Il viaggiatore. Quante ombre sulla rivoluzione

Nel 1920 lo scrittore britannico H.G. Wells visitò la San Pietroburgo (allora Pietrogrado, poi Leningrado) sovietica: grigia e squallida, ma con i teatri aperti

Malgrado la cordialità dei russi, Herbert George Wells era perplesso. Sapeva quanto potesse essere importante per l’Urss il parere di un autore famoso come lui. Aveva sempre avuto simpatia per la rivoluzione sovietica, ma lo spettacolo che aveva davanti agli occhi era incontestabile. Pietrogrado nel 1920 era una città semi vuota. Gran parte degli abitanti si era rifugiata in campagna per non morire di fame. Guardando quelle ombre malvestite che camminavano in fretta, piegate dal peso dei loro fagotti, Wells aveva l’impressione che gli ultimi cittadini si stessero preparando alla fuga. In tanta miseria l’aveva colpito la sopravvivenza di un fioraio che gli aveva venduto per pochi centesimi un delizioso mazzo di crisantemi. I fastosi palazzi erano vuoti ed erano aperti solo una mezza dozzina di negozi. Le vetrine abbandonate erano sporche, la vernice scrostata e molte vetrate rotte. «Sono negozi morti». Nessuno passeggiava più per quelle strade fantasma. L’unico segno di vitalità erano gli affollatissimi tram, da tempo gratuiti. Le strade d’altronde erano disastrose: buche profonde e fognature scoppiate. Di tanto in tanto si vedeva lo scheletro delle case di legno, demolite per alimentare i camini. «Tutto è squallore» constatava lo scrittore nell’impressionante Russia nell’ombra, pubblicato da Nuova Editrice Berti.

La grande preoccupazione di tutti era la ricerca disperata del cibo. Quello distribuito dai comunisti era ben lontano dall’essere sufficiente e, malgrado la lotta della polizia al mercato nero, molti cercavano di procurarsi qualcosa dai contadini che aspettavano gli acquirenti nelle stazioni. Anche le medicine erano introvabili e gli ospedali mancavano di tutto. Il malato restava a digiuno se la famiglia non veniva a portargli il cibo. Gli uomini portavano stivali consunti con le suole bucate e facevano lunghe file per il pane. Il freddo si avvicinava e molti ricordavano i disagi dell’inverno prima quando il gelo aveva fatto esplodere i tubi dell’acqua. Persino le ferrovie erano a mal partito. I treni viaggiavano molto lentamente su binari precari che sussultavano sotto i vagoni. Quando Wells era arrivato, era stato definitivamente debellato il brigantaggio che aveva seminato le strade di cadaveri. Nelle pensioni ogni oggetto era numerato per prevenire i furti, ma faceva impressione vedere, smarrito tra le tazze sbrecciate, un bicchiere raffinatissimo o un pezzo d’argenteria ottenuto in cambio di cibo.

Eppure in quella situazione terribile i teatri resistevano. Ogni sera andavano in scena una quarantina di spettacoli. Wells era in parte sfuggito al peso di tutta quella miseria grazie all’ospitalità del più celebre autore russo, Maxim Gorky, che dedicava tutto il suo tempo a cercare di salvare i colleghi meno fortunati. Lo assisteva una bellissima segretaria, Moura Budberg. Wells non sapeva che quell’ex aristocratica faceva il doppio gioco nello spionaggio. Quando le chiese se fosse l’amante di Gorky, lei negò, mentendo, e iniziò così una storia d’amore destinata a durare sino alla morte di Wells.

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