero visitatori che partono in barca da Mantova», spiega Morandi. E intanto indica, all’interno del museo, il modellino di una barca: «questa veniva usata per la caccia sul fiume con la spingarda, un’attività molto particolare, oggi naturalmente vietata e quasi dimenticata, eppure non è così lontana: mio padre ci partecipava, da bambino. Qui nel Museo Polironiano si può vedere anche una collezione di marionette e burattini, parte integrante della cultura locale. Per questo è così importante: insegna ai bambini a conoscere le loro radici, a conservarle, ad amarle e a raccontarle. E le nostre radici – conclude – sono nel fiume, che ci unisce tutti.»