Una foto, una storia. Pechino-Parigi, la corsa del principe e socio Tci

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L'avventura on the road di Scipione Borghese, Ettore Guizzardi e Luigi Barzini

È un po’ come se uno potesse farsi raccontare il viaggio nell’Inferno da Virgilio, invece che da Dante. O le avventure ne La Mancia da Sancio Panza al posto di Don Chisciotte. Insomma, cambiare punto di vista su una storia nota è sempre un esercizio salutare, anche se spesso è meglio l’originale. La storia in questione è il Raid automobilistico Pechino-Parigi, l’impresa che all’inizio del Novecento inorgoglì l’Italia e rese chiaro a tutti che il futuro della mobilità viaggiava su gomma. Il racconto che conosciamo di quel viaggio eroico è quello di Luigi Barzini, giornalista del Corriere della Sera che colse al volo l’occasione propostagli dal suo direttore, Luigi Albertini, e letteralmente saltò a bordo dell’Itala, la macchina con cui il principe Scipione Borghese, accompagnato dal meccanico Ettore Guizzardi, decise di partecipare alla disfida proposta dal quotidiano francese Le Matin. Durante il viaggio Barzini telegrafò con precaria regolarità i resoconti, pubblicandoli sul Corriere e sul Daily Telegraph. Appena rientrato si chiuse in casa per scrivere, in un mese, quel reportage leggendario che è La metà del mondo vista da un’automobile. All’epoca venne tradotto in 13 lingue, per anni è stato un bestseller, diventando la versione ufficiale di quell’avventura.

Ma c’è anche un’altra voce che ha raccontato la metà del mondo vista da un’automobile: è quella di Scipione Borghese, decimo principe di Sulmona. Colui che ha raccolto la sfida lanciata dai francesi, pagando di tasca sua un’impresa che aveva pianificato nei minimi particolari, dall’equipaggiamento dell’automobile – un’Itala costruita nella fabbrica di Torino e arrivata in Oriente via mare dopo un viaggio altrettanto lungo che quello terreste – ai rifornimenti di carburante, olio, gomme e ricambi posti strategicamente ogni 250 chilometri. Socio vitalizio del Touring Club Italiano e piuttosto partigiano dell’Associazione, il cui “guidone” venne inalberato sull’Itala all’arrivo a Parigi, il principe concesse di buon grado alla Rivista mensile del Touring di ripubblicare il testo della conferenza che aveva tenuto alla Società Geografica Italiana.

Il raid Pechino-Parigi narrato dal Principe Borghese era talmente lungo che fu pubblicato in tre numeri, da febbraio ad aprile 1908. Una testimonianza interessante, anche se come piacevolezza non ha nulla a che vedere con il libro di Barzini. Tanto quello aveva uno stile accattivante, asciutto e moderno, tanto il resoconto del principe è intriso di retorica nazionalista e orgoglio tecnologico per la potenza della sua auto, alfiere della superiore cultura occidentale nelle terre d’Oriente. Un mezzo che volle «pesante e forte (quasi duemila chili) e non a caso», grazie a cui ha potuto affrontare un percorso mai tentato prima, scavalcando montagne e guadando fiumi e attraversando deserti, passando indenne dalla taiga siberiana alle steppe mongole. «Impresa turistica», la definiscono sulla Rivista nel presentarla. Come se oltre 16mila chilometri in auto percorsi in 44 giorni di guida effettiva su piste che non erano strade avessero a che fare con il turismo e non con l’eroismo. «Un viaggio che fu in pari tempo una pratica sportiva e uno esperimento di pratica meccanica e stradale», allineato con lo spirito illuminista che permeava il Touring già dalle origini. «Una sfida audace e temeraria che – scrive Borghese – ha come protagonista un oggetto prezioso e per molti ancora misterioso, l’automobile». Considerato che all’epoca in Italia ne giravano circa duemila, il viaggio di Borghese è molto di più che una sfida temeraria: è come se oggi una navicella spaziale attraversasse i nostri cieli. E infatti dove passando suscitavano meraviglia, «i più tra i locali erano convinti che sotto il telaio ci dovesse esser per forza un animale, al quale si dava da bere attraverso un buco». Tutto il suo racconto prosegue così, intriso delle spirito dei tempi, pronto a celebrare quei «simboli viventi di potenza, di ricchezza, di sviluppo industriale di patrimonio comune, di civiltà»: le automobili. Più che un viaggio filosofico o di scoperta la Pechino-Parigi secondo Borghese fu «la prova di collaudo più larga, più completa, più pervasiva cui fosse stato finora sottoposto il nuovo strumento forgiato per fornire un altro decisivo passo sulla via dell’abolizione di ogni motore umano o animale». Un collaudo riuscito, che il principe riassunse così: «Ci parve che con questo atto semplice e modesto avevamo recato testimonianza della vigoria del popolo italiano, dello sviluppo civile del nostro Paese».

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