Orientalismo. Quando viaggiare era favoloso

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Per i viaggiatori dell’Ottocento l’Oriente era molto più immaginato che reale. Ma quei resoconti di viaggio hanno contribuito a costruire una idea di quelle terre a nostro uso e consumo. Incontro con Attilio Brilli

Che strano posto che doveva essere l’Oriente tra la fine del Settecento e l’Ottocento. Strano e affascinante, affascinante e lascivo, forse: perché quanti potevano dire di averlo visto davvero? Pochi, pochissimi. E quei pochi amavano scriverne in lunghi diari e resoconti tra il fantasioso e l’estasiato che contribuivano ad accrescerne il mistero, l’attrazione e il fascino. Ma che le avventure descritte dai tanti viaggiatori in centinaia di pagine appassionate, licenziose ed eroiche, fossero tutte vere, beh, è tutto da vedere...

Di certo è vero e assai concreto l’effetto che ha avuto su generazioni di altri scrittori e altri poeti che la lettura di quelle parole spingeva a partire in cerca di questo Oriente immaginato. Parole che arrivavano a cascata su tutta l’opinione pubblica occidentale che di quel mito del favoloso Oriente si nutriva, non solo artisticamente. E su quel mito costruiva le sue idee che si tramutarono ben presto in azioni politiche, ovvero la colonizzazione di uno spazio che sarà pur stato immaginato, ma per gli interessi economici era assai reale. Nacque così in quegli anni l’Orientalismo, che più che moda artistica – ci sarà anche quella, specie tra i pittori – fu un modo di vedere il mondo, l’altro mondo. «Per gli occidentali dell’epoca l’Oriente era un luogo esotico in cui proiettare emozioni, desideri impossibili e fantasie. Un luogo favoloso perché gli elementi fantasmatici vi superano di gran lunga la realtà» spiega Attilio Brilli, il massimo esperto di letteratura di viaggio in Italia che a questo tema ha dedicato un volume riccamente illustrato, Il favoloso Oriente, edito da IlMulino. E proprio dai resoconti dei viaggiatori parte Brilli per raccontare come l’Occidente abbia costruito la sua versione dell’Oriente.

L’esplorazione della sponda sud del Mediterraneo e via via di territori sempre più a est apparve, a partire dal Settecento, il naturale prolungamento del Grand Tour che l’aristocrazia inglese, tedesca e francese riteneva un’esperienza di fondamentale importanza per l’educazione dei gentiluomini e della classe dirigente. L’attrazione degli europei per il «fascino orientale» era idealmente scaturita dal successo delle Mille e una notte, il cui primo volume era uscito in francese nel 1704, in una traduzione assai adattata al gusto occidentale da Antoine Gallant. Da quelle pagine affioravano innumerevoli mondi fiabeschi, si evocavano luoghi proibiti, paesaggi abbaglianti, spezie ignote, profumi di rose perennemente in fiore ed effluvi inebrianti. Talmente inebrianti, che tanti finirono per restarne come ubriacati, raccontando di quelle terre non certo semplici da esplorare storie favolose. «In questi Paesi del vicino Oriente, dall’Egitto alla Siria, all’epoca si proiettavano le frustrazioni legate all’etica del lavoro e alla morale sessuale che vigevano in Occidente. Per cui le seduzioni immaginarie degli harem e dei serragli avevano grande presa, elevandole a metafora spaziale e temporale dell’Oriente» spiega Brilli.

 

«Anche se la realtà era ben diversa. Il caravanserraglio, che spesso era l’unico luogo dove i viaggiatori trovavano un tetto perché non è che esistessero hotel all’epoca, era un luogo basilare, le stanze erano antri sudici, tutti sporchi, pieni di scorpioni e serpenti. Le condizioni igieniche erano precarie, il cibo stantio e ripetitivo, la malattie all’ordine del giorno. Tutti i pittori orientalisti soffrirono di oftalmia per via di quella luce potente che li affascinava così tanto» prosegue Brilli. Eppure nel racconto la realtà sfuma e tutto trascolora nel mito. Così non senza ironia lady Mary Montague, moglie dell’ambasciatore inglese presso l’Impero ottomano scrive: «Costituisce per me motivo di piacere dedicarmi a Costantinopoli alla lettura di viaggi in Levante, così lontani dalla verità e così pieni di cose assurde, che finiscono sempre per divertirmi». Lei era invece una delle poche persone che quell’Oriente l’aveva davvero visto e vissuto, da dentro, essendo riuscita addirittura a farsi invitare nell’harem del sultano per vedere di persona in che cosa consistesse il serraglio: non certo quel luogo di effluvi e sete che gli uomini che non ci avevano mai messo piede descrivevano. «Questo Oriente immaginato – spiega Brilli – era un luogo fermo e immobile nel tempo, dove i viaggiatori vivevano, a loro dire, lo spettacolo di un passato immutato, di un tempo perduto in cui gli altri erano come cristallizzati». Facile capire allora come questi discorsi dei viaggiatori siano poi diventati la base per la creazione di quegli stereotipi usati negli anni successivi per giustificare la corsa al posto al sole e la ricerca di nuove colonie da parte delle potenze europee. Potenze che mutarono la spontanea passione intellettuale dei viaggiatori in potere reale.

Un processo lungo e complesso che nel saggio Orientalismo il critico letterario Edward Said ha decostruito, spiegando come il discorso orientalista sia stato un potente strumento del dominio occidentale nei confronti dell’Oriente. «Ma Il favoloso Oriente non è un libro politico, non fornisce giudizi, non condanna né rimpiange un’epoca: è il ritratto di un processo culturale di creazione di un’idea d’Oriente così come è avvenuta per lunghi decenni», sottolinea Brilli. Creazione che, siamo onesti, è servita e serve ancor’oggi quale motore per spingere al viaggio migliaia di persone che partono alla ricerca di quell’idea dell’Oriente. Eppure, vien da chiedersi, ci sono ancora luoghi che esercitano quella stessa seduzione sull’immaginario contemporaneo? «Esistono, certo, ma come prodotto meramente turistico – risponde Brilli –. Esistono illusioni di luoghi primitivi che altro non sono che palcoscenici precostituiti per i turisti, di norma occidentali. L’occidentalizzazione e la modernizzazione del mondo è stata pervasiva e ha di fatto omogenizzato il pianeta, anche laddove, come è successo in Giappone, sono in parte riusciti a rimanere loro stessi pur cambiando almeno nell’aspetto esteriore». Secondo Brilli «oggi l’esotismo è diventato uno spettacolo da catalogo turistico, il primitivismo è una operazione di ricostruzione fredda che, a differenza di quel che avveniva un tempo, non prevede alcun tipo rischio. Mentre nell’Ottocento il rischio era concreto, potevi penetrare nella giungla e scoprire le vestigia di una civiltà, ma ne pagavi anche il pegno». Eppure, nonostante tutto, viaggiare era, e resta, un piacere.

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