di Luca Bonora | Fotografie di Luca Bonora
Nelle Alte Marche, piccoli borghi attorno ai monti Catria e Nerone portano avanti l’eredità di antiche popolazioni galliche. Se ne trovano tracce nelle tradizioni, nel paesaggio, nella cucina e... nei cavalli
Nel 295 a.C. a Sentinum (l’odierna Sassoferrato) i Romani e i loro alleati Piceni si imposero nella Battaglia di Sentinum sconfiggendo una coalizione di Etruschi, Umbri, Galli e Sanniti. Quello scontro è noto anche come Battaglia delle Nazioni perché vi presero parte tutti i popoli dell’Italia centrale e il suo esito sancì l’inizio dell’espansione militare romana sulla penisola.
E gli sconfitti? Con gli Etruschi e gli Umbri i Romani stipularono patti di non belligeranza, mentre Galli e Sanniti non si arresero e molti furono trucidati. Alcune tribù di Galli Senoni (una popolazione celtica che già viveva nelle Marche e aveva in Senigallia la propria capitale), invece, accettarono di sottomettersi a Roma: ebbero così salva la vita e poterono continuare a vivere nelle loro terre e a praticare, magari senza sbandierarle troppo, le loro tradizioni e i loro culti.
In particolare i Celti rimasero in un’area attorno al Catria, montagna per loro sacra grazie alla presenza di fonti d’acqua e di boschi, elementi centrali del culto druidico. Ludovico Caverni, il giovane sindaco di Serra Sant’Abbondio, uno dei quattro Comuni attorno al monte, racconta: «Quando nasce un figlio, in paese c’è la consuetudine di andare sul Catria, prendere un albero e ripiantarlo nel giardino della famiglia in cui sta arrivando il bambino, e circondarlo di doni beneaugurali. Così, se si desidera che diventi uno scrittore si mettono sotto l’albero un taccuino e una penna, e se si sogna un calciatore gli si regala un pallone. Si chiama “piantare il maggio” ed è una tradizione celtica molto antica. In origine riguardava solo il primogenito maschio, che come è facile immaginare riceveva un’arma o qualcosa del genere... Oggi riguarda anche le bambine e i regali sono molto più variegati». L’albero di Natale dei Celti rivive qui, ai piedi del monte Catria.
Serra Sant’Abbondio è un borgo molto piccolo – meno di mille abitanti – che però mantiene un’identità storica e culturale molto forte. Il luogo simbolo di Serra Sant’Abbondio, meta di turisti e di pellegrini, è l’eremo benedettino di Fonte Avellana, fondato nel 982 alle pendici boscose del Catria, a conferma della sacralità ancestrale di questo luogo. Affidato oggi a sei monaci che vestono abiti laici, seguendo la regola di «andar fra la gente vestiti come la gente», viene citato nella Divina Commedia (Paradiso, canto XXI) da Dante Alighieri, il quale sembra che ne sia stato anche ospite. I monaci organizzano visite guidate in alcuni dei magnifici spazi interni, come lo Scriptorium, la sala del Capitolo, il chiostro, la chiesa e la cripta. Dal 2007 è visitabile anche il giardino botanico.
Il monte Catria non è solo il luogo in cui si perpetua la tradizione del maggio. È una montagna carsica come il vicino monte Nerone, ricca di grotte e forre. Piccoli anfratti non ancora accessibili ai turisti, ma molto noti fra gli speleologi (del resto le grotte di Frasassi non sono lontane). L’acqua che scende da queste montagne “porose” è particolarmente ricca di sali minerali e, dicono gli esperti, diventa un ingrediente fondamentale per fare una birra di qualità. Una bevanda che nella tradizione nordeuropea è sacra, mentre per i Romani, che preferivano il vino, era considerata “roba da barbari”. Anche in questo Serra Sant’Abbondio rende omaggio alle sue radici: è infatti capofila dell’associazione “Marche di birra”, che comprende 19 birrifici artigianali nella regione. Il borgo che rivendica il titolo di Capitale dell’alogastronomia (dal termine “ale” con cui si indicano le birre ad alta fermentazione) è invece Apecchio, ai piedi del monte Nerone. Apecchio ospita importanti birrifici artigianali – Collesi, Amarcord, Venere, Michimash... – , è capofila dell’associazione nazionale “Città della Birra” e promotrice delle Strade della Birra della Regione Marche.
Da Apecchio ci spostiamo nella vicina Piobbico, che sorge in una stretta valle fra i monti Nerone e Contiego. Il paese è conosciuto perché diede i natali al Club dei Brutti, fondato qui nel 1879. All’epoca ideato per trovare marito alle zitelle meno... avvenenti, col tempo si è evoluto con un chiaro intento goliardico e per ironizzare sulla moderna ossessione dell’estetica. Ma la bellezza, nel paese dei brutti, non manca: basta vedere palazzo Brancaleoni, un magnifico castello medieval-rinascimentale che domina l’abitato. Le origini del complesso architettonico, che deve il nome alla celebre famiglia di capitani di ventura, risalgono al X secolo, ma l’ampliamento più significativo è del Cinquecento. Conta in tutto 135 stanze, in gran parte non utilizzate. Perfettamente conservato, palazzo Brancaleoni ha al suo interno un museo del territorio e ospita mostre temporanee. Dall’ingresso del palazzo, la vista domina il Borghetto medievale di Piobbico, un unicum armonico di case in pietra chiara, collegate da stradine dello stesso materiale. Eppure le origini di Piobbico sono ancora più antiche: di fondazione romana, deve il suo toponimo all’originario Ager Publicus.
Torniamo ai piedi del monte Catria: a pochi chilometri da Serra Sant’Abbondio, Frontone, 1.300 abitanti, sorge su un’altura, tanto che dal suo castello la vista spazia verso nord fino a San Marino e verso est fino al mare. È sempre stata una destinazione turistica, in inverno per alcuni impianti di risalita proprio sul Catria, nelle altre stagioni per il Castello della Porta, originario del 1082 e poi ampliato nel XV secolo dai Montefeltro, quando divenne baluardo dei loro domini al confine con le terre dei Malatesta. Al suo interno ospita varie collezioni storiche, mostre temporanee e in dicembre anche i mercatini di Natale. L’altra ragione per cui Frontone è molto apprezzata è... la buona cucina. È infatti ricca di ristoranti che propongono i due piatti della tradizione, il coniglio in porchetta e la crescia, parente stretto della piadina romagnola con cui condivide acqua, farina e strutto. Qui però nell’impasto ci sono anche le uova. La si usa per accompagnare salumi, affettati, lardo e formaggi.
Il borgo più grande – supera gli ottomila abitanti – è Cagli, di origine preromana. L’attuale impianto urbanistico risale al XIII secolo, quando la città fu interamente ricostruita dopo un incendio. Oltre alla piazza Maggiore su cui s’affacciano il Palazzo Pubblico e la Cattedrale, sono da visitare l’ottocentesco Teatro comunale, in stile eclettico, e il Torrione, eredità del sistema difensivo voluto dal duca Federico da Montefeltro nel Cinquecento e collegato alla Rocca da un camminamento segreto detto “soccorso converto”.
L’ultima tappa di questo itinerario è Cantiano, Bandiera Arancione Tci. L’abitato sorge attorno a piazza S. Nicolò che ospita la chiesa omonima del XII-XIII secolo. Sul lato sinistro della chiesa sono ancora visibili le arcate, oggi murate, che ospitavano il mercato cittadino. In paese, da segnalare per la sua particolarità uno spazio museale da poco inaugurato, il Museo della Turba, che ripercorre una tradizione qui molto sentita: quella del Venerdì Santo. Mentre nel locale Museo archeologico si può incontrare Ugo, esemplare di dinosauro che viveva in questa zona e che è stato ricostruito grazie a studi e ritrovamenti fossili.
Per secoli il monte Catria ha fornito legname ai centri abitati della zona, e per il trasporto si è sempre fatto ricorso a una razza di cavalli autoctona, dalla struttura fisica molto muscolosa. Oggi quella stessa razza, riconosciuta a livello europeo come cavallo del Catria, è utilizzata per passeggiate a cavallo alle pendici della montagna. Sono animali docili e lavoratori infaticabili: nella seconda guerra mondiale, furono usati per trascinare sul fronte alpino i cannoni che pesavano circa 250 chili. Tuttora questi cavalli sono allevati allo stato brado, negli stessi luoghi dei loro antenati: i boschi della montagna sacra. «L’estate 2020, con la riscoperta forzata dell’Italia, ci ha aiutato a farci conoscere» raccontano al centro ippico Badia, scuola di equitazione di Cantiano che organizza passeggiate con i cavalli del Catria. «Ora dobbiamo continuare a lavorare su quella strada, ragionando come territori, non come aree amministrative.
I territori vanno oltre i Comuni e le regioni. I territori raccontano tradizioni ed emozioni».