di Giacomo Fè | Foto di Giacomo Fè
A pochi chilometri da Roma, il Monte Soratte conserva misteri, eremi e un mega bunker protagonista della storia del Novecento. Viaggio alla scoperta di un territorio misconosciuto, ma ricco di avventure e di una rinnovata voglia di micro imprenditorialità
Nella valle del Tevere affiora un’isola da un mare d’erba. Sfiora i settecento metri d’altezza e il suo profilo – sostengono certi nostalgici – assomiglia a quello del Duce. Sarà, ma quel che è certo è che dalla sua cima il panorama è strategico: l’occhio corre dalla Toscana, di cui si riconosce il Monte Amiata, al Terminillo, piega verso il Gran Sasso per poi tornare nel Lazio e al mare. Monte strano il Soratte, tempio del dio lupo Soranus per le popolazioni preromane, eremo e nascondiglio di Papa Silvestro I quando Costantino perseguitava i cristiani, bunker fascista prima e comando nazista poi, infine rifugio antiatomico destinato a ospitare tutto il governo italiano negli anni della guerra fredda. Il Soratte già per i Falisci (popolo italico dell’Etruria meridionale) e gli Etruschi era un monte magico. Cantata da Orazio, citata da Strabone, da Plinio il Vecchio, da Virgilio e dall’immancabile Dante, ma anche da Byron e Goethe, da tutti è stata raccontata come una montagna con qualcosa di speciale. Ma per la geologia è solo un grande scoglio calcareo tra il tufo di Calcata e la roccia dell’Appenino. “Monte Soratte. Eremi con vista. Sei in un paese meraviglioso”, c’è scritto proprio così sul cartello dell’Autostrada del Sole mentre all’orizzonte emerge il profilo di una montagna che sembra una testa appoggiata sull’erba. Arrivo a Sant’Oreste in un pomeriggio di fine maggio, il borghetto arroccato sul crinale del Monte Soratte guarda dall’alto la valle del Tevere da una parte e la valle del Treja dall’altra. È un labirinto di vicoli che nascondono chiese e angoli fioriti, in alto qualcuno si affaccia alle finestre abbellite da stole mariane stese per la festa della Madonna di Maggio, in basso i bambini giocano a pallone, si rincorrono tra le vie strette dei paesi nati a misura di contadino dove le auto, non previste, non riescono a entrare. Sant’Oreste è anche la porta d’ingresso per la riserva naturale del Monte Soratte, il sentiero degli eremi e per il megabunker di Mussolini requisito e trasformato poi nel Comando Supremo del Sud delle SS di Kesselring dopo l’8 settembre e infine usato come rifugio antiatomico durante la guerra fredda dal governo italiano. I protocolli Nato erano chiari, il Presidente della Repubblica e l’intera struttura operativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri vi avrebbero trovato posto con le rispettive mogli, unici civili ammessi, per un periodo a medio termine: in totale cento persone tra governo, tecnici, ingegneri e addetti alle comunicazioni si sarebbero salvate dall’olocausto nucleare su Roma. Il bunker serviva da comando operativo che avrebbe permesso di governare e lanciare testate nucleari contro il nemico comunista.
I vari De Nicola, Einaudi, Gronchi, Segni Saragat, Leone, Pertini e Cossiga da queste gallerie avrebbero assicurato la difesa nucleare e la loro sopravvivenza personale, supremo interesse di Stato. Dei 4 chilometri totali di tunnel scavati sotto il Soratte, circa un chilometro e mezzo è un rifugio antiatomico: migliaia di tonnellate di cemento armato e calcestruzzo diviso in sezioni separate da 2.600 isolatori sismici che avrebbero permesso all’intera struttura sotterranea di fluttuare, anche in caso di terremoto. Dalla War Room o sala operativa, sono state seguite la tragedia di Ustica e i missili di Gheddafi su Lampedusa: alle pareti, mappe e schermi ricordano uno di quei film di 007 dove l’organizzazione criminale di turno vuole distruggere il mondo. Solo che qui non si faceva un film: era tutto vero. Per fortuna nessun Presidente ha dormito in queste stanze e quel bottone rosso – quello che faceva partire il missile – non è mai stato premuto. Per molti film di guerra – ultimo Catch 22, la serie tv di Clooney – i bunker del Soratte sono una miniera d’oro perché utilizzano come set quello che c’è nelle gallerie. Ed è davvero tanto. Arredi, strumenti, mappe, missili, dormitori, uffici, vestiti, qui sotto è tutto vero e originale: una macchina del tempo che porta nel passato. È originale anche la leggenda che accompagna un posto come questo, quella delle 70 tonnellate d’oro che i soldati tedeschi prelevarono dalla Banca d’Italia di Roma prima dell’arrivo degli Alleati, giunte al bunker di Soratte con un lungo convoglio divise in 68 casse. La leggenda aggiunge che in questi tunnel si persero le tracce dell’oro e del convoglio: tutto fu ammassato in una galleria fatta saltare, galleria nella quale furono chiusi autisti e testimoni. Nel corso degli anni in tanti hanno scavato e cercato, ma quella montagna d’oro è sparita. Tutte storie taciute per decenni ed emerse solo dopo che il bunker è stato dismesso, nel 2004. Ci sono persone nate e cresciute accanto al bunker che non hanno mai saputo che cosa ci fosse dentro di preciso. Una di queste è Gregory Paolucci, santorestese di nascita, architetto e docente di tecnologia che sul bunker ha scritto quattro libri. Oggi è il presidente dell’associazione che ha recuperato e reso fruibile la maggior parte delle gallerie.
«C’erano i militari, ma noi bambini e i nostri genitori non sapevamo cosa facevano là dentro, i soldati salivano dalla via Flaminia, noi del paese avevamo due posti di blocco e due cancelli che ci separavano dal piazzale dei tunnel. C’era qualche civile che andava a lavorare dentro, ma non raccontava niente. Era tutto un grande segreto». Poi nel 2004 i militari se ne andarono e la storia venne a galla. «Anche se non lo sapevamo il bunker era stato parte importante del nostro passato e della nostra vita», spiega. Nel 2010 un manipolo di abitanti della zona decide di rimboccarsi le maniche e pensa di trasformarlo in un museo, mantenendo intatte alcune zone e riallestendo anche parti della zona antiatomica e la War Room, attive fino al 1992. «Era l’unica soluzione, l’alternativa sarebbe stata l’abbandono totale e la perdita della memoria storica. Dieci anni fa invece è iniziato il nostro progetto e per completarlo ne serviranno altrettanti. Grazie a fondi europei stiamo allestendo un trenino elettrico sui binari originali, e recupereremo altre zone come il cinema-teatro dei tedeschi, lo spaccio e le camerate del Comando Supremo, ricostruendo ambienti fedeli grazie alle immagini conservate nel nostro archivio fotografico». Il museo storico oltre ai tunnel comprende il piazzale, dove l’Esercito lascia in mostra mezzi e sistemi militari dismessi, un museo che raccoglie reperti e fotografie del passato, una foresteria e un ristorante, tutto questo all’interno dell’area segreta riconsegnata alla comunità solo pochi anni fa.
Ma se il bunker è una storia recente, nei secoli Soratte è stato scelto come rifugio anche dal Papato. Bonifacio III nascose i suoi documenti in una delle tante grotte che si trovano sui versanti coperti dai boschi. Sulla vetta del monte c’è l’eremo di San Silvestro, tutt’ora ben conservato e visitabile, dove Silvestro I – Papa nel III secolo – si rifugiava. Da qui, narra la leggenda, in groppa al suo asino, raggiunse Costantino per guarirlo dalla lebbra e l’imperatore per riconoscenza mise fine alle persecuzioni. Ma i sentieri del Soratte, camminando tra macchia mediterranea e lecci secolari, permettono di scoprire anche le altre cinque costruzioni rupestri in cui l’uomo (e la donna) si avvicinarono allo Spirito: l’eremo di S. Sebastiano e quello di Sant’Antonio, la chiesa rupestre di Santa Lucia, il monastero di Santa Maria delle Grazie e l’eremo di Santa Romana, quello più a valle. Poi c’è il mistero dei Meri, profonde e grandi grotte che scendono per decine di metri nel calcare. Erano le cattedrali degli Hirpi Sorani, i sacerdoti di Soranus, il dio lupo del mondo selvatico che a quanto pare aveva il suo quartier generale nelle viscere del Soratte. Dal parcheggio del mercato di Sant’Oreste inizia il sentiero per i Meri e per l’eremo di S. Romana. La storia della santa e dei suoi miracoli è curiosa: patrizia dell’impero convertita al cristianesimo con voto di povertà, battezzata a 10 anni da Silvestro I proprio ai piedi del Soratte. Leggenda vuole che la devota volesse frequentare troppo Silvestro I che, imbarazzato, la allontanò chiedendole di tornare da lui solo quando sarebbero sbocciate le rose. Era inverno e aveva anche nevicato sul Soratte, ma una mattina Romana tornò da Silvestro con una rosa fiorita miracolosamente. Ancora oggi nella grotta dedicata alla santa sgorga un’acqua che, secondo la tradizione, aiuta le donne in gravidanza e in allattamento. Oggi l’eremo è inghiottito dal bosco e affiancato dai resti di una chiesetta romanica, al cui interno si intravedono affreschi che abbellivano un altare tutt’ora venerato. Un percorso facile quello fino all’eremo, sempre aperto, mentre per le grotte bisogna essere speleologi attrezzati e autorizzati.
C’è un’altra donna che oggi ha trovato il proprio eremo sul Soratte. È di Ostia e si è trasferita con tutta la famiglia alla ricerca di un posto sereno in campagna ai piedi del monte. Entusiasmo e capelli spumeggianti quasi quanto la lana degli alpaca che alleva, Giorgia Nannini racconta la sua storia. «Mamma cercava un’oasi in campagna dove vivere e i miei hanno trovato il Soratte. Nell’azienda siamo tre donne, mia mamma, mia zia e io, ma l’idea è stata di mio padre che si è presentato un giorno a casa con questo animale sudamericano buffo. Nel tempo ci siamo specializzate sul filato di alpaca e oggi, ai ferri, facciamo una piccola produzione di abbigliamento a chilometro zero». E a chilometro zero è anche lo zafferano che Gabriele, Fabrizio e Andrea hanno deciso di coltivare e raffinare. I pistilli vanno raccolti tra ottobre e novembre ogni mattina all’alba cercando di cogliere il fiore appena aperto, ma il Soratte, per sua natura climatica, si presta bene alla produzione di questa preziosa spezia. A venti minuti da Roma, il territorio di Sant’Oreste è un pozzo di sorprese. Più o meno nascoste.