di Mario Tozzi
Le considerazioni del Consigliere Tci Mario Tozzi
“Aridaje!” direbbero a Roma, che sarebbe a dire “ci risiamo”: ecco che ritorna il ponte sullo stretto di Messina, condito, stavolta, in una indigesta salsa di transizione ecologica che è ecologica quanto una centrale a carbone. Ci sarebbero, si sostiene, “nuovi studi” che permetterebbero ciò che prima non era possibile. Ma è questo il punto? No, e cerco di spiegare perché. Non è che il ponte prima non fosse possibile: era il progetto a essere obsoleto e nuovi studi permettono certo una caratterizzazione geologica migliore. Ma è l’attraversamento “aereo” dello stretto a essere figlio di un’idea obsoleta, oggi stracciata da altri mezzi e modalità di trasporto. Andare da Genova a Palermo in auto o in camion resta un controsenso ecologico, quando esiste tutto un mar Tirreno su cui far viaggiare almeno le merci a regime, senza problemi di approvvigionamento, con più efficienza e con meno emissioni. E da Berlino a Palermo sono sempre meno coloro che anche solo pensano di andarci in auto. Rimane in piedi l’obiezione di priorità di fondo: come si fa a pensare di impiegare fondi pubblici per una infrastruttura che reggerà a terremoti di magnitudo 7,5 Richter, quando solo un quarto delle costruzioni delle province di Reggio Calabria e Messina è in grado di reggere a un sisma anche molto più debole? Case e infrastrutture andrebbero riadeguate prima della realizzazione eventuale del ponte, esattamente come è stato fatto in altre regioni pericolose del mondo, non ultima il Giappone, in cui il ponte di Akashi (quello a campata unica finora più lungo del mondo) è stato corretto e ultimato dopo il terremoto del 1995, che ne aveva interrotto la costruzione, e dopo aver risistemato daccapo tutto il tessuto urbanistico a causa dei rischi maggiori di quelli previsti prima. Insomma, evitare a tutti i costi una infrastruttura luccicante in un contesto inadeguato e pericoloso.
Ma forse il punto è anche un altro. Le 200mila tonnellate di materiali artificiali con cui si costruirà il ponte andranno a squilibrare ulteriormente e significativamente il rapporto fra la biomassa e la massa artificiale messa in campo dai sapiens. Il 2020 è stato l’anno del sorpasso: il regno dei materiali messi in campo e cumulati dai sapiens assomma oggi a 1.100 miliardi di tonnellate, mentre l’insieme della massa dei viventi animali e vegetali (la biomassa complessiva) si ferma a 1.000. Il dato pubblicato su Nature (2020) dall’Istituto israeliano per le Scienze tiene conto anche del fatto che, oltre a costruire e occupare superficie naturale, gli uomini hanno contemporaneamente distrutto boschi, foreste e praterie, sottraendo biomassa. E la maggior parte del regno artificiale si è costituito dall’inizio del XX secolo, cioè negli ultimi cento anni: a inizio secolo esso assommava solo al 3 per cento dei regni naturali viventi. Un’accelerazione eccezionale. Composta soprattutto da edifici e strade. Asfalto e cemento sono stati i principali catalizzatori e a pagarne il prezzo saranno tutti i sapiens, che non possono vivere in un pianeta artificiale. Grandi opere non necessariamente utili, come il ponte sullo stretto, vanno esattamente in questa direzione e perciò sono profondamente diseducative per ciò che riguarda il nostro rapporto con la natura.