di Isabella Brega
Scoperta dai tedeschi a fine Ottocento, Forte dei Marmi, nota città balneare toscana, punta ora sulla cultura e sull’arte
Forte dei Marmi non è una cartolina. Dietro la vetrina di quella che è considerata una delle capitali glamour delle estati italiane, dagli anni Sessanta icona dello stile, concentrato di lusso, denaro, mondanità, vip, c’è molto di più.
I fortemarmini discendono dalla forza del mare e dalla durezza del marmo, le basi economiche che li hanno sempre tenuti ancorati alla concretezza e su cui si è poi innestata l’opulenza e l’ubriacatura turistica.
Il suo stesso nome deriva dall’unione di due elementi che ne hanno caratterizzato la storia: il Fortino, progettato nel 1785 e situato nella centrale piazza Garibaldi, e i marmi delle Alpi Apuane, che distano una ventina di chilometri dalla città. Una città legata alla via di Marina, che coincide dal 1518 con quella che è l’attuale via Provinciale, eseguita dal collaboratore di Michelangelo, Donati Benti, che collegava l’entroterra con lo scalo marittimo sulla costa, da cui transitavano marmo e ferro, come testimonia ancora il lungo pontile oggi ornato di opere d’arte. Ma il Forte, dove la discrezione delle ville dei quartieri Vittoria Apuana o Roma Imperiale, nato negli anni Venti da una lottizzazione, sfocia nel divertimento della celeberrima Capannina di Francesco o del Twiga, dove nascono mode e amori sbandierati sulle pagine delle riviste di gossip e le biciclette si mischiano a Maserati e Lamborghini, è figlio anche dei poeti Giosuè Carducci, Enrico Pea, Lorenzo Viani, esponenti di quel mondo culturale, artistico e industriale che lo scelsero come luogo di incontro dagli anni Venti.
Se infatti il merito della scoperta di questi luoghi si deve ai tedeschi, che alla fine dell’Ottocento cominciarono a farsi costruire qui edifici residenziali come la maestosa Villa Apuana dei Siemens, furono pittori e scultori come Carlo Carrà (che amava dipingere al Fosso Fumetto), Ardengo Soffici, Arturo Dazzi, Agostino Barberi, Eugenio Pieraccini, Felice Carena, ma anche i giornalisti Giovan Battista Angioletti e Giuseppe De Robertis a segnare la vocazione artistica e culturale della città. Il loro ritrovo preferito era il caffè Quarto platano (oggi Caffè Roma), a pochi passi dal Fortino, mentre in estate i turisti si disputavano le loro opere, insieme a quelle di altri grandi maestri del Novecento italiano, nelle aste della Galleria Cavour Orlando e poi, dal 1976, nell’altrettanto nota Galleria Susanna Orlando, per 40 anni uno dei più vivaci centri di riferimento per l’arte a Forte dei Marmi.
Fra i più assidui frequentatori della città il pittore Carlo Carrà, che dal 1926 al 1966, anno della morte, trascorse lunghi periodi nella propria villa di Roma Imperiale, traendo ispirazione per centinaia di opere, come Cavalli al mare, del 1953, incontrandosi spesso con lo schivo Ugo Guidi, di cui al Forte esiste la casa-museo e nel cui giardino prendevano vita le sue sculture. L’amore per la pietra si ritrova anche in un altro artista che visse a lungo qui, Marino Marini, uno dei grandi maestri dell’arte del XX secolo. Nel 1954, dopo i primi successi negli Stati Uniti, il maestro ebbe il denaro per costruire in via Raffaelli villa La Germinaia, progettata dalla moglie Mercedes Pedrazzini (da lui chiamata Marina), con una dépendance utilizzata come studio e laboratorio, dove accoglieva ospiti come Pablo Neruda, Henry Moore o Henry Miller. Da quegli anni fino alla scomparsa nell’agosto 1980, Marini trascorse tutte le estati al Forte. La mattina era solito recarsi in bicicletta al Bagno Piero e nel pomeriggio, in compagnia del suo collaboratore Kengiro Azuma, lavorava alle sue sculture monumentali, le sue Pomone e i suoi Cavalieri. Fra i frequentatori della villa vi era anche Aurelio Amendola, colui che, grazie a un sapiente uso delle luci, riuscì a esaudire il desiderio di Marino: «le mie sculture le devi far parlare». Ad Amendola si deve la foto-icona del 1972 che raffigura Marini sulla spiaggia di Forte insieme a un cavallo bianco, ritratto più dell’uomo che del demiurgo.
È a questa matrice culturale, da recuperare e tutelare, che intende tornare l’amministrazione comunale, con in testa il sindaco Bruno Murzi, conscio che, al di là della spiaggia e della mondanità, sia importante che Forte dei Marmi cerchi altre chiavi di lettura e ritrovi le proprie radici, come recita il nuovo logo: “Ieri come domani”. Ed è a questo stesso filone che si ispira Elisabetta Salvatori, che da più di 20 anni ha trasformato il salotto della propria casa in via Francesco Carrara 243 in un teatrino per 50 spettatori. «Sono una narratrice, non ho mai fatto parte di nessuna compagnia, i testi me li scrivo da sola – racconta –. Ho studiato all’accademia delle Belle Arti e qui mischio il teatro e le veglie di un tempo, quando ci si ritrovava la sera con i vicini sull’uscio di casa a raccontare storie. Tutto l’anno, l’estate all’aperto, da sola o accompagnata da un violinista, ho raccontato la Toscana, la Versilia, la strage di Sant’Anna di Stazzema, la vita dei cavatori di marmo, quella di Giacomo Puccini o della Beata Maddalena di Canossa... Storie vere, sulle quali mi documento leggendo tutto quello che trovo sull’argomento». Non a caso infatti decine e decine di libri qui la fanno da padrone nelle librerie ma anche impilati, incastrati nei mobili, sotto il porticato, in cucina, riposti nelle valigie.
Il Covid, che ha messo in pausa la vita di tutti noi, non ha interrotto lo slancio creativo di Elisabetta, che si è gettata in un’altra avventura. Ha rilevato il negozio di fiori della zia a Querceta, a quattro chilometri da Forte, per trasformarlo in un secondo teatrino, La fioreria delle storie, complementare al primo, dove all’intimità di quello della casa di Forte subentra l’apertura di piazza Matteotti su cui si affaccia. Qui si trova anche la poetica Banca della memoria: tanti cassetti, ognuno racconta una storia attraverso gli oggetti che ospita. Quello del contenitore non è una scelta casuale: «Da piccola passavo tanto tempo con la nonna – racconta Elisabetta – e amavo il cassetto del comò della sua camera da letto, uno scrigno magico per quelli che mi sembravano tanti tesori. Oggi chi vuole può riempire uno dei cassetti e lasciare una storia di famiglia in questa Banca della memoria». Perché non sia dimenticata. Perché ieri è come domani.