di Gino de Vecchis
Per saper rispondere con certezza alla domanda "quanti sono i Paesi del mondo" bisgona rispondere prima a un'altra domanda: che cosa fa di un territorio un Paese?
L’osservazione attenta di un planisfero politico ci aiuta a com-prendere (il trattino è voluto) il mondo, ad afferrarlo nella sua totalità con gli occhi e con la mente. Dalla sua visione possono scaturire riflessioni plurime, così come impressioni fantastiche, che ci accompagnano verso spazi lontani. Ma questo mondo, con le sue tessere piccole e grandi, diversamente colorate, pone anche una serie di interrogativi, dipendenti dalle nostre conoscenze e dalla nostra sensibilità. Probabilmente la domanda più comune «ma quanti sono gli Stati del mondo?» porta diritta al nozionismo geografico, non di certo il fine della disciplina, ma dal quale occorre partire per produrre quei ragionamenti in grado di facilitare il nostro agire territoriale. Possedere una mappa mentale del mondo intero appare oggi più che mai importante e a questo scopo è utile avere un atlante a portata di mano. Ma la domanda sugli Stati, in apparenza semplice, sottende temi complessi, riguardanti la loro natura.
Per rispondere la prima fonte cui attingere è l’Organizzazione delle Nazioni Unite, cui aderiscono 193 Stati, più due come osservatori permanenti: Città del Vaticano e Palestina (Paese amministrato dall’Autorità Nazionale Palestinese). Quest’ultimo però non gode delle prerogative di uno Stato indipendente e la tragica questione mediorientale si trascina da decenni senza soluzione. Va aggiunta poi Taiwan, che presenta tutti i requisiti di uno Stato, anche se con pochi riconoscimenti internazionali, dopo essere stata estromessa dall’Onu nel 1971 con una risoluzione a favore della Cina Popolare. Quindi 196 sarebbero gli Stati del mondo, se non ci fossero – a ulteriore complicazione – alcuni Paesi con riconoscimenti parziali, a volte minimi, da parte di membri delle Nazioni Unite (Abcasia, Cipro del Nord, Kosovo, Ossezia del Sud, Transnistria, Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi), che costituiscono problemi internazionali di non poco conto. Altri Paesi ancora non sono riconosciuti da nessun Paese dell’Onu, ma poi esistono altre realtà come il Kurdistan, che ha come territorio un altopiano situato nella parte settentrionale della Mesopotamia, ma una popolazione distribuita tra Turchia, Iran, Iraq e Siria.
Da queste poche righe si capisce come il quadro politico del mondo muti più rapidamente di quanto possa sembrare, come ci ricorda uno sguardo al 9 novembre 1989, giorno del crollo del Muro di Berlino, che ha portato nel giro di poco tempo a un nuovo disegno della carta geografica dell’Europa e di parte dell’Asia (riunificazione della Germania, suddivisione della Cecoslovacchia, smembramento della Iugoslavia e dell’Unione Sovietica), oltre che a diversi equilibri geopolitici in tutto il mondo. In queste trasformazioni molto mi ha impressionato la Polonia, immutata nei suoi confini (dopo averli cambiati più volte nel passato), che ha visto variare tutti i suoi Stati limitrofi, per giunta aumentati da tre a sette: prima confinava con Unione Sovietica, Cecoslovacchia e Repubblica Democratica Tedesca; dopo la caduta del muro con Russia, Lituania, Bielorussia, Ucraina, Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania. E allora mi tornano in mente le parole del libro Viaggi e altri viaggi dello scrittore e critico letterario Antonio Tabucchi, che considerava l’atlante posseduto da bambino un prezioso strumento didattico, tenuto da parte per i suoi nipoti: «Affinché non pensino, come pensavo io allora, che il mondo sarà sempre quello che conoscono, affinché si rendano conto che la rappresentazione del mondo è relativa, che i colori delle carte geografiche cambiano, un Paese che era colorato di rosso diventa bianco, uno che era giallo diventa verde, uno che era grande diventa piccolo, le frontiere si spostano e i confini sono mobili».
*presidente onorario di Aiig