Evergreen. Nucleare: una scelta sbagliata

Dal no al nucleare allo smaltimento delle scorie

Come dovremmo ricordare, l’Italia ha definitivamente detto no al nucleare con il referendum del 1987. Attenzione però, quel referendum ha portato allo spegnimento delle centrali nucleari ma non ha risolto il problema della più rilevante esternalità dell’energia nucleare: la radioattività, le scorie e i rifiuti radioattivi. Perché la radioattività non si può abrogare per legge o firmando un referendum. E le conseguenze di una scelta clamorosamente sbagliata sono sotto gli occhi di tutti: nessuno sa bene dove piazzare le migliaia di metri cubi di rifiuti radioattivi italiani. Il referendum del 1987 si teneva un anno dopo quello che resta il più grave disastro nucleare di tutti i tempi. Parliamo naturalmente di Chernobyl, nell’attuale Ucraina, all’epoca parte dell’Unione Sovietica. Una tragedia avvenuta esattamente 35 anni fa che in qualche modo ci ha aperto gli occhi sul pericolo delle radiazioni e i rischi dell’energia nucleare. Il disastro di Chernobyl dimostra che l’esposizione cronica alle radiazioni ionizzanti ha effetti ancora sconosciuti e preoccupa soprattutto la scoperta che alcuni bambini presentano mutazioni genetiche che non esistono nel patrimonio dei genitori né dei fratelli maggiori nati prima dell’incidente, né nei coetanei di regioni non contaminate. In pratica si dimostra che l’esposizione alle radiazioni ha danneggiato il materiale genetico anche delle cellule riproduttive e che l’alterazione si trasmette alle generazioni successive: una terrificante novità, se si considera che neanche a Hiroshima e Nagasaki è stata mai registrata una reazione simile. L’Italia ha poi confermato la sua scelta antinucleare anche in un secondo referendum, quello del 2011. Il caso volle che, proprio quell’anno, avvenne un altro grave incidente nucleare, il più grave dai tempi di Chernobyl. 

Quello della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, in Giappone, che accadeva esattamente 10 anni fa. All’origine del disastro giapponese, invece dell’errore umano ci fu disastro naturale. Ma si potrebbe anche dire che, in realtà, ci fu anche in quel caso un errore di valutazione dei potenziali effetti di un terremoto e la sottovalutazione dell’altezza d’onda raggiunta dal successivo tsunami. Le centrali nucleari costano molto e ci vogliono tempi lunghi per costruirle (5-10 anni); hanno poi vita breve: poche arrivano ai 30-40 anni teorici. Per finire, i costi di smantellamento sono molto elevati. Per via del costo capitale, delle assicurazioni contro gli incidenti, dello smantellamento finale, dello stoccaggio e smaltimento scorie il mercato finora non ha premiato il nucleare che copre solo il 12 per cento del consumo di energia primaria mondiale. Se è così vantaggioso, perché non si è diffuso maggiormente? Solo poche persone manipolano il nucleare e ciò ingenera diffidenza nella popolazione. Non c’è consenso sociale sul nucleare e sarebbe arduo piazzare oggi una centrale, anche se volessimo dimenticare i referendum. C’è infine un possibile uso militare che sfrutta le conoscenze acquisite nelle centrali e il plutonio prodotto dai reattori autofertilizzanti: dovunque nucleare significa ancora guerra. Complessivamente il nucleare è bocciato non solo dalla diffidenza delle popolazioni, ma anche dai problemi che ha dovunque e soprattutto dal mercato: le grandi centrali di un tempo possono essere costruite solo in presenza di forti interventi statali che abbattano i costi elevati, interventi sempre meno possibili in regimi concorrenziali: sostanzialmente il nucleare non conviene e impedisce di sperimentare nuove fonti più sicure. Solo i Paesi avanzati, ricchi e/o dove c’è forte supporto statale possono permettersi l’atomo. La maggior parte dei reattori è infatti negli Stati Uniti (oltre 100) oppure in Francia (dove la compagnia elettrica Edf è statale), o in Giappone o nelle nazioni dell’ex blocco sovietico: il costo del nucleare per unità di potenza installata è più elevato di qualsiasi altra fonte. Ultimo, a 10 anni dall’incidente il Giappone mantiene in attività solo una decina di reattori sui sessanta installati e resta una delle potenze industriali del pianeta, dimostrando che se ne può fare tranquillamente a meno.

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