L'Impruneta. Un viaggio in terracotta

Clara VannucciClara VannucciClara VannucciClara VannucciClara VannucciClara VannucciClara VannucciClara VannucciClara VannucciClara Vannucci

In origine furono gli Etruschi a cuocere l’impasto di argilla e acqua. Una tradizione che è rimasta nel cuore della Toscana e che ancora oggi rappresenta una eccellenza apprezzata da artisti, artigiani e cuochi

La sagoma della Basilica di S. Maria all’Impruneta si staglia armoniosamente nell’azzurro terso del cielo estivo, lasciando intravedere il verde smeraldo delle colline che digradano verso Firenze. Quest’antica pieve, consacrata nel 1060, è considerata il santuario mariano più antico della Toscana. Secondo la tradizione popolare fu costruita nel luogo del miracoloso ritrovamento della veneratissima immagine della Vergine, attribuita all’evangelista Luca e nascosta qui da San Romolo, in fuga dalle persecuzioni dei cristiani in Oriente. Non è solo il centro religioso dell’Impruneta, ma anche il luogo simbolico della sua arte madre: la lavorazione della terracotta, che dal 1990 è dotata della prestigiosa certificazione Cat (ceramica artistica e tradizionale). Ed è da S. Maria che iniziamo il nostro viaggio nella straordinario mondo dell’argilla, che sin dai tempi degli Etruschi prese forma in anfore e orci, continuando ancor oggi a dar vita a meraviglie attraverso le sette fornaci, quasi tutte a conduzione familiare, della città. La storia della terracotta, pur risalendo ai primi insediamenti etruschi della zona, entrò nel vivo nel 1309, quando si costituì una corporazione di orciaioli e mezzinai (maestri della terracotta) proprio presso la pieve di S. Maria dell’Impruneta, un atto che suggellava non solo il forte legame tra la terracotta e il territorio imprunetino, ma conferiva dignità artistica alla terracotta, che iniziò a essere impiegata sempre più in opere d’arte a Firenze. Si incrementò l’utilizzo degli elementi decorativi: vasi, statue, sculture, stemmi, ornamenti architettonici e anche laterizi. E così nel rinascimento l’Impruneta si trasformò nella passerella privilegiata di importanti artisti e di maestri d’arte, grazie al crescente numero di fornaci. Si ha notizia che Andrea del Verrocchio abbia utilizzato per le sue opere le fornaci dell’Impruneta e che i Della Robbia ne possedessero addirittura una propria, e certo fu l’uso che ne fece Filippo Brunelleschi.

Ad accoglierci nella basilica mariana, nella piazza Buondelmonti, don Luigi Oropallo, parroco della Basilica e direttore dell’annesso museo del tesoro. Ci mostra il ricco patrimonio della chiesa e l’attenzione va subito al tempietto della Vergine che custodisce la sacra immagine della Madonna, del XIV secolo. Ai lati spiccano le terrecotte robbiane raffiguranti i SS. Pietro e Paolo. Si tratta di maioliche di terracotta invetriata policroma, verniciate prevalentemente d’azzurro, attribuite ai Della Robbia. Dall’altra parte della piazza si affaccia il negozietto di manufatti di terracotta – capolavori di ogni sorta, sacri e profani – di Luigi Mariani. è uno dei fratelli titolari della storica fornace Mital (Manifattura Imprunetana Terrecotte Artistiche e Laterizi), talentuoso autore del presepe con statue a grandezza naturale che ogni anno viene allestito sul sagrato del Duomo di Firenze e della statua di San Francesco donata a Papa Francesco dalla città di Impruneta, durante la sua ultima visita a Firenze. Ed è Luigi che ci conduce alla fornace di famiglia, dove incontriamo gli altri due fratelli: Enrico e Franco. Quest’ultimo, che ha il titolo di maestro d’arte, racconta la genesi di Mital, una delle aziende artigiane che da quattro generazioni porta avanti la tradizione. Il capostipite Anselmo Mariani possedeva una fornace già alla fine del 1800, confluita nella moderna Mital fondata nel 1967 da Angiolo Mariani – il papà dei tre attuali titolari – che ampliò l’iniziale produzione laterizia a quella di terrecotte artistiche fatte a mano. La storia di successo dell’impresa (e di tutte le altre fornaci) è legata alle peculiarità geologiche del territorio, che conferiscono all’argilla, qui chiamata anche galestro, una composizione chimica tale da rendere il prodotto finale, una volta lavorato e cotto, luminoso e anche resistente al gelo.

Qui si può seguire tutto il percorso della terracotta: dall’argilla, ammucchiata nel deposito nel retro della fornace, alla lavorazione, con le tecniche del colombino (il metodo più antico a lavorazione interamente a mano), del calco (si pressa l’argilla all’interno di calchi di gesso) e del guscio (si pone l’argilla intorno al calco rovesciato), fino alla cottura nell’antico forno a legna a 960 °C e all’essicazione naturale. Tutti i componenti della famiglia (anche i figli dei fratelli Mariani) si avvicendano a malleare l’argilla: «Qui si privilegia il lavoro manuale e la qualità ha la priorità rispetto alla quantità» afferma il patron Franco. Attualmente Mital si sta occupando della produzione delle tegole per la manutenzione e il restauro della cupola della cattedrale di S. Maria del Fiore di Firenze, utilizzando un calco su commissione dell’Opera del Duomo e su disegno originale di Filippo Brunelleschi. Era stato lo stesso Brunelleschi a scegliere la terracotta di Impruneta quando nel 1420 gli fu affidata la realizzazione della copertura della crociera del Duomo, recandosi di persona alle fornaci e seguendone lavorazione e cottura. Un sopralluogo alla cupola di S. Maria del Fiore, guidati dal direttore dei lavori di restauro dell’opera del Duomo, l’architetto Samuele Cagliani, ci ha permesso di catturare in un colpo d’occhio nella sua maestosità, da un palcoscenico privilegiato, il capoluogo fiorentino, così come la grandiosità dell’opera – la più grande cupola in muratura mai costruita, con un diametro interno della cupola di 45,5 metri ed esterno di 54,8 –, ma ci ha consentito anche di osservare quanto le tegole di cotto della cupola siano effettivamente resistenti alle intemperie e al gelo, rispetto al cemento, rimaste in gran parte integre dopo sei secoli di storia. Impressionanti sono le antiche impronte, rinvenute recentemente su una delle cupole absidali che circondano la cupola, che gli animali selvatici di Impruneta imprimevano sulle tegole lasciate a essiccare al sole. E un’altra traccia importante nel segno della terracotta di Brunelleschi è rimasta anche nella cucina imprunetina: il ”Peposo all’Imprunetina”, un piatto a base di carne cotta nel vino che viene realizzato nella peposiera, rigorosamente di terracotta. La pietanza, legata in maniera indissolubile al territorio e alla cottura degli embrici brunelleschiani nelle fornaci imprunetine, risalirebbe all’epoca della costruzione della cupola di S. Maria del Fiore. Sembra, infatti, che i fornacini addetti alla cottura della terracotta ne consumassero cospicue porzioni, cuocendole sulla bocca delle fornaci, nell’attesa della cottura delle tegole.

Il maestro Sergio Ricceri, della fornace omonima, ha realizzato la peposiera doc depositandone il marchio. La sua famiglia è impegnata nella lavorazione del cotto sin dal XVIII secolo, ma fu soprattutto nel Novecento che ne ampliò la produzione, quando Giuseppe Ricceri scoprì un giacimento di argille refrattarie nella zona di Santa Fiora sull’Amiata e vi fondò una fornace. Con i due figli Giacinto e Raffaello si specializzò in grandi vasi per piante, diventando il fornitore ufficiale del Vaticano. Negli anni Cinquanta, la svolta: Raffaello costruì una propria fabbrica per la produzione di oggetti decorativi e oggi è il figlio Sergio a portare avanti la tradizione, strizzando l’occhio a nuove sperimentazioni, come la riproduzione di ceramiche anticate greche e romane, in cui il cotto viene dipinto con particolari pigmenti, oltre a stufe, pentole e bottiglie per l’olio e il vino. Anche noi abbiamo avuto il privilegio di assaggiare un peposo fumante nella peposiera Ricceri, cotto, proprio come ai tempi di Brunelleschi, sulla bocca della fornace, in un altro dei luoghi simbolo della città: l’azienda Masini, che possiede una cava di argilla nello stesso comprensorio in cui viene cotta la terracotta. I capostipiti furono nel 1934 Ottavio e Livio Masini, che iniziarono come fornacini, prendendo in gestione la vecchia fornace Giuseppe Agresti di Impruneta, mentre il fratello Bruno nel 1939 rilevò l’antica Fornace Vanni datata 1681, una delle più antiche e meglio conservate del territorio. La produzione di cotto era incentrata su materiali per l’edilizia, poi fu convertita in vasi, fioriere e orci, lavorati sui disegni dei modelli in gesso settecenteschi di Vanni, e cotti negli antichi forni a legna. Il nostro viaggio nelle terrecotte dell’Impruneta si conclude nella più antica fornace, ancora attiva: la Poggi Ugo, risalente a fine ‘500 e restaurata dalla famiglia Poggi nel 1919. La produzione, ci spiega la proprietaria Antonella Andrei, è ispirata alla tradizione, ma è molto attiva nella ricerca di linee innovative, grazie anche alla collaborazione con designer, architetti e scultori, che danno vita a un connubio sempre più solido tra artigianato e arte, il cui simbolo più significativo è Anello, una grande installazione di terracotta realizzata dall’artista Mauro Staccioli in occasione dei 90 anni dell’azienda. L’opera dimostra come la terracotta possa essere declinata ancora oggi, come in epoca rinascimentale, in un oggetto d’arte anche di grandi dimensioni. Il cerchio, dal diametro di sette metri e 30, offre un panorama a tutto tondo sulla valle dell’Impruneta.

Clara Vannucci
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