Basilicata. Massima Potenza

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Fra “metropolitane verticali” e ponti romani, un sorprendente viaggio d’autrice dentro una città ancora sconosciuta, in bilico fra tradizioni e modernità

«Abbiamo le scale che “camminano da sole” più lunghe d'Europa, ben 1,3 km, rivali per lunghezza solo a quelle di Tokyo». Mi capita spesso, parlando della mia regione d’origine, la Basilicata, di vantarmi per quelle che sono le eccellenze del territorio, da Guinness dei Primati. Eppure sconosciute. Per Potenza l’elenco inizia quasi sempre da questa sorta di metropolitana in verticale, un simbolo di unione che si “arrampica” da quattro zone per collegare i rioni a valle con il centro storico e viceversa. Le chiamano Heaven’s Stairs, scale del paradiso, e mi piace questa definizione perché il cielo pare di toccarlo davvero dall’alto degli 819 metri sul livello del mare, che fa di Potenza il capoluogo di regione più alto d’Italia. Un altro record. Una targa in vico Romanello lo ricorda, evidenziando «il punto della città più vicino alle stelle». Le storiche gradinate, poi, in alternanza agli impianti meccanizzati, mi proiettano in scorci che diversamente non si potrebbero ammirare, costeggiando viuzze lastricate e piazzette. «Ma cosa ci trovi di bello a Potenza?» è una delle domande che di solito mi fanno, quando non smetto di elencare i pregi della città. «Ci trovo sorprese inaspettate, in bilico fra passato e modernità», è sempre la mia risposta. E ancora di più questa volta. Mancavo da un po’ di tempo e il ritorno mi ha regalato una nuova visione, grazie anche al mio cicerone d’eccezione così innamorato della sua città da riuscire a trasferirmi questo amore. Alessandro Galella il giovane assessore al Turismo del Comune, che pur non smette di cercare e di studiare. Quando mi riceve al Palazzo del Turismo e della Cultura ha in mano un libro antico che parla di una mostra enologica del 1887 tenutasi qui, con i produttori regionali, un Vinitaly ante litteram. «Stiamo lavorando per rifarla in agosto», mi dice. «Vogliamo dare spazio al nostro Aglianico del Vulture, già celebrato da Orazio, e agli altri vini, ma anche offrire un motivo in più per invogliare i turisti e gli stessi abitanti a scoprire quanto il nostro centro, che unisce un volto moderno a un cuore antico, sia in grado di offrire. Non esistono posti fantastici o poco attraenti, esistono narrazioni intriganti e noi ne abbiamo tante da raccontare e mostrare». Poi l’assessore osserva le mie scarpe. «Sono comode per il continuo saliscendi. Scrivilo, che è meglio non venire con i tacchi», e ride. «Aggiungi che Potenza si presta bene al restare in forma, e del resto è stata eletta Città Europea dello Sport 2021».

Per comprendere al meglio Potenza, bisogna considerare le devastazioni e i terremoti che ne hanno modificato l’architettura e rafforzato il carattere delle persone. «Potenza nomen omen, perché gli abitanti sono potenti di nome e di fatto: hanno dovuto sopravvivere a continue disavventure. È come se noi avessimo delle cicatrici su un viso bellissimo che ci ha regalato la storia». Tutto in un intreccio di periodi, di stili che si sovrappongono e che si scoprono, guardando in alto, verso gli alti palazzi signorili e le audaci architetture contemporanee, o in giù verso le case basse o i “sottani”, le abitazioni sotto il livello stradale, spesso senza luce né bagni. Muoversi tra le strade è come stare davvero in una macchina che riporta avanti e indietro gli anni e io mi sento una privilegiata, avendo come unica bussola quella dell’emozione. «Quello che talvolta viene percepito come una bruttura in realtà nasce da un’idea di benessere per la comunità. Con la ricostruzione si è pensato di fare palazzi con abitazioni ampie e molta luce», conferma l’assessore. Tra questi spicca il Palazzo Reale, dal nome dell’impresa che l’ha edificato, tra via del Popolo e corso XVIII Agosto: magro, stretto, sottile e in un attimo ho la sensazione di essere di fronte al più famoso Flatiron di New York. E ho il ricordo della Grande Mela anche di fronte al ponte Musmeci sul fiume Basento che mette in comunicazione la zona industriale e la strada Basentana. È concepito come un enorme vegetale, in cui i pilastri sono sostituiti da un’unica struttura a foglia accartocciata, volta a sorreggere la campata, reso attraente con le luci della sera. Poco distante si trova il Parco fluviale, ventisette ettari di verde, con il ponte San Vito, o ponte Romano a tre arcate, sulla vecchia via Herculea, luogo per le passeggiate o il jogging. Mi sento un po’ come una trottola in questi sbalzi temporali. Ancora di più al Museo archeologico provinciale, dedicato a Michele La Cava, inaugurato nel 1901, il più antico di Basilicata, nel rione Santa Maria. Tra i pezzi forti c’è il Torso di kouros giovane, in marmo bianco di provenienza greca. Secondo la tradizione, le donne che toccano il lato b della statua avranno fortuna. Della serie, non è vero ma ci credo, non rinuncio a provarci. La statua è circondata da una cascata di capsule vuote colorate di rosso, a indicare che i mali del mondo si possono curare con l’arte. Nella vicina Pinacoteca bisognerebbe poterci stare ore, ma passo velocemente tra un capolavoro di Vincenzo Claps (Manzolillo) a un altro di Carlo Levi (I bambini di Eboli). La prossima tappa è il Polo bibliotecario, che racchiude Biblioteca provinciale e nazionale all’interno di un palazzo antisismico, inaugurato da un anno, poggiato su cuscinetti ammortizzatori che “fanno ballare ma non cadere”. Quasi nessuno sa che qui è conservata la più grande collezione di opere di Albert Friscia, l’artista americano di origine italiana morto nel 1989: il suo ritratto, le sculture di figure femminili dalle linee morbide, oli, disegni, un patrimonio incredibile donato dalla moglie bibliotecaria Lidia Di Bello.

Andando di qua e di là, ho la conferma che Potenza ha un’infinità di tesori da far invidia a località ben più blasonate, ma che non ami ostentare le sue ricchezze, per quella riservatezza tipica dei lucani. Il clou è il Duomo, anch’esso nascosto, con una grande scalinata, dove sedersi per godere dell’atmosfera intima. Ѐ intitolato a San Gerardo, patrono della città, e fu trasformato in stile neoclassico nella seconda metà del Settecento, su progetto di Antonio Magri, allievo di Vanvitelli. Il mio sguardo è attratto anche da un dipinto in cui il Santo trasforma l’acqua in vino, come fece Gesù. Una volta fuori, m’imbatto nel bel palazzo in pietra viva del Vescovado, che ospita il Museo Diocesano. Entro per dare un’occhiata e resto incantata dallo scintillio dell’argenteria sacra. Il museo custodisce pure la più antica raffigurazione di San Gerardo, una statua in legno del Quattrocento, mentre un reliquario del Cinquecento conserva le reliquie del primo patrono, Sant’Aronzio. A tema sacro, da non perdere la collezione d’arte contemporanea all’interno dell’ex ospizio (info tel. 392.1113389) messa insieme da don Vito Telesca. Oltre 250 opere, la maggior parte frutto di donazioni, tra cui Il crocifisso di Remo Brindisi. Ci spostiamo verso l’elegante via Pretoria, l’antico decumano, non senza aver visto la vicina Porta S. Gerardo – una degli antichi sei accessi medievali ancora visibili –, la Torre Guevara, unico baluardo rimasto della fortificazione di epoca longobarda, e fatto un giro tra le quintane, i vicoletti che un tempo erano una sorta di microcomunità. Oggi ci s’incontra in piazza Mario Pagano, la piazza della Prefettura ovvero il salotto cittadino, che porta la firma dall’architetto Gae Aulenti e che gli abitanti hanno ribattezzato piazza della polmonite, perché sempre ventilata e fredda. Vi si affaccia il teatro Francesco Stabile, gioiello ottocentesco con le sue volte affrescate, ispirato al San Carlo di Napoli. Ѐ visitabile gratuitamente, inclusa la sala degli specchi e del pianoforte. Di fronte la chiesa di S. Francesco D’Assisi, che insieme al suo convento risale alla fine del Duecento. Nelle strade laterali si aprono le botteghe di artigiani, designer, come Le4uadre (in via Caporella 9 A) della designer Damiana Spoto, che tra le altre cose, disegna e stampa, unica in Italia, stole cento per cento milk, fibra ricavata dal latte, morbide come una carezza.

Storie e destini, scorci e abitudini di una provincia del Sud che si potranno anche ammirare nel film La notte più lunga dell’anno di Simone Aleandri, con Ambra Angiolini e Alessandro Haber e in uscita questo autunno. Tutto avviene e si compie tra il 21 e il 22 dicembre, nella notte del solstizio d’inverno, sullo sfondo di piazza Prefettura addobbata con le luci di Natale. La sceneggiatura è stata scritta dal lucano Andrea Di Consoli insieme a Cristina Borsatti, e – se mai ce ne fosse ancora bisogno – ribadisce quanto Potenza sia meravigliosa anche dal punto della fotografia. «Non è stereotipata, ha qualcosa di accogliente, non si mostra nel gioco perenne di seduzione, ha le gambe coperte, non porta i tacchi, non ha trucco, non ha pose ammiccanti. È come una donna affascinante, lucente e affidabile. Sai che ci puoi fare un pezzo di strada insieme».

Lorenzo Palazzo
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