di Centro Studi Tci
Il programma europeo a sostegno dei Paesi colpiti dalla pandemia Next Generation EU è la più grande opportunità che abbiamo per ripensare l'Italia. Anche quella del turismo
Il 2020 è stato l’annus horribilis del turismo e anche il 2021 sarà un duro banco di prova. La crisi del settore, tra quelli più colpiti dalla pandemia, impone una riflessione importante su come assicurare un futuro di sviluppo – e non un semplice ritorno alla situazione pre-Covid, laddove fosse mai possibile – a un’economia che non solo incide (tra contributo diretto e indiretto) per il 13 per cento sul nostro Pil e occupa il 15 per cento della forza lavoro, ma che costituisce anche un volano eccezionale, tra gli altri, per le industrie creative e culturali e per il nostro Made in Italy, godendo l’Italia di un’immagine assolutamente positiva e di una elevata desiderabilità come destinazione di viaggio. Certamente le misure di contenimento adottate, che hanno inciso sulla mobilità (anima del turismo), sulle attività commerciali e sulle normali relazioni sociali, hanno costituito un freno fortissimo per il settore, e per tanti altri strettamente collegati, generando una situazione che non si era mai registrata dal secondo dopoguerra. I dati provvisori Istat 2020 indicano un calo di presenze nelle strutture ricettive di oltre il 50% e quelli sul fatturato dei servizi suggeriscono che le attività più colpite nel nostro Paese sono proprio quelle turistiche o direttamente connesse: agenzie di viaggi e tour operator hanno registrato un calo di fatturato del 76% rispetto al 2019, il trasporto aereo del 61%, la ricettività del 55% e la ristorazione del 37%. Non va meglio a livello globale – l’economia dei viaggi è infatti ormai fortemente interconnessa su scala planetaria – dove l’Organizzazione Mondiale del Turismo ha confermato una discesa del 70% degli arrivi internazionali nel 2019 e una previsione di ritorno dei flussi ai livelli pre-Covid solo a partire dal 2023-2024.
Next Generation EU (il programma europeo a sostegno degli Stati colpiti dalla pandemia, 750 miliardi di euro tra sovvenzioni e prestiti) è dunque la più grande opportunità che abbiamo per ripensare l’Italia, anche quella del turismo. Se il lavoro che attende il Paese nei prossimi mesi sarà duro, è possibile introdurre una piccola nota di ottimismo perché, perlomeno il settore dei viaggi, potrà probabilmente contare su fattori che, spesso considerati limiti, costituiscono oggi elementi che possono favorire la ripresa. La struttura mediamente ridotta delle imprese turistiche, la loro capillare diffusione sul territorio, un’attrattività estremamente ampia e diffusa (costituita da fattori ambientali, paesaggistici, storico-culturali, legati alla cultura materiale, all’agricoltura e all’artigianato) possono essere carte vincenti in questa situazione di incertezza, ripartendo dalla mobilità dolce, dal turismo lento – che significa valorizzare borghi, Cammini, cicloturismo – e da un modo diverso di visitare e frequentare le città d’arte, fino a ieri uno dei prodotti più iconici della nostra offerta e oggi invece in crisi profonda. Siamo chiaramente consapevoli che questo approccio non potrà essere sufficiente a compensare quanto abbiamo sinora perso in termini di flussi e di spesa, così come non lo può essere puntare soltanto al turismo domestico: siamo però convinti che ripartire sperimentandoci su un modello di offerta diverso, più sostenibile, possa strategicamente darci l’opportunità di ripensare anche gli altri prodotti che costituiscono l’offerta primaria del nostro Paese.
Con questa visione possiamo allora coerentemente prevedere riforme significative dell’industria turistica. In primo luogo, introducendo programmi di promozione coordinata per far conoscere le mille destinazioni meno note del nostro straordinario Paese, investimenti destinati al turismo lento perché borghi, Cammini e percorsi ciclistici diventino prodotti turistici fruibili (a tutti e non solo a nicchie di “esploratori”), quindi integrati con i territori e i loro servizi. Nella situazione odierna, in cui le aree interne hanno mostrato una maggior resilienza nei confronti della pandemia, con l’emergere di modelli inediti di organizzazione del lavoro e della società, le aree “ai margini” acquisiscono una nuova centralità su cui puntare. È probabile che un modello di sviluppo che connetta centro e periferia, aree interne con quelle metropolitane possa migliorare la qualità della vita dei residenti (e incentivare un ripopolamento di alcuni territori) dei quali potrebbe avvantaggiarsi anche il turismo che usufruisce di servizi che condivide con chi abita stabilmente quei luoghi. Ciò significa, conseguentemente, guardare al tema infrastrutturale da un punto di vista più ampio. Dobbiamo con coraggio riprendere in primo luogo il tema delle grandi opere e affrontarlo tenendo in considerazione i principi della sostenibilità: abbiamo bisogno di interventi in questa direzione lavorando in via prioritaria per portare l’alta velocità verso Sud, colmando così un divario oggi inaccettabile, e per riammodernare le dorsali del Paese. Ma anche le ciclovie, le Vie storiche e i Cammini – per il quali il Tci ha progettato una certificazione apposita – possono collegare gran parte del territorio nazionale e offrire l’opportunità di costruire, su una rete di comunicazione sostenibile, prodotti turistici che potrebbero efficacemente affiancarsi a quelli più noti e sviluppati nel nostro Paese.
Il tema infrastrutturale non si limita però soltanto ad aspetti materiali, rispetto ai quali dobbiamo ricordare che anche le strutture ricettive in larga parte non sono più adeguate sia in termini di standard qualitativi sia in chiave di accessibilità: occorre sviluppare anche quelli immateriali con un ampio sostegno, tecnologico e formativo, alla digitalizzazione dei processi e dei servizi e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale in un mercato globale che offre grandi opportunità. In estrema sintesi, dunque, occorre agire parallelamente su due livelli: da una parte muoversi su quello nazionale con politiche e programmi che possano mantenere competitivo il nostro Paese su scala europea e globale; dall’altra bisogna favorire investimenti territoriali in grado di mettere a sistema le diverse filiere e gli operatori, ricucendo il tessuto locale sotto diversi punti di vista. Salvaguardia ambientale, messa in sicurezza del territorio, sviluppo di una rete di interconnessione e di servizi per una mobilità più sostenibile, valorizzazione dei beni culturali e delle tante e diverse identità locali: sono tutti aspetti che, se integrati in una visione territoriale ampia e condivisa, possono costituire gli elementi su cui impostare proposte turistiche originali e autentiche, in grado di venire incontro alle esigenze della domanda contemporanea e dare una risposta concreta al problema dell’occupazione, soprattutto quella giovanile e del nostro Meridione.
A quanto appena introdotto sul tema della visione e della condivisione si collega il discorso relativo alla governance turistica e all’organizzazione territoriale: sistemi e distretti si sono succeduti nel tempo come modelli di riferimento senza però raggiungere l’obiettivo di connettere veramente i luoghi e le esperienze per favorire il consolidamento di un’offerta con la necessaria collaborazione pubblico-privato. È opportuna in questo senso una riflessione che è tanto più urgente quanto più si mettono al centro della strategia turistica i territori stessi intesi come sistemi unici di relazioni tra ambiente, cultura e persone. C’è poi da affrontare la questione della formazione manageriale e professionale: per lungo tempo abbiamo faticato a innovare i modelli formativi ma la sfida dei prossimi mesi ci obbliga a ripensarli e a declinarli sulla base dei cambiamenti che inevitabilmente investiranno la domanda e sulle linee strategiche di medio-lungo termine che vorremo perseguire. Siamo convinti che occorra approfittare della grave crisi causata dalla pandemia per sfruttare una parte degli investimenti disponibili per modernizzare il Paese, le imprese e la pubblica amministrazione e per innestare una nuova cultura di cittadinanza, nel segno di una forte sostenibilità capace di conciliare reddito, occupazione e difesa del paesaggio e dell’ambiente e recuperare progressivamente il nostro ruolo nello scenario internazionale.