di Luca Bonora | Fotografie di Clara Vannucci
Dietro i capolavori (romanici) di piazza del Duomo si cela una città dall’anima oscura e misteriosa. Dall’episodio più macabro dell’Inferno dantesco fino alle (vere) origini di Frankenstein, un viaggio tra gli inquietanti segreti della provincia toscana
La piazza è irriconoscibile, senza le migliaia di turisti che ogni giorno la affollavano per fotografarsi accanto alla Torre nel gesto di sorreggerla. Ora è buio e i rari passanti in mascherina accanto ai militari in divisa che presidiano i monumenti disegnano uno scenario inquietante. Di giorno, con il sole, il marmo bianco di Duomo e Battistero irradiano luce sul prato. Ma ora le ombre prendono forma. E di ombre, di oscuri segreti, Pisa e il suo territorio ne ha molti più di quanti immaginassi.
Vittima di un turismo mordi-e-fuggi fra i più deleteri, la città sull’Arno è sconosciuta ai turisti, che (in circostanze normali, pre-Covid) parcheggiano, fanno il giro di piazza del Duomo, se non c’è troppa fila salgono sulla Torre, due foto, un selfie, e via. Ma così facendo si perdono l’anima della città, ed è un’anima misteriosa, a tratti rossa come il sangue.
Due luoghi in particolare rivelano questo lato oscuro: il primo è piazza dei Cavalieri di S. Stefano, su cui si affaccia il palazzo della Carovana, oggi sede della Scuola Normale Superiore, la celebre Università pisana. Realizzato da Giorgio Vasari fra il 1562 e il 1564, la facciata è un tripudio di decorazioni a graffito e altorilievi. Sulla stessa piazza s’affaccia il Palazzo dell’Orologio, che ingloba la Torre del Gualandi. Perché è importante? Perché questa è la famigerata Torre della Fame dove si svolge uno degli episodi più spaventosi della Divina Commedia: la morte – per fame, appunto – del conte Ugolino della Gherardesca e dei suoi familiari, qui rinchiusi. Ugolino, ghibellino che si era schierato con i guelfi, quindi traditore, viene incontrato da Dante nel XXXIII Canto dell’Inferno e a lui racconta la propria orribile fine: «Quivi morì; e come tu mi vedi, / vid’io cascar li tre ad uno ad uno /tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi, / già cieco, a brancolar sovra ciascuno, / e due dì li chiamai, poi che fur morti. / Poscia, più che il dolor, poté il digiuno».
L’altro luogo imperdibile di Pisa è il Museo delle Navi Antiche, sul Lungarno. Anche qui, all’origine di tutto c’è un particolare macabro: le navi esposte sono provenienti da uno scavo realizzato nel 1998 dalle Ferrovie delle Stato accanto alla stazione di Pisa San Rossore. In quel punto, dove nell’antichità un canale intersecava il Serchio, sono stati rinvenuti i resti di circa trenta imbarcazioni. Alcune sono colate a picco lì, altre invece vi sono state trasportate dalla corrente dopo essere affondate altrove. Insomma, il Museo delle Navi Antiche nasce da un cimitero (non solo) di navi...
La narrazione dantesca nel Pisano non si esaurisce con il conte Ugolino. A San Miniato, importante centro della provincia noto soprattutto per il tartufo, si trova la Rocca di Federico II, risalente al 1249. In realtà la Rocca è una torre, distrutta durante la seconda guerra mondiale e ricostruita nel 1958, che domina il centro storico. Anche qui Dante racconta una storia tragica, di tradimento e di morte: scrittore e letterato illuminato, prima ancora che uomo politico, all’inizio del XIII secolo Pier delle Vigne è consigliere dell’imperatore Federico II. Una congiura di palazzo lo fa accusare di tradimento, l’imperatore lo fa accecare e poi lo rinchiude in questa torre, dove Pier delle Vigne si uccide. Scrive Dante (Inferno, XIII Canto): «L'animo mio, per disdegnoso gusto, / credendo col morir fuggir disdegno, / ingiusto fece me contra me giusto.» E con queste parole mostra di non credere alle accuse verso Pier delle Vigne, tant’è che lo mette nel girone dei suicidi e non in quello dei traditori.
L’ultima tappa del nostro itinerario a San Miniato è la più singolare. Ai piedi della Rocca, sulla piazza nota come Prato del Duomo si affaccia la cattedrale di S. Maria Assunta, edificata nel XII-XIII secolo. Se si osserva con attenzione la facciata di mattoni rossi, si notano numerosi smalti bianchi posizionati in maniera simmetrica alla destra e alla sinistra del rosone. Questi smalti rappresentano le costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore. Fu l’imperatore Federico II a volerle incastonate lassù, sulla facciata della chiesa, all’epoca della sua realizzazione: una commistione fra sacro e profano tanto evidente quanto misteriosa.
La storia più inquietante che vi vogliamo raccontare riguarda però un dottore, e una villa. Il dottore è Francesco Vaccà Berlinghieri, che visse dal 1732 al 1812 fra Montefoscoli (oggi la sua casa è un museo che ospita i suoi libri e i suoi strumenti di lavoro) e Pisa: medico chirurgo, era molto stimato ed era conosciuto soprattutto perché sapeva curare i calcoli biliari. Vaccà Berlinghieri non era solo un medico, ma anche un professore universitario, un filosofo e quasi certamente un massone. Faceva anche studi di galvanismo (la contrazione dei muscoli tramite scossa elettrica) sugli animali e – naturalmente in segreto – su cadaveri umani; sede di alcuni esperimenti sarebbe stata una villa a San Giuliano Terme, che sorge proprio di fronte a una tenuta estiva dei Vaccà Berlinghieri: la Villa di Corliano.
La Villa di Corliano è un luogo senza tempo: edificata nel XV secolo su un preesistente tempio romano dedicato alla dea Diana, dal 1536 appartiene alla stessa famiglia. All’interno del parco si trova una fonte ritenuta benedetta perché favoriva la montata lattea. E nella tenuta è stato spesso avvistato un fantasma: una presenza pacifica, che si mostra di solito la notte, prevalentemente a donne. È il fantasma della bella Teresa, vissuta qui nel Settecento: si dice che fosse così legata alla sua casa da non volerla abbandonare nemmeno dopo la morte.
Insomma, la Villa di Corliano è sempre stato un luogo con un’aura magica, esoterica. Forse per questa ragione era prediletta dalla massoneria, e si prestò a ospitare gli scandalosi esperimenti di Francesco Vaccà Berlinghieri. Le riunioni segrete, così come gli esperimenti, sarebbero proseguiti con il figlio Andrea, anch’egli medico chirurgo, stavolta nel Tempio di Minerva Medica, un edificio in stile neoclassico fatto costruire in un boschetto, al riparo da sguardi indiscreti, tra Montefoscoli e Palaia. Il tempietto (oggi visitabile) è infatti ricco di riferimenti esoterici e massonici.
La famiglia Vaccà Berlinghieri aveva conoscenze internazionali: fra i personaggi illustri che frequentavano la casa del medico c’erano Vittorio Alfieri, lord Byron, il poeta inglese Percy Shelley con la giovane moglie Mary.
Mary Shelley inizierà a scrivere il romanzo che le darà fama imperitura, Frankenstein, nell’estate del 1816, durante una vacanza sul lago di Ginevra assieme al marito, a Byron, a John Polidori e ad altri letterati che una notte si sfidarono a scrivere racconti spaventosi. Frankenstein parla di uno scienziato che utilizza l’elettricità per ridare vita a un corpo morto: gli esperimenti di Vaccà Berlinghieri avevano colpito a tal punto l’immaginazione della giovane Mary, all’epoca 19enne? È possibile, ma all’epoca erano diversi i medici a fare questo genere di esperimenti. E poi le date non tornano: la frequentazione di casa Vaccà Berlinghieri, 1820, è seppure di pochi anni successiva alla stesura del romanzo.
Ma anche un medico allievo di Francesco Vaccà Berlinghieri, Eusebio Valli, già nel 1793 scrive di questi esperimenti. E Valli conosceva William Godwin, padre di Mary, dal 1807. Quindi Mary sarebbe stata a conoscenza di queste pratiche ben prima del suo soggiorno pisano. E c’è un altro dato significativo da considerare: in ambito massone non ci si presentava con il proprio vero nome, per sicurezza, ma con un nome di battaglia. Francesco Vaccà Berlinghieri era famoso perché curava i calcoli biliari: era un medico “spaccapietre”. E il suo nome di battaglia era Francesco delle Pietre, in inglese Frank the Stone. Il dottor Frank the Stone... Forse, uno dei più grandi romanzi gotici della letteratura mondiale non è nato in Svizzera, ma in Italia, nelle campagne pisane.