Il viaggiatore. I pirati libertari delle Indie

La breve avventura dei pirati libertari nelle Indie Orientali, che diedero vita tra il XVII e XVIII secolo a una repubblica corsara al largo del Madagascar

Di fronte alla costa nordorientale del Madagascar c’è un atollo lungo e stretto come un fuso, che pare messo lì apposta per riparare l’isola madre dalla furia dell’Oceano Indiano. In lingua locale si chiama Nosy Boraha, per i turisti in cerca di palme, sole e spiagge bianche si chiama Île Sainte Marie. Secondo un celebre libro, in questo paradiso un gruppo di pirati, nel 1695, avrebbero fondato la Repubblica di Libertalia. Il libro si intitola Una storia generale dei pirati, fu pubblicato nel 1724 in Gran Bretagna e firmato da un certo capitano Charles Johnson, nome dietro al quale si nasconderebbe Daniel Defoe, l’autore di Robinson Crusoe, che avrebbe usato uno pseudonimo sapendo bene che raccontare la nascita di uno Stato repubblicano avrebbe turbato i sonni dei monarchi europei e creato qualche problema all’autore. Oggi molti critici ritengono che la storia di Libertalia sia un’invenzione, ma nello stesso tempo riconoscono che diversi fatti narrati corrispondono a eventi reali.

Forse non scopriremo mai la verità, ma sappiamo che proprio tra il XVII e il XVIII secolo molti pirati che operavano nei Caraibi si trasferirono sulle coste del Madagascar per depredare le navi provenienti dalle Indie Orientali con i loro carichi ricchi di spezie, e non solo. Le prove della loro presenza a Nosy Boraha sono una trentina di tombe (un tempo sarebbero state centinaia) tra cui una con incisi un teschio e le tibie incrociate, a imitazione della nera bandiera dei pirati. Fondatori di Libertalia sarebbero stati Bartholomé Misson, un giovane ufficiale di marina francese con tanta voglia di girare il mondo, e un certo Angelo Caraccioli, ex frate domenicano che predicava l’uguaglianza di tutti gli uomini. Si conobbero a Roma e dopo poco si imbarcarono sulla nave francese La Victorie in partenza da Napoli e diretta nelle Americhe. Durante il viaggio, però, gli ideali dell’italiano che predicava la libertà, l’eguaglianza e la condanna della schiavitù, conquistarono la ciurma, che si ammutinò proclamando Misson capitano e Caraccioli suo luogotenente.

Fu l’ex frate a dettare la Costituzione della futura Repubblica: niente pirateria vecchio stile con morti ammazzati e ruberie, solo qualche indispensabile esproprio del carico e rispetto della libertà «che Dio e la Natura hanno dato all’uomo». Sul pennone fu issata una bandiera bianca con scritto «Per Dio e per la Libertà». La Victorie invertì subito la rotta e raggiunse il Madagascar, e i libertari decisero di stabilirsi sull’isola di Nosy Boraha, il luogo ideale da cui far partire gli arrembaggi alle navi cariche di preziose merci orientali. Ma sempre con garbo, senza far male a nessuno, requisendo il carico e poi lasciando che i velieri proseguissero incolumi verso l’Europa. Gli arrembaggi di successo venivano festeggiati a terra con qualche bottiglia di rum e un meritato riposo in compagnia delle bellezze locali. Sempre in attesa di avviare la costruzione di un mondo di liberi e uguali, s’intende. L’utopia al potere attrasse in Madagascar il fior fiore della pirateria di tutti i mari, ma il sogno stava per svanire. A spazzarlo via del tutto fu l’attacco armato da parte di una tribù, ormai insofferente ai soprusi degli «uomini liberi e uguali», che tanto uguali non sempre lo erano. Era il 1705. Caraccioli rimase ucciso durante lo scontro e Misson prese il largo con un veliero ma sparì in una tempesta. L’utopia affondò con lui. Dovettero passare più di ottant’anni prima che su una bandiera repubblicana comparisse il motto Liberté, Ègalité, Fraternité.

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